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Anno VII, n. 72, agosto 2013
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Letteratura straniera (a cura di Alba Terranova) . Anno VII, n. 72, agosto 2013

Zoom immagine La fine del mondo è vicina:
le storie di tre personaggi
e dell’approcciarsi alla vita
alla vigilia della catastrofe

di Emanuela Pugliese
Tradotto per i tipi di Edizioni La Linea,
un romanzo carico di forti emozioni


«Un termine: tre mesi. Una data che si ripete: l’equinozio di primavera. Quest’anno cadrà il 21 marzo. […] L’indomani ci annunciano qualcosa di cui non capisco niente, che capisco solo nel cuore della notte, dopo molte ore di emicrania. Non oso pronunciare, ripetere quello che ho sentito. Poso l’Annuncio sul comodino e spengo, e ignoro che è lì. No, ci penso invece, brancolo nel buio, cercandolo; lo palpo, sì, eccolo, mostruoso e inesorabile, ha la forma e la consistenza di quello che in fondo è».

Cari lettori, la fine del mondo è stata annunciata. Il governo britannico ha diffuso la notizia riguardante la distruzione del genere umano, lasciando molti dubbi sulle motivazioni e sulle modalità dell’evento e, contemporaneamente, stabilendone il giorno esatto: il 21 marzo, appunto.

È il crepuscolo dell’umanità, dunque, intorno al quale ruotano le vite e, soprattutto, i sentimenti e gli stati d’animo dei protagonisti del nuovo romanzo di Stéphanie Hochet, giovane scrittrice francese e già vincitrice di due premi letterari prestigiosi, quali il Premio “Lilias” (2009) e il Premio “Thyde Monnier”della Société des Gens de Lettres (2010). Le effemeridi (Edizioni La Linea, pp. 160, € 14,00) è stato pubblicato in Francia da Éditions Rivages nel 2012 e tradotto quest’anno in Italia da Monica Capuani.

 

Un disperato bisogno d’amore

Tecnicamente, le effemeridi (dal greco ephemerìs, ossia “giornaliero”) sono tabelle che contengono valori calcolati, nel corso di un particolare intervallo di tempo, di diverse grandezze astronomiche variabili, come ad esempio coordinate di pianeti, comete, asteroidi e satelliti artificiali. Anticamente erano utilizzate dai popoli della Mesopotamia e dalle popolazioni precolombiane per registrare gli atti del re (famose quelle di Alessandro Magno e quelle romane), e tramite esse era possibile anticipare la posizione degli astri e, quindi, indirizzare le osservazioni visuali e astronomiche.

A queste antiche pratiche sembra essersi ispirata la Hochet, che fa della catastrofe preannunciata un mero pretesto per tessere le storie di una serie di personaggi totalmente fuori dal comune, i quali, paradossalmente, proprio in questa atmosfera di forte tensione emotiva e di evidente precarietà, riescono a ritrovare se stessi e le loro identità. Per effetto del cataclisma imminente, il tempo si restringe e i protagonisti sono quasi obbligati a riesaminare le loro vite e a rivalutare priorità e obiettivi. E, nonostante essi tentino più volte di affermare la propria indipendenza e individualità, sono come inseriti all’interno di un vortice di affetti, passioni e forti emozioni, in cui ognuno è indispensabile all’altro. Altro, dal quale è difficile staccarsi.

È il caso del pittore Simon Black, che scopre di essere colpito da un male incurabile che gli procura un’enorme sofferenza, dalla quale, stranamente, riesce a fuoriuscire solo con l’aiuto e la tenerezza della compagna Ecuador. È un inno alla vita quello raccontato dall’autrice, una riscoperta dei valori autentici che solo una prossima fine consente di apprezzare.

C’è nel romanzo, inoltre, una marcata attrazione per ciò che è oscuro, misterioso e, a tratti, pericoloso. Ne sono un chiaro esempio le torture praticate in un club sadomaso, la brutalità dei Dogs (i cani mostruosi che Tara e Patty allevano per farne una nuova specie, l’unica che sopravviverà alla calamità) e, infine, lo “strumento-grido” di Simon Black e i suoi quadri, dai quali emergono figure macabre e strazianti.

Da questa totale assenza di luce, si eleva quasi come un urlo liberatorio un disperato bisogno d’amore. Tale è, ad esempio, quello di Tara nei confronti della sua amica francese Alice, quello di Sophie nei confronti della piccola Ludivine, personaggio dalla spiccata vitalità verso cui tutti sembrano convergere. Questo continuo dare e ricevere amore, presente dall’inizio alla fine, è descritto molto bene dalla Hochet attraverso i gesti, le parole, i sentimenti e i pensieri dei protagonisti. L’abilità narrativa dell’autrice risiede inoltre nella descrizione dei paesaggi: le lande verdeggianti e sconfinate della Scozia si alternano ad ambienti interni cupi e soffocanti, in cui si consumano i più folli desideri e le più nascoste perversioni.

 

Un romanzo che è… la “fine del mondo”!

«Il più affascinante romanzo sulla fine del mondo»: così è stato definito dalla scrittrice belga Amélie Nothomb, come si legge sulla fascetta gialla che avvolge la copertina. Tuttavia, pur raccontando un evento catastrofico come l’estinzione dell’umanità, il libro non è esclusivamente incentrato su questo evento. È piuttosto un romanzo in cui si alternano gli stati d’animo, le angosce e le paure delle tre principali voci narranti (Tara, Sophie e Simon) rispetto all’evento principale che funge, in questo caso, da collante e da unico filo conduttore.

Questo romanzo sorprenderà il lettore soprattutto per i suoi risvolti psicologici e per la capacità dei protagonisti di rinnovarsi, tramite la scoperta di virtù e facoltà che solo il presagio di una morte imminente riesce a manifestare. Insomma, se qualcuno vi chiederà cosa pensiate di questo libro, non vi rimarrà che rispondere: «È la fine del mondo!».

 

Emanuela Pugliese

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 72, agosto 2013)

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