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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VII, n. 72, agosto 2013

Zoom immagine Quando restare vuol dire amare:
la storia intensa e appassionata
di un meridionale in cerca di sé

di Angela Patrono
Gesti “eroici” nell’estate della vita,
in un romanzo pubblicato da Laruffa


A volte capita che le cosiddette coincidenze fortuite spingano gli esseri umani, cavie di un destino fintamente distratto, verso situazioni e luoghi inesplorati, dimensioni inedite, nuovi inizi in cui reinventarsi. Capita anche che le occasioni della vita, quelle che non puoi lasciarti scappare, vengano definite “treni da prendere” finché si è in tempo.

Proprio da un treno preso per sbaglio si dipana la vicenda dell’ultimo libro di Saverio Pazzano, giovane scrittore di Reggio Calabria già autore di testi teatrali e di racconti, alcuni dei quali pubblicati nella silloge Lo Stretto di paglia, vincitrice del Premio “Anassilaos opera prima”.

Acuta ed efficace, la scrittura di Pazzano mira dritto alla mente e al cuore dei lettori, dosando elegantemente entusiasmo e riflessione, pathos e leggerezza. Ne è una brillante dimostrazione il romanzo La corsa dell’ultima estate (Laruffa editore, pp. 110, € 10,00).

 

Una stagione rivelatrice

L’estate cui fa riferimento il titolo è quella stagione sospesa e palpitante che arriva intorno ai diciotto anni, al conseguimento del diploma, segnando l’anticamera della vita adulta con tutte le sue implicazioni: la scelta dell’università, l’avvicinarsi di un futuro professionale, il dare sostanza ai propri sogni. Tappe inesorabili nella costruzione della propria identità, che si stagliano come miraggi lontani davanti a Peppe, il giovane protagonista del libro. Sostenuto l’esame di maturità con il minimo sforzo, il ragazzo si gode gli ultimi scampoli dell’adolescenza trascorrendo le vacanze a Pietre Bianche, frazione di Reggio Calabria dove il tempo sembra essersi fermato. Un mondo sospeso, un piccolo eremo di barche e casupole di pescatori, per ritrovare il contatto con la parte più incontaminata di sé e con le proprie origini, incarnate dal nonno e dai suoi «occhi imbroglioni», come li definisce affettuosamente Peppe.

 

Le avventure di un «emigrante al contrario»

Il nonno, pescatore in estate e nell’animo ma dentista per il resto dell’anno, è la parte di Peppe che custodisce un legame sacro e inviolabile con il mare. Non solo: in lui è forte anche l’amore per la terra, quella Calabria dalla quale tutti sembrano emigrare in massa, disillusi e stanchi dalle troppe mancanze, prima tra tutte quella di un solido avvenire.

Invece, con sorpresa, scopriamo che il nonno di Peppe è stato un «emigrante a rovescio». Nella Napoli degli anni Cinquanta, complice una sbornia fatale, il giovane dentista ha preso il treno per Reggio Calabria invece del convoglio diretto a Reggio Emilia. Un beffardo gioco di parole dettato dal destino, che ha catapultato il dentista napoletano «all’alluce d’Italia», una terra dalla bellezza da scoprire che, a poco a poco, ha conquistato il suo cuore. Al punto da farlo restare, lasciandosi alle spalle sia i progetti paterni che lo vedevano dottore affermato nel Nord Italia sia l’amore tormentato per una ragazza di Napoli. Mosso da una ribelle avventatezza, il nonno di Peppe si è stabilito nella “Reggio sbagliata”, rendendola “giusta” grazie alle sue scelte, aprendo uno studio e innamorandosi perdutamente della terra, del mare, ma anche di una donna, trovando così un riscatto sentimentale.

Adesso, molti anni dopo, l’anziano vive in simbiosi con una barca, “Enrichetta”, dal nome della mamma tanto amata, simulacro di un affetto da custodire con cura. Peppe lo guarda parlare alla barca, accarezzarla, dormirci addosso, mentre l’oggetto si riveste della carnalità di un totem votivo, di una reliquia dal passato, forse dall’aldilà. E sarà proprio il rogo di “Enrichetta”, incendiata da un malavitoso locale dopo il rifiuto del nonno di pagare il pizzo, a far scattare qualcosa nella mente di Peppe. Improvvisamente il ragazzo si risveglia dal suo torpore e prende una decisione coraggiosa, forse irrazionale, ma consapevole: quella di restare, di lottare ancora per quella terra amara e meravigliosa. Perché «è dove scegli di vivere che ti fa adulto, non solo ciò che scegli di fare». Non importa se questo comporti la separazione da Adele, la ragazza di cui Peppe è innamorato da sempre, con cui vivrà una storia dolce e appassionata, ma destinata a finire con l’estate. Perché Adele ha deciso: parte per iniziare l’università altrove. Peppe no; la sua è una sfida al confine tra incoscienza e responsabilità. E quando il nonno morirà, toccherà a Peppe seguire le sue orme, consapevole di averne ereditato «la testa gloriosa». Un passaggio di consegne dal sapore catartico che sancisce l’ingresso nella maturità, quella fatta di prese di coscienza e di gesti forti, a loro modo eroici.

 

Un romanzo come atto di resistenza

Il libro di Pazzano colpisce come un’onda in pieno viso, rimanendo indelebile nella memoria. Molti i dettagli che restano impressi: l’innamoramento tra Peppe e Adele, che sboccia e si consuma in una sola estate, descritto con toni delicati e leggiadra ironia («In breve mi sembra di ignorare qualunque altra parola tranne che il nome di Adele; Adele per dire caffè fuoco fornello colazione»); Nanà, il pescatore amico del nonno, figura mitica che incarna la saggezza popolare e la tradizione dell’arte della pesca, il quale insegna a Peppe che, «vuoto di parole, un mestiere è soprattutto un fatto di gesti»; la battuta di caccia alla mola, il pesce luna, che assume contorni da tragicommedia, concludendosi con una ironica disfatta, parente del Ciclo dei Vinti verghiano o de Il vecchio e il mare di Hemingway.

Capace di appassionare e perfino commuovere, il romanzo ci pone di fronte a un interrogativo fondamentale: partire lasciando una realtà che ci va stretta, o restare per resistere, per cambiare noi stessi e il mondo circostante? La risposta, forse, sta nei pensieri di Peppe che contempla il litorale di Reggio: «Nonostante lo sforzo di rovinare ogni cosa, la natura ha promesso bellezza e bellezza mantiene».

 

Angela Patrono

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 72, agosto 2013)

 

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