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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VII, n. 71, luglio 2013

Zoom immagine Giuseppe Garibaldi:
la vita di un eroe
raccontata al di là
dei manuali di storia

di Vilma Formigoni
La biografia dell’Eroe dei Due Mondi:
Sovera edizioni propone una visione
romanzata, inedita e affascinante


Fare di una biografia un romanzo di vita e di ideali non è mai semplice, tuttavia esistono nella storia persone la cui esistenza è stata così profondamente segnata da tensioni spirituali che ancora oggi sono argomento di studio e di ricerca.

Questi personaggi rimarrebbero nel limbo degli eroi sconosciuti ai più se non ci fossero scrittori, come Pierercole Musini, in grado di inserirli in una dimensione biografica storicamente corretta pur se romanzesca nel genere, rendendo noto il loro volto sia agli studenti sia agli appassionati cultori di biografie. Pierercole Musini in Una spada per un ideale (Sovera edizioni, pp. 208, € 15,00) dedica in particolare ai giovani la biografia che scrive, con l’intento di far rivivere e, soprattutto, di far conoscere grandi personaggi, sfatando la convinzione che la storia altro non sia che una successione di date e di episodi che “escludono il fattore umano”.

 

Il protagonista

A conferma degli obiettivi che l’autore si è posto, le prime pagine del libro sono dedicate ad un episodio che mette in luce il grande cuore del giovane primo ufficiale, Giuseppe Garibaldi, figlio di Rosa Raimondi, che salva la vita a Jules, mozzo alla sua prima esperienza di navigazione. È significativo, altresì, il fatto che l’autore non parta dalle informazioni “canoniche”: il suo intento è quello di far emergere la personalità, la cultura, gli ideali, a mano a mano che si sviluppano gli episodi che vedono Giuseppe Garibaldi protagonista di imprese straordinarie.

I testi scolastici di solito propongono il personaggio come l’Eroe dei Due Mondi: uno dei mondi, quello italiano, è noto e contornato da un’aura leggendaria alimentata dalla aneddotica storica; del “secondo” mondo, poco si sa, ad eccezione dell’esistenza di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, conosciuta meglio con il nome di Anita, la donna incontrata in Uruguay, morta poi nel 1849 nelle paludi del ravennate.

L’autore ripercorre le tappe dell’esistenza di Garibaldi caratterizzate da un denominatore comune, quello del sogno dell’indipendenza e della libertà dei popoli, unitamente al rifiuto di un progetto esclusivamente politico e lontano dalla realtà umana.

Infatti Pierercole Musini ci fa incontrare Garibaldi durante il viaggio verso il Brasile, già esule a ventotto anni, inseguito da una condanna a «morte ignominiosa» perché «dichiarato nemico della Patria e dello Stato» dalla Corte marziale di Genova.

Il racconto del viaggio offre l’opportunità di far conoscere i rapporti fra il giovane Garibaldi e Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovane Italia, società «non poi tanto segreta per gli sbirri del Regno di Sardegna e per le altre Potenze che […] avevano stabilito di proteggersi a vicenda da prevedibili movimenti rivoluzionari».

A Rio de Janeiro, capitale del Brasile, Garibaldi incontra altri italiani con i quali parla «con vivacità di linguaggio e con brio di esposizione» di Mazzini, di cui condivide gli ideali anche se questi «non può avere un’idea chiara della situazione» perché è costretto a vivere in esilio. La «grande avventura» sudamericana incomincia proprio per difendere la neonata Repubblica di Rio Grande do Sul, a conferma di quanto sia radicata nell’eroe l’idea di “repubblica”, come la sola forma di governo possibile per realizzare gli ideali di libertà e di giustizia che gli stanno tanto a cuore.

Nel corso della narrazione degli eventi l’autore racconta anche l’origine della famosa “camicia rossa”, assurta a divisa di Garibaldi e dei garibaldini, sempre fedeli al loro generale, il quale è un abile stratega, soprattutto quando sembra che la sorte sia sfavorevole, ma anche un diplomatico, seppure poco accorto nell’uso della parola invece che della spada. Fra scontri eroici e ritirate strategiche, Garibaldi alterna a momenti di esaltazione altri di profonda delusione. Anita, la moglie tanto amata, cura e alleva i figli Menotti, Teresita e Ricciotti, fra inimmaginabili difficoltà, senza tuttavia mai perdere di vista la realtà politica ed economica alquanto precaria nella quale conduce la propria esistenza.

La moglie ama il proprio uomo nel bene e nel male anche se a volte l’autore coglie un atteggiamento sarcastico: «Che tu sia generale mi aiuta poco, perché tanto dovrò continuare a rammendarti gli indumenti, come sto facendo adesso!». Poi, per farsi perdonare quella sua reazione alla povertà cronica in cui vive, aggiunge: «C’è gente che per il denaro venderebbe l’anima, e tu non pretendi neanche quello che ti spetta di diritto. Ma hai ragione: le persone che potrebbero anche farti ricco sono persone da tenere alla larga come una brutta malattia. E poi mi piaci così come sei!...».

Il momento di ritornare in Italia giunge quando Garibaldi si rende conto che i protagonisti dell’avventura sudamericana «miravano soltanto a raggiungere il potere togliendolo ad altri».

Nel 1848 Garibaldi, sulla nave “Speranza”, approda in Italia con sessantatré uomini coraggiosi pronti a combattere per gli ideali di indipendenza e di libertà. Liberare Roma dal papa e proclamare la Repubblica Romana si rivela ancora una volta un sogno irrealizzabile; ancora una volta l’ideale mazziniano e il realismo militare garibaldino si scontrano con l’inevitabile conseguenza di una sconfitta militare e personale di Garibaldi che, durante la fuga verso la Romagna, perde la compagna di una vita. Anita infatti muore lasciando il generale in preda allo sconforto.

Seguono anni difficili sul piano personale. I manuali di storia ci raccontano di un Garibaldi che insegue, imperterrito, il sogno di libertà e di indipendenza italiana; i rapporti con Giuseppe Mazzini sono sempre più difficili e l’antica condivisione di ideali è ormai retaggio del passato. L’eroe comprende che il futuro dell’Italia è nelle mani della dinastia Savoia.

Cavour è un abile stratega politico e il generale un uomo dedito all’azione; questi due uomini, pur lontani per mentalità e cultura, consegnano nel 1860 l’Italia a Vittorio Emanuele II. Almeno un ideale è raggiunto: nel 1861 la proclamazione dell’Unità d’Italia è realizzata.

Ancora una volta seguono anni amari e difficili. Sono anni di cui i manuali non parlano molto, eppure sono proprio quelli in cui il generale, ormai perduta la gagliardia della giovinezza, ma non lo spirito indomito e realistico, guarda con disappunto a quella «povera Italia, quella che affrontò gli Austriaci […] e che fu battuta a Custoza».

Dopo una breve parentesi londinese, osannato dal popolo ma inviso alla regina Vittoria e all’imperatore francese Napoleone III, Garibaldi torna a Caprera, l’isola che ha acquistato con aiuti insperati e nella quale si rifugia: l’Italia è sempre nel cuore, soprattutto quando, amaramente, afferma: «Dimenticare le ingiurie è una mia prerogativa che conoscono anche quei bacucchi là, e se ne servono al momento opportuno. La loro bussola indica sempre l’utilità e non la moralità di ciò che fanno, e li manderei volentieri a ramengo. Ma, per me, è l’Italia che chiama, non loro; e sono pronto!».

L’età ormai avanzata non gli impedisce di spendere le ultime energie per tentare di liberare Roma dai francesi e consegnarla all’Italia che ama. Garibaldi non si sottrae nemmeno al rischio di essere rinchiuso in carcere a Varignano. È Vittorio Emanuele II ad intervenire in suo favore per consentire all’eroe di tornare «nella sua Caprera».

Concluso il periodo delle grandi battaglie, è giunto ormai il momento dell’ozio: «costretto a deporre la spada, impugnò la penna e si improvvisò romanziere. Ma se era diventato un monumento vivente per le sue imprese leggendarie, non si può dire la stessa cosa per la sua fama di scrittore». Dopo la caduta di Napoleone III, il richiamo delle battaglie in nome della libertà interrompe l’ozio forzato di Caprera, ma l’eroe è ormai stanco e deluso dall’ingratitudine di coloro «per i quali ha combattuto e vinto».

Rifiuta la pensione offerta dal governo, rinuncia alla carica di deputato, nutre qualche speranza quando uno dei Mille, Agostino Depretis, diventa capo del governo, ma il declino dell’uomo è inarrestabile. Muore il 2 giugno 1882.

 

Valore dell’opera

Leggere il libro di Pierercole Musini è di straordinaria importanza, oltre che per il suo valore storico, anche perché stimola i giovani a riflettere sul valore della lotta per gli ideali. Senza ridondanze retoriche e arricchito di note puntuali ed esplicative, il testo descrive la leggenda di un uomo che è riuscito a mantenere un’integrità morale e spirituale rara da trovare già in quell’epoca storica, ma assolutamente preziosa in questa difficile e confusa contemporaneità.

 

Vilma Formigoni

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 71, luglio 2013)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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