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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VII, N. 69, maggio 2013

Zoom immagine Essere zombie
con un cuore
che ridà la vita

di Francesca Ielpo
Da Fazi, Warm Bodies:
un successo editoriale
prima che cinematografico


Ripercorrere le peculiarità di una vita umana attraverso la narrazione di avvenimenti fantastici e semirealistici non è un’impresa facile. È necessario attingere dalla sensibilità umana e incastrare in essa elementi e meccanismi lontani dal visibile e dall’immaginario quotidiano.

Si potrebbe pensare a uno zombie  innamorato di una ragazza: come si destreggerà nel suo obbiettivo di averla per sempre tra le sue braccia senza mangiarle il cervello? Da ciò prende avvio e si sviluppa il romanzo Warm Bodies. L’amore prende vita (Fazi, pp. 272, € 14,50), di Isaac Marion, giovane scrittore appassionato di musica e viaggi.

L’opera è presto diventata un successo: basti pensare all’omonimo film che ne è stato tratto agli inizi del 2013 (a due anni di distanza dall’uscita del libro), diretto da Jonathan Levine e prodotto dagli stessi di Twilight.

 

Uno zombie umano

Il protagonista della storia è R, uno zombie dai pensieri profondi. Presto si legge della sua generale perplessità riguardo all’autenticità della propria esistenza: «Mi metto una mano sul petto, sopra il cuore. Il mio “cuore”. Questo organo pietoso rappresenta ancora qualcosa? Giace ancora nel mio petto, senza pompare una goccia di sangue, totalmente inutile, eppure i miei sentimenti sembra non abbiano smesso di nascere tra le sue gelide pareti. La mia tristezza smorzata, il mio vago bramare, i rari scatti di gioia. Stagnano al centro del mio petto e di lì trasudano, diluiti e deboli, ma reali». Insieme ai suoi simili R vive in un aeroporto abbandonato. Qui incontra per la prima volta Julie, di cui si innamora e di cui non mangerà nulla. D’altra parte non esita a cibarsi del cervello di Perry, fidanzato della ragazza. Il cervello di Perry, ormai morto, permetterà al giovane zombie di calarsi in ricordi umani che lo attanagliano e lo fanno sprofondare in una forte crisi esistenziale. La vita di Perry è un po’ in R: «Lo sai cos’è successo dopo, cadavere? bisbiglia Perry dalle ombre profonde della mia consapevolezza. Lo indovini? “Perché mi stai facendo vedere tutto questo?”, chiedo alle tenebre. Perché è ciò che è rimasto di me, e voglio che lo provi anche tu. Non sono pronto a scomparire. “Nemmeno io”. Sento un sorriso gelido nella sua voce. Bene».

Julie, all’oscuro di tutto ciò (saprà la verità solo verso la fine), accompagna R nella sua crescita umana: con lei impara a guidare, scopre la musica e… l’amore. Non a caso l’autore scrive, tra una pagina e l’altra, di John Lennon «che canta dell’amore senza limiti né fine» e del protagonista con le lacrime agli occhi.

Importante è prendere nota della suddivisione del libro in tre parti (Volere, Prendere, Vivere), vista come una sorta di percorso al fine di raggiungere una felice sopravvivenza. Lo zombie lentamente entra «sotto il cielo rosso della sera» nel mondo dei Vivi, lontano dagli Ossuti. Contemporaneamente si avvicina a Julie e lei non si arrende alla natura del suo amato. Tra i due scorrono parole di coraggio, affetto, comprensione: «Risorgeremo. Lotteremo contro la maledizione e la sconfiggeremo. Piangeremo e sanguineremo e brameremo e ameremo, e troveremo una cura per la morte. Noi saremo la cura. Perché vogliamo esserlo».

 

Ironia e riflessione

Ma Warm Bodies non è una semplice storiella d’amore di genere fantastico o “vampiresco”: la scrittura che vi ritroviamo è fine. Vi si intravede una serie di conoscenze che va al di là della mera narrazione di accaduti che prevede intrecci spesso già stabiliti dal genere. Più volte si cita Kerouac e il suo On the road: «Il nostro gruppo di cadaveri sta percorrendo un pezzetto al giorno, vagando come i beat di Kerouac senza soldi per la benzina su strade sterminate»; o, addirittura, si trovano riferimenti all’attuale e mal conciata situazione dell’industria dell’editoria cartacea: «Cosa? Scrivere?». «Sì, voglio dire, c’è ancora tipo… un’industria dei libri?». «Il colonnello Rosso dice che solo il trenta per cento delle città del mondo funziona ancora, per cui a meno che gli zombie non imparino a leggere… non è un gran momento per darsi alla letteratura. Probabilmente andrò a finire alla Sicurezza».

L’ironia è la caratteristica di cui l’intero romanzo è intriso, numerose sono le sentenze giocose che fanno sorridere e riflettere. Si guardi già alle prime pagine, quando R cerca di presentarsi: «Sono morto, ma non è poi così male. Ho imparato a conviverci. Mi spiace di non potermi presentare come si deve, ma non ho più un nome. […] Il mio amico M dice che uno dei paradossi dell’essere uno zombie è che è tutto buffo, ma non puoi ridere, perché le labbra si sono putrefatte. Nessuno di noi è particolarmente attraente, ma la morte è stata più che gentile con me. Sono ancora ai primi stadi di decomposizione. […] Qualcuno potrebbe anche scambiarmi per un vivo un po’ stressato».

Isaac Marion scatena così nel lettore curiosità, intrattenimento e riflessione. Poi, come non notare la parte grafica? Sono numerose, infatti, le immagini in bianco e nero di organi umani a monte di ogni capitolo: chi legge è attentamente accompagnato nel processo di umanizzazione del protagonista.

Alla stregua di Twilight, Fazi editore si concentra ancora sul fantasy e da questa scelta riporta un’ennesima notevole vittoria.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 69, maggio 2013)

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