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Anno II, n° 6 - Febbraio 2008
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 6 - Febbraio 2008

Zoom immagine Abusi: serve
più attenzione

di Martina Chessari
Un caso di pedofilia
riportato da un libro
di Pellegrini editore


Il fenomeno dell’abuso sessuale sui minori è uno di quegli argomenti che, ancora oggi, non viene adeguatamente affrontato dagli enti competenti e in generale dall’intero contesto sociale. Purtroppo, come afferma il dottor Sergio Puggelli, «sia la scuola, sia i mass media s’interessano al problema solo a fatti accaduti e non prevenendoli. La tematica dell’abuso sessuale sui minori […] è ancora uno dei più grossi tabù esistenti della nostra società; […] esiste una cultura psicologica, medica e giuridica che non riesce a percepire e di conseguenza a prevenire la violenza sessuale a danno dei minori poiché non riesce a pensarla come fenomeno diffuso e difforme». I bambini vittime di pedofilia sono purtroppo ancora tanti nel nostro paese, molti di più di quelli che dichiarano le indagini giudiziarie; inoltre, essendo spesso gli aggressori familiari o comunque conoscenti della vittima, molti casi di violenza sessuale rimangono sepolti nel silenzio per vergogna dello “scandalo sociale”.

Alessandra Hropich − da anni impegnata in attività di carattere sociale, in particolare verso quelle che affrontano problematiche familiari − racconta nel suo libro Quando il mostro è il proprio padre (Pellegrini, pp. 180, € 15,00), la testimonianza di un caso reale di pedofilia.

 

Un “mostro” fra le mura domestiche

Il romanzo affronta la vita difficile di una madre e delle due figlie, vittime per troppo tempo degli orrori e delle evidenti perversioni di un uomo che, sia come marito sia come padre, ha lasciato un segno indelebile su queste donne. Il fatto che il “mostro” facesse parte della cerchia familiare ha generato nelle vittime, un po’ per paura dei giudizi esterni, un po’ per quell’idea “sacra” della famiglia, un opprimente senso di vergogna e un conseguente silenzio durato a lungo. Questa è una tendenza comune a quanti sono oggetto di violenza, sia fisica sia psicologica, da parte di un parente; subentra un atteggiamento di complicità e riservatezza nei confronti dell’aggressore proprio perché questi fa parte del nucleo degli “intimi”, di quelle persone con cui si ha un legame di sangue.

Vittima di questa storia è Ornella, una bambina di soli sette anni, troppo piccola per capire realmente la gravità del danno che sta subendo; si perderà, com’è normale che sia, in circoli viziosi fatti di silenzi, paure, insicurezze e conseguenze irreparabili per tutta la vita.

Il libro inizia con il matrimonio tra Carlo e Maria: il primo è un giovane di origine rumena, lei una calabrese di appena vent’anni. Entrambi, seppur seguendo ottiche diametralmente opposte, vedono nell’altro una speranza per il futuro: lui vorrebbe una “schiava” che lo assecondi senza nessuna iniziativa, lei sogna stabilità economica e una famiglia tradizionale.

Sin dalle prime pagine il lettore riesce subito ad inquadrare la personalità negativa di Carlo: egoista, falso vittimista, disfattista in tutto, soprattutto con la moglie, affetto da insopportabili manie, psicologicamente deviato. Ciò che più inquieta è la sua doppia personalità che mette in atto: cordiale, discreto e attento all’esterno, animalesco, opprimente e indifferente in casa.

Maria, dal canto suo, oppone una ferrea forza di volontà e sopportazione, tipica delle donne, ostinandosi a porre rimedio ai suoi comportamenti e a tenere in piedi la coppia per pura apparenza sociale e anche per quel desiderio represso di un matrimonio solido. Per lei il senso della famiglia è così forte e desiderato da arrivare a sostenere situazioni paradossali, patetiche, ai limiti della follia.

Durante sette anni la relazione di coppia si trascina avanti stancamente tra continue liti, fino ad arrivare al concepimento della prima figlia, Ornella, avvenuto in un modo che indignerebbe e umilierebbe qualsiasi donna: «Facendosi pregare quasi ogni giorno, dopo numerosi lamenti e insistenze da parte di lei che tanto amava avere dei figli, Carlo un bel giorno le spostò le mutande quanto bastava per mettere al mondo un bambino con un modo di fare scostante che nessuna donna avrebbe sopportato, tanto è vero che la pregò, subito dopo quella ridicola prestazione, di non chiedergli mai più sesso».

Totalmente indifferente alla nascita di sua figlia, Carlo tormenta quotidianamente Maria con parole di disprezzo verso la piccola Ornella, appellandola come insopportabile, insignificante e fastidiosa; Maria, da parte sua, continua a combattere contro ogni logica la follia del marito, si strema a farlo ragionare e a convincerlo dell’assurdità dei suoi comportamenti, ottenendo paradossalmente l’effetto opposto: essere ridicolizzata e, senza saperlo, compiacere il compagno nel suo perverso gioco di danneggiare la sua famiglia.

Ci troviamo davanti a un individuo che si realizza nell’essere distruttivo verso il mondo, che odia la felicità altrui e ogni forma di miglioramento; si sente continuamente vittima di cospirazioni segrete da parte dell’ambiente esterno e soprattutto della moglie. La causa principale sono i suoi pregiudizi che non lo lasciano vivere e le sue tremende ossessioni che lo portano ad avere una visione distorta della vita. Ovviamente, è essenziale sottolineare che la personalità deviata di Carlo è a sua volta il risultato di un passato traumatico, segnato da maltrattamenti e privazioni. La sua ossessione per il cibo ad esempio − comprava pane a dismisura così come tanti altri alimenti per combattere una forte ansia che lo assaliva al solo pensiero di rimanere senza cibo − è conseguenza di un’infanzia marcata dalle violenze del patrigno e dalla scarsità di cibo in casa; tutto ciò che aveva subito quando era solo un bambino non si cancellò mai dalla sua mente e anzi, aumentò in lui un senso di rabbia repressa che non aveva mai potuto esprimere.

I suoi eccessi dunque, vertono, a livello inconscio, a colmare mancanze e scompensi passati. Alla luce di questa chiave si possono leggere anche le manie da “super-uomo” di cui è affetto il personaggio: la convinzione ferrea che nessuno meglio di lui possa svolgere un compito, la presunzione dei suoi atteggiamenti, l’egocentrismo di ogni sua conversazione sono solo alcuni esempi del suo “essere superiore” . Ricordano, in un certo senso, La teoria della volontà di potenza di Friedrich Wilhelm Nietzsche secondo cui «il super-uomo vuole imporre la propria volontà perché crede che questo sia l’unico modo per realizzarsi: la volontà di potenza è la volontà dell’uomo di riuscire a trovare la propria felicità».

 

L’inizio del dramma

A due anni dalla nascita di Ornella, Maria partorisce la sua secondogenita Clara, avvenimento che anche questa volta lasciò Carlo nella più totale indifferenza.

Durante gli anni successivi, quando Ornella aveva già sette anni e Clara cinque, Maria cercava di passare quanto più tempo possibile fuori casa, dato che la relazione con il marito era diventata ai limiti di ogni tolleranza. Decise d’iscriversi a una scuola per adulti per conseguire il diploma, alla quale si recava ogni pomeriggio con la figlioletta Clara, troppo piccola per rimanere incustodita.

Ornella invece rimaneva in casa a fare i compiti in compagnia del padre, verso cui la moglie non nutriva alcuna stima ma che almeno riteneva “affidabile” a sorvegliare la bambina. Fu in quei pomeriggi “familiari” che Carlo cominciò ad abusare sessualmente della figlia, promettendole ogni sorta di regalo pur di continuare a possederla altre volte, il tutto nella riservatezza di un silenzio che durò per anni.

Ornella consumò così gli anni della sua fanciullezza tra crisi di pianto e un’introversione profonda, tanto che in molti si chiedevano se “fosse muta”; la madre, da parte sua, attribuiva le stranezze della figlia a un carattere difficile o a una crisi momentanea.

Carlo, perverso e cinico fino all’inverosimile, suggeriva di rinchiudere la bambina in una clinica per matti, così da sviare qualsiasi sospetto nei suoi confronti. Furono anni difficili per tutta la famiglia, le ossessioni e gli atteggiamenti di Carlo erano diventati preoccupanti e insostenibili anche per Maria che, fino ad allora, aveva cercato di mantenere per l’occhio esterno un’immagine “pulita” della casa. Erano diventate frequenti le allusioni di Carlo alla sua passione per le bambine, al loro essere “pure” ed “innocenti”; le definiva «donne di bassa statura», mentre reputava le donne inutili e ripugnanti.

Sorprende come Maria, una donna sveglia e attenta in tutto, non avesse mai sospettato prima delle reali devianze psicologiche del marito; paradossalmente, il suo senso sacro della famiglia, la frustrazione di un matrimonio soffocante e l’ansia per la dipendenza economica dallo sposo svilupparono in lei una cecità verso la realtà che la circondava. Quando gli abusi sessuali che Ornella aveva subito dal padre vennero alla luce, la donna sviluppò una forza e un’intelligenza, fino ad allora sconosciute, che avevano un solo obbiettivo: rompere il silenzio e ogni schema per aiutare la figlia.

Nonostante i numerosi tentativi di Maria di rivolgersi ad esperti e all’aiuto di chiunque potesse consigliarla, Ornella crescerà con notevoli disturbi e non sarà in grado di instaurare una relazione affettiva normale con un uomo.

Il libro si conclude con un’intervista dell’autrice a un cardinale e a un avvocato, ai fini di mettere in risalto a tale riguardo il punto di vista di due istituzioni opposte: la chiesa e la legge. Emerge, da un lato, l’aiuto che può dare la fede in Dio, capace di trasformare la voglia di vendetta in perdono e in compassione per l’aggressore, un atto di grande libertà che dimostrerebbe comprensione nei confronti delle miserie umane. Dall’altro affiorano il desiderio e il dovere di vedere puniti con la legge tutti coloro che sono artefici di violenza a scapito di minori, essere indifesi che porteranno con sé per sempre le conseguenze, spesso irreparabili e incolmabili, di quegli abusi.

Le riflessioni finali della Hropich invitano a un dialogo sociale più aperto e libero da preconcetti: sarebbe indubbiamente un grosso aiuto verso tutti coloro che portano dentro un trauma indelebile e di cui non riescono a liberarsi per vergogna o per paura del giudizio dell’opinione pubblica.

 

Martina Chessari

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 6, febbraio 2008)

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