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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno II, n° 6 - Febbraio 2008

Zoom immagine Il brigante Musolino:
una nuova ricerca
economica e sociale
ne percorre la storia

di Valentina Pagano
I soprusi subiti e le nefandezze fatte
dal noto bandito, in un testo Squi[libri]


«La storia di un bandito è soprattutto la storia della sua latitanza, delle imprese criminose, degli scontri furiosi con la polizia, degli attentati, dei tradimenti, delle fughe. Il prima e il dopo possono essere anche dimenticati, possono essere anche taciuti». Proprio di questo ci parla Dario Altobelli, insegnante di Sociologia giuridica nella Facoltà di Scienze politiche all’Università di Roma “La Sapienza”, esperto di antropologia storica e giuridica e di archivistica, nel suo saggio Indagine su un bandito. Il caso Musolino (Squi[libri], pp.162, € 14,00). Proprio del “prima” e del “dopo Musolino” (dando forse per scontato il “durante”, consapevole della notorietà del personaggio), nella convinzione che la storia di un bandito, e più in generale, di un uomo, si delinei soprattutto nella storia del tempo e del contesto sociale e istituzionale in cui è vissuto, nei possibili futuri con cui è stato costretto a rapportarsi e in vista dei quali ha approntato le sue scelte.

Questa è la storia di un “bandito” che non sopporta di essere definito tale, un uomo vissuto in un ambiente saturo di superstizione e orgoglio, in cui le istituzioni sono assenti e ognuno è responsabile della salvaguardia del suo onore e della sua identità. Basti pensare che, quando viene catturato, perché distrattamente inciampato in un ostacolo, egli si meraviglia: «Ah! Chiddu filu! Chiddu filu! […] alludendo al fil di ferro che lo aveva fatto inciampare. E poi aveva espresso il doloroso e superstizioso stupore come mai fosse inciampato nelle maglie della giustizia proprio di mercoledì, giorno in cui si riteneva immune, perché dedicato dal popolino alla Madonna del Carmine, sua protettrice!...» (La cattura di Musolino […], «Il Mattino», 18-19 ottobre 1901).

 

L’analisi sociologica di un fenomeno mediatico

Il periodo storico è quello degli inizi del Novecento, quando è ancora solo embrionale il potere che i media (si parla ancora, ovviamente, di giornali e radio) esercitano sull’opinione pubblica. Eppure Musolino approfitta del suo momento di notorietà, sulla scia della straordinaria attenzione dedicatagli dalla stampa e, di conseguenza, dalla gente di ogni dove, sfruttando il mezzo a proprio vantaggio; in modo particolare, provocando discussioni riguardo al “tipo di delinquente” che egli incarnava: il brigante. Fioriscono le storie che narrano delle sue buone azioni, del “brigante” dal cuore buono nonostante si fosse macchiato di terribili delitti, assetato tuttavia, non di sangue bensì di giustizia. Indicativo, a tal proposito, il caso del ferimento di Giuseppe Angelone, contadino ex carabiniere, gambizzato da Musolino, il quale tuttavia gli risparmia la vita «perché solo sospettava adoperavasi per la di lui cattura», e che, credendo alla sua innocenza gli dice «d’essere pentito e addoloratissimo […] l’abbracciò» dando incarico a un passante di avvisare i carabinieri per soccorrerlo. Nonostante i diversi omicidi che si lascia alle spalle, la fuga e la latitanza, la gente lo ama e lo protegge, individuandolo come simbolo di rivendicazione delle ingiustizie sociali. Questo genere di cronache identificano la storia “musoliniana” con la letteratura brigantesca che sin dalla fine dell’Ottocento gode di un fiorente successo.

Si scatenano, sui quotidiani, accesi dibattiti fra le più note personalità della vita culturale italiana dell’epoca, da Cesare Lombroso a Giovanni Pascoli, che invia al brigante una cartolina nelle patrie galere. La dimensione sociale del caso Musolino viene ricondotta, poi, da Lombroso, all’originale ma contraddittorio connubio tra caratteristiche razziali e fisionomiche e la considerazione delle miserabili condizioni economico-sociali dell’ambiente, teatro delle imprese criminose. La Calabria è infatti individuata come una terra primitiva in cui domina il contrasto «fra tanta bellezza di suolo e di clima e la scarsezza di senso morale» (Adolfo Rossi). La fama del brigante diventa quindi spunto per una condanna collettiva della popolazione e di conseguenza per la necessità di un recupero di tali territori attraverso l’intervento attivo dello Stato.

Altobelli indugia soprattutto sul post-latitanza, sulla dura vita dell’ergastolo, facendo emergere altresì un’importante etnografia storica del carcere. Anche se le dure disposizioni erano «motivate, oltre che dalla grande pericolosità del soggetto, dalla possibilità di tentativi sediziosi dall’esterno miranti a facilitare una sua evasione» poiché, un «popolino minuto, ignorante e suggestionabile, aveva creato […] attorno a lui quasi un’aureola di gloria» (Giulio Cremona).

Un saggio, un indispensabile riferimento etnografico e antropologico, per conoscere il corollario della storia e della vita di un delinquente che la contemporaneità ha purtroppo trasferito nella dimensione del mito.

 

Valentina Pagano

 

(www.bottegasciptamanent.it, anno II, n. 6, febbraio 2008)

Collaboratori di redazione:
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