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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Garibaldi in terra
d’Aspromonte:
sangue, sudore
e polvere da sparo
di Guglielmo Colombero
Da Città del sole, un saggio storico
ben documentato sugli itinerari
risorgimentali in punta allo Stivale
Lo sbarco garibaldino a Melito avvenne il 19 agosto 1860. Due i piroscafi utilizzati, il “Franklin” e il “Torino”. Di fronte al litorale di Rumbolo, il “Torino” s’incaglia nella sabbia del basso fondale e deve essere evacuato. Sarà poi bombardato e dato alle fiamme da due corvette borboniche. Garibaldi avanza come un fulmine di guerra in Calabria: il 21 agosto conquista Reggio, il 30 Cosenza. A Melito, in autunno, infuria la guerriglia filoborbonica: «la maggior parte degli abitanti sono reazionari», scrive nel suo rapporto un ufficiale dei Cacciatori d’Aspromonte, «perciò ho fatto dare il bando che qualunque s’incontrasse con armi o cospirando contro al governo del Nostro Dittatore sarebbe fucilato o bruciate le loro case». La contrapposizione è feroce, come nella Vandea ribelle del 1793. Questi e altri episodi sono narrati con spigliato stile giornalistico da Angela ed Erminia Nucera, rispettivamente dottoranda e dottore di ricerca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina (in materia di cultura euromediterranea), nel saggio storico Garibaldi e i Mille nell’estremo punto d’Italia (Città del sole, pp. 246, € 15,00).
Garibaldini, briganti e guerriglieri in Aspromonte
La prima parte del volume, intitolata Nell’estremo punto d’Italia: Risorgimento d’Aspromonte, è opera di Erminia Nucera. Un significativo antefatto è rintracciabile nei moti liberali che sconvolgono Messina e Reggio il 1° settembre 1847, fedelmente ricostruiti dal pittore inglese David Lear, che in quei giorni si trova a Melito, ospite della famiglia Tropea, della quale offre una pittoresca quanto caustica descrizione: «comprendeva la moglie, all’apparenza sofferente e poco curata oltre che agitata in maniera pietosa, un solo figlio dalla sguardo selvaggio e sgomento, e un fratello e un nipote di Montebello, strani, tetri e misteriosi nell’aspetto e nelle maniere». Insomma, una specie di famiglia Addams. Queste impressioni saranno riportate nel Diario di un pittore di paesaggio nel sud della Calabria, pubblicato a Londra nel 1852.
Dopo l’Unità, in Calabria divampano la guerriglia filoborbonica e il brigantaggio: la notte del 13 settembre 1861, un avventuriero spagnolo espulso dall’esercito per sedizione contro la regina Isabella II, José Borjes, sbarca a Brancaleone e punta verso l’interno. Lo spodestato Francesco II di Borbone lo ha assoldato per tentare la riconquista del regno sollevando le masse contadine contro il governo presieduto dal “barone di ferro” Bettino Ricasoli, ma l’impresa fallisce miseramente. Catturato a Tagliacozzo, in Abruzzo, dal regio esercito italiano al comando del generale Alfonso La Marmora, Borjes finirà davanti al plotone d’esecuzione l’8 dicembre 1861: una canaglia per le autorità sabaude, un martire per i nostalgici del regime Borbonico.
Altra testimonianza preziosa è quella del giudice Marco Centola, autore di un resoconto “in diretta” dell’insurrezione popolare scoppiata a Melito nel novembre 1860, pochi mesi prima dell’unificazione italiana: «un panno bianco fermato all’estremo di una mazza forma una bandiera Borbonica, ed una tale bandiera inalberandosi in luogo pubblico colle grida viva Francesco Secondo si tende a provocare gli abitanti a commettere cospirazione per cambiare l’attuale Governo».
Il romanticismo pittorico dell’iconografia risorgimentale
La componente più affascinante e suggestiva di questo straordinario volume è quella iconografica: trenta pregevoli illustrazioni ottocentesche situate da pagina 65 a pagina 88. Quasi tutte xilografie, pubblicate a Milano, a Torino, a Parigi, dense di sfumature grigie e seppiate, come nei capolavori del cinema in bianco e nero: in quelle immagini è racchiuso lo spirito di un’epoca. Non manca qualche litografia acquerellata, dalle tonalità pastose. I soggetti più ricorrenti sono il ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte, la partenza dei garibaldini da Messina e il loro sbarco in Calabria, la battaglia per la conquista di Reggio. Si colgono dettagli quasi impressionistici come i tricolori laceri che garriscono al vento; i flutti tempestosi che lambiscono i fianchi dei bastimenti e delle scialuppe stracariche; due frati che trasportano i garibaldini su un carretto trainato da una coppia di buoi; l’approdo sulla spiaggia con le baionette che svettano nell’aria; l’abisso di ostilità e di silenzio che separa le Camicie Rosse dalle divise impettite del regio esercito dopo il ferimento e l’arresto di Garibaldi sull’Aspromonte. Spicca una presenza femminile nell’epopea garibaldina: «Rosalia Montmasson, Compagna di Francesco Crispi, è l’unica donna ad aver partecipato alla spedizione dei Mille, donna-soldato che si prodiga anche per l’aiuto di infermeria prestato ai garibaldini feriti». Rosalia era un’umile stiratrice originaria della Savoia: abbandonata da Crispi nel 1878, vive di ricordi e muore nel 1904 all’età di 80 anni. Una fotografia di Le Lieur, custodita al Museo del Risorgimento di Roma, la ritrae già matura con la mantellina da garibaldina e le medaglie guadagnate a Calatafimi: lineamenti rudi, espressione accigliata, da amazzone ottocentesca, ma con una sfumatura di malinconica dolcezza nello sguardo.
Storie e memorie di Patrioti d’Aspromonte
La seconda parte è firmata da Angela Nucera, con il titolo Agosto 1860 e 1862. Il ricordo e la memoria: un Attestato di patriottismo di questa estrema parte d’Italia. Risaltano in particolare i cenni biografici su Tommaso Alati, Vincenzo Saccà e Bruno Rossi, tre garibaldini che lasciarono una testimonianza appassionata degli eventi da loro vissuti in prima persona.
Tommaso Alati, di Melito, all’epoca dell’impresa dei Mille ha 17 anni: assiste allo sbarco, due anni dopo scappa dall’istituto religioso in cui la famiglia lo ha mandato a completare gli studi e raggiunge Garibaldi sull’Aspromonte. Partecipa nelle Camicie Rosse alla campagna del 1866, combatte a Bezzecca dove sopravvive ad un feroce corpo a corpo contro gli ulani austriaci. Mazziniano convinto, Alati patisce il carcere con l’accusa di sovversione: nel 1882 accompagna Garibaldi, ormai debilitato e prossimo a morire, nella visita a Melito. Alati, giornalista e scrittore, racconta con accenti commossi: «dopo Melito il treno era un grappolo umano che si moveva lentamente circondato e preceduto da cittadini, ed io ho visto persino delle povere donnicciole inginocchiate in atto di preghiera e piangere. Ma quando si giunse alla stazione di Reggio e da questa al Porto, davvero lo andare avanti, e il farlo trasportare sul battello attaccato al molo fu un problema di difficile soluzione; ed egli impressionato dal gran sussurrare dell’immensa folla non ostante fosse silenziosa e commossa fra il rispetto e lo affetto, ed il desiderio di vederlo, disse a me che gli era vicino “Faccia ritornare indietro, voglio imbarcare a Melito”; cosa assolutamente impossibile per le sue condizioni fisiche». Alati si spegne a Melito nel 1911: sulla bara sono deposti la camicia ed il berretto rosso. Nell’elogio funebre viene definito «uno dei tanti che lo Stato dimentica, ma che la Nazione ricorda».
Vincenzo Saccà nasce a San Lorenzo: si arruola nei Mille all’età di 35 anni, dopo aver patito il carcere a Procida per la sua partecipazione ai moti del 1848. Scrive ad un amico: «le nostre popolazioni per aggire hanno bisogno di un nome magico, quale è quello del nostro prode Garibaldi». Muore prematuramente nel 1887. Originario di San Lorenzo è anche Bruno Rossi, morto nel 1916 alla veneranda età di 91 anni. Avvocato e più volte sindaco del paese natale, così ricorda, senza fronzoli retorici, la prima spedizione garibaldina in Aspromonte: «Il mattino del 20 agosto, la nostra truppa scese ed occupò Melito, malissimo accolta dagli abitanti, impressionati dai terrori religiosi dei preti che li dominavano».
È questo lo sguardo lungimirante di un cronista che intuisce come nel Mezzogiorno sia ancora vivo e palpitante l’oscurantismo sanfedista che aveva affogato nel sangue la Repubblica Partenopea del 1799.
Guglielmo Colombero
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 72, agosto 2013)