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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Edward W. Said:
per un’arte inclusiva
e sopranazionale
di Angela Patrono
Da Mimesis edizioni, un valido saggio
sul padre dei Postcolonial studies
Racchiudere in un saggio la complessità del pensiero critico di Edward W. Said (1935-2003), studioso palestinese trapiantato negli Stati Uniti, è impresa tanto ardimentosa quanto ragguardevole. A questo fine Marco Gatto, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università della Calabria, già autore di numerosi saggi e articoli, ha svolto una meticolosa indagine per dissipare le nebbie sull’operato del critico palestinese, più volte indicato come il fondatore degli studi postcoloniali.
Nel libro Orientalismo, pubblicato in Italia nel 1991 da Bollati Boringhieri, Said aveva infatti evidenziato la tendenza, da parte del mondo occidentale, a filtrare i popoli orientali attraverso lenti distorte, permeate di eurocentrismo imperialistico. Tuttavia, il pensiero saidiano non si limita a un approccio unidirezionale, come evidenzia Gatto nel saggio L’umanesimo radicale di Edward W. Said. Critica letteraria e responsabilità politica (Mimesis, pp. 194, € 18,00), ma riesce a far emergere la figura di un intellettuale poliedrico, dalla «decisa vocazione democratica», come sostiene Massimo Onofri nell’interessante articolo uscito sull’Avvenire del 27 agosto 2013.
L’obiettivo di un’arte “sociale”
Al fine di sfatare l’immagine stereotipata del giornalista palestinese, la ricerca di Gatto parte dal presupposto che «la conoscenza e la cultura non possono essere rinchiuse nelle barriere della nazione o della storia particolare, nella superficialità identitaria e settoriale, bensì mirano, per loro stesso statuto, a essere intese come ibride, travalicanti, coesistenti». Gatto pone a confronto Said con vari teorici e pensatori, dimostrando che egli, lungi dal cadere in un settarismo specialistico, ha condotto uno studio ad ampio raggio, prediligendo un umanesimo democratico e universale. Said sposa, ad esempio, la visione di Antonio Gramsci, il quale mirava ad «accostare punti di vista ed esperienze che sono culturalmente e ideologicamente chiuse l’una all’altra». Proprio per questo, il teorico palestinese disapprova l’atteggiamento di certi critici che si alienano volontariamente dalla società, adottando un punto di vista eccessivamente specializzante e monotematico che nasconde un latente asservimento all’ideologia dominante. Dunque, ogni scritto critico o letterario, per potersi definire espressione artistica, deve essere indissolubilmente legato al tessuto sociale, e non rinchiudersi in una sterile materialità testuale. Tuttavia, bisogna «considerare il carattere sociale dell’arte come sempre dialetticamente connesso all’individualità e alla specificità del mezzo espressivo».
Gatto sottolinea come Said abbia tratto spunto dalla lezione di Giambattista Vico, il quale, in tempi non sospetti (XVIII secolo), gettò le basi per la moderna filologia. Allo stesso modo, spiega l’autore, Said rivendica la funzione dell’ermeneutica quale combinazione di filologia e critica.
L’autore esamina inoltre il saggio Beginnings, in cui l’intellettuale palestinese analizza il rapporto tra intenzionalità autoriale e società; egli, riportando le parole di Gatto, «dipinge il testo come una struttura multidimensionale che proietta le differenti alternative di scelta che l’autore ha di esprimersi». Pertanto, l’ideazione individuale di un testo deve sottostare ai limiti e alle strutture imposte dalla società, se si vuole uscire dal proprio narcisismo autoriale per andare incontro e comunicare all’Altro.
Armonizzare voci e culture nel rispetto dell’unicità
Gatto mette in luce una contraddizione di fondo insita nel pensiero di Said, arabo palestinese ma di lingua inglese e a lungo docente a New York, il quale ha scritto Orientalismo da una prospettiva dislocata e privilegiata, quella dell’esule. Il «processo di occidentalizzazione» subìto dal critico «impedisce a Said di vedere come la cultura stessa sia uno strumento di oppressione» poiché il suo studio è quasi interamente «retorico e testuale», non fondato su fatti materiali. Nonostante ciò, Said si rende conto che «la letteratura, la teoria, la finzione hanno avuto un ruolo decisivo nella creazione dell’immagine di un Oriente consona al narcisismo occidentale e alle sue velleità di supremazia». Tutto ciò si traduce in un’aspra critica ai nazionalismi e a tutte le rappresentazioni totalizzanti del potere, comprese le «riduzioni specialistiche», che non lasciano spazio alle alternative concettuali. Said, ad esempio, ha sempre sostenuto la coesistenza e convivenza pacifica tra popoli come quelli israeliano e palestinese, invitando a superare le barriere ideologiche nel rispetto delle reciproche diversità. In questo, l’intellettuale usa una metafora mutuata dal mondo musicale: il «contrappunto», ossia «una coesistenza di più voci, […] in grado, come nelle migliori fughe di Bach, di dar vita a un’armonia condivisa».
L’interesse di Said per il campo della musica emerge anche dall’analisi di un saggio sulla figura del pianista canadese Glenn Gould, oggetto di un ulteriore volume a firma dello stesso Marco Gatto. Said – così come Gatto – vede Gould come un virtuoso che non si piega alla spettacolarizzazione mediatica, ma considera la musica come uno strumento di riflessione politica. Egli conia perciò la definizione di «intellettuale-musicista», il cui emblema è proprio Gould.
Ogni critico è quindi chiamato a rifiutare ogni forma di dogmatismo e di sapere settoriale: gli stessi testi letterari sono per loro natura contrappuntistici, poiché frutto della sovrapposizione di molteplici visioni del mondo. Inoltre, la responsabilità dell’intellettuale si gioca sulla continua osmosi tra identità pubblica e privata. Senza rinchiudersi in una torre d’avorio, l’umanista deve partecipare alle questioni sociali esprimendo, se necessario, il proprio dissenso. Solamente in questo modo si potrà realizzare un «umanesimo inclusivo» – agognato da Said e prospettato da Gatto nel suo notevole saggio – che concili il dialogo tra culture differenti e apra la strada ad una libertà critica non condizionata dai meccanismi coercitivi del sistema dominante.
Angela Patrono
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 74, ottobre 2013)