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Anno VII, n. 70, giugno 2013
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Politica ed Economia (a cura di Alba Terranova) . Anno VII, n. 70, giugno 2013

Zoom immagine Risorgimento:
il Sud d’Italia
senza retorica

di Ulderico Nisticò
Edito da il Mulino, uno studio
che smitizza i luoghi comuni
per riscostruire eventi rimossi


Esiste un momento della cronaca meridionale del 1860 che è stato dato quasi per scontato, e comunque considerato poco influente: che cosa accadde nel Meridione tra la conquista garibaldina della Sicilia e l’abbandono di Napoli da parte di Francesco II di Borbone? Paolo Macry ci fornisce la sua risposta con uno stile divulgativo, più pamphlettistico che scientifico. La cronologia comprende poche settimane, dal 27 luglio (presa di Messina) al 7 settembre (ingresso di Garibaldi nella capitale); ma intanto Francesco II aveva riportato in vigore la costituzione del 1848, sospesa ma non abrogata dal padre, e nominato ministro degli Interni Liborio Romano, il quale eliminò con pretesti burocratici tutti i funzionari fedeli al trono e li rimpiazzò con genuini o presunti liberali. Macry, nel suo saggio Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi (il Mulino, pp. 160, € 13,50), non lo nega: in effetti Romano si affidò alla camorra per mantenere l’ordine in città e preparare l’arrivo di Garibaldi. In tal senso tradì il mandato che gli aveva affidato Francesco II, anche se potremmo dire che quest’ultimo se l’era andata a cercare visto che le tendenze liberali di Liborio Romano non erano di certo un segreto!

 

1860: Processo unitario o annessione?

Il 2 ottobre 1860, dopo la sconfitta sul Volturno, Francesco II raggiungeva quel che restava del suo esercito asserragliato nella fortezza di Gaeta per un’ultima disperata resistenza. Ma, agli occhi dell’Europa e di quasi tutti i suoi stessi sudditi, egli appariva ormai un fattore trascurabile della situazione. Il timore che il Nizzardo volesse fare la rivoluzione davvero, e portare a Roma le sue raffazzonate ma vittoriose camice rosse, indusse le cancellerie d’Europa a favorire un intervento normalizzatore, che, per non turbare consolidati equilibri internazionali, fu inevitabilmente affidato all’unica potenza italiana esistente, il Regno di Sardegna. Va però annotato che quando Vittorio Emanuele fu accolto da Garibaldi a Napoli, il 7 novembre 1860, i Borboni non erano ancora del tutto debellati: solo dopo 102 giorni di assedio, difatti, la fortezza di Gaeta capitolò. Era il 15 febbraio 1861. Sul versante politico, i gangli vitali del governo e, quel che più conta, dell’amministrazione statale erano comunque già disposti nel senso voluto dal nuovo regime. E il consenso era assicurato da tre fattori: sincero entusiasmo innovativo di alcuni; rassegnata o astuta adesione di altri; controllo della camorra sui ceti popolari di tutti.

Secondo il Macry, è nel turbinio di quegli eventi che bisogna ricercare le radici dell’unificazione ma anche i suoi limiti e le sue debolezze, come pure i suoi punti di forza. Sarà il Meridione, nei decenni successivi – e lo è rimasto tuttora – l’entità geografica, politica e sociale cruciale per il consenso allo stato unitario, quali che ne fossero la forma e l’assetto ideologico; e, in cambio, il Sud chiederà, e generalmente otterrà, quella copertura assistenzialistica che, osserviamo noi, sostituirà ben presto ogni autonomia economica, anzi la stessa voglia di autonomia. La conquista del Sud da parte del Nord si rovescia nella meridionalizzazione dell’apparato burocratico e di parte almeno della dirigenza politica.

 

Fra gattopardismo e politica machiavellica

Altri spunti meritevoli di riflessioni ben più approfondite sono rintracciabili in questo conciso e sintetico volume. L’Italia, osserva Macry, supera ogni sorta di difficoltà, faticosamente raggiunge livelli di progresso paragonabili alla media europea; e, salvo episodi di nicchia, non vede mai messa in discussione l’Unità nazionale. Difficile non condividere queste due affermazioni, che rivalutano in qualche modo quelle classi dirigenti che, detto in generale, sono state oggetto di desolante discredito da parte di tutti i nazionalisti, i repubblicani, i socialisti, i fascisti, la cultura contemporanea di sinistra, i revisionisti seri e quelli folcloristici e fugaci. Un ceto politico che, scriviamo noi in altra sede, affrontò e risolse alcuni problemi proprio facendo leva sulla propria quotidiana aurea mediocritas: il contrario di quanto avevano sognato i patrioti risorgimentali, ma il meno peggio che si poteva rimediare all’epoca. E così viene “rivalutato” anche quel don Liborio al quale dobbiamo “dire grazie” se la camorra, già fortemente radicata nel territorio nel 1860, conserva tuttora la propria influenza su vaste aree della Campania.

Dalle pagine del libro di Macry traspare nettamente un messaggio unitario rivolto agli Italiani contro le tendenze particolaristiche; ma nel contempo si ammette che l’unificazione del 1860, in specie nel Meridione, avvenne come avvenne, camorra compresa, perché, con un certo machiavellismo banale, quello era il solo modo che le circostanze di allora consentissero.

 

Ulderico Nisticò

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 70, giugno 2013)

 

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