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Direttore editoriale: Natalia Bloise
Graziana Pecora
Anno VII, n. 68, aprile 2013
L’universo
delle novelle
di Capuana
di Daniela Vena
Il Decameroncino: da Albus
la ristampa di un classico
del Verismo (parapsicologico)
Luigi Capuana, nato a Mineo nel 1839 e morto a Catania nel 1915, fu scrittore, critico, insegnante universitario, ma soprattutto amò la sua terra, che descrisse e fece conoscere in tutta Italia. Si appassionò ai principi naturalisti francesi, li sostenne, li divulgò e li applicò nelle sue opere letterarie. Scrisse due importanti romanzi, Giacinta (1879) e Il marchese di Roccaverdina (1901), e parecchi libri di novelle, tra cui spicca Le paesane (1894). Compose anche opere teatrali in dialetto e libri di narrativa per l’infanzia. Capuana visse sul finire di un secolo in cui il Romanticismo passava il testimone al Verismo, la cui poetica, secondo l’elaborazione del critico, si basava sulla necessità di «ritrarre direttamente dal vero». L’indagine dei processi psicologici secondo i principi della fisiologia e l’attenta documentazione folklorica sottesa alla rappresentazione del mondo contadino, propri di tutti i veristi, assumono in Capuana un peso particolare, rivelatore di una più generale apertura dello scrittore a tutte le novità culturali. Il gusto per la sperimentazione permise a Capuana di comprendere acutamente, discutere e difendere le nuove tendenze e di farsi interprete intelligente della narrativa verghiana. Nella seconda parte della sua vita lo scrittore accolse le tendenze spiritualistiche, estetizzanti e irrazionali, e fu incuriosito dalla parapsicologia, come si può vedere nella raccolta di novelle Il Decameroncino, adesso riproposto da Albus edizioni (pp. 128, € 7,50). «Ciò che ci fa leggere oggi le novelle del Decameroncino è sicuramente il gusto dell’ascolto; possiamo immaginare di trovarci nel salotto della baronessa a celiar con loro di questo e quello, ma soprattutto ad accogliere, ridendo e castigando, la nuova atmosfera artistica e culturale di un momento storico che si avvia a diventare la nostra modernità, quella in cui tutto è possibile, dove non c’è più confine tra spirituale e corporeo, in cui il sogno di Freud diventa la chiave investigativa di quella psiche che qui appare fuggevole, non ancora definita, ma presente». Questo frammento tratto dalla Prefazione a cura di Gina Sfera carpisce immediatamente l’attenzione del lettore e la grande capacità descrittiva dell’autore ipnotizza sin dalle prime battute.
I racconti di un vecchio fabulatore
La scelta del titolo ricorda immediatamente l’opera del Boccaccio, ma allo stesso tempo «ci dà anche la misura di una differenza». L’unico punto comune tra le due pubblicazioni è la suddivisione dei racconti in dieci giornate, per il resto il testo di Capuana prescinde dall’imponente ed eclettica struttura boccaccesca. Le dieci giornate dello scrittore siciliano si svolgono, secondo i costumi dell’epoca, nel salotto della baronessa Lanari, dove le personalità più brillanti, le menti più acute e le persone di spicco si riunivano, parlando degli innovativi temi scientifici e culturali che vivacizzavano la società italiana sul finire dell’Ottocento. Le novelle sono raccontate dall’anziano dottor Maggioli che, grazie alla capacità d’improvvisazione, ammalia i suoi ascoltatori, senza mai destare alcun sospetto sulle istantanee invenzioni. I suoi racconti sembrano ricordi della trascorsa giovinezza o frammenti di vecchie letture, che l’arzillo ottantaseienne imbastisce così bene da stupire e “inchiodare” l’intero pubblico. Maggioli si diverte ad inventare storie che si sviluppano tra enigmatici misteri e progresso, adora parlare del dualismo tra mente e corpo o, ancora, del rapporto che unisce il fantastico al fantascientifico. Durante la narrazione, il dottore ricopre non solo il ruolo del narratore ma anche quello del protagonista, svelando il proprio sarcasmo e la consueta ironia ai danni di quella cultura scientifica che si stava espandendo alla fine del secolo.
Americanata, la novella della «giornata prima» è un esempio dell’amore per l’eccesso, che poi scade in tragedia e che l’autore dileggia. Il dottor Maggioli comincia a raccontare di un suo povero amico di Boston, un giovane chimico che sognava di fare delle scoperte prodigiose per sbiancare i denti e rigenerare i capelli. Tali scoperte gli avrebbero permesso di arricchirsi e di sposare la sua ragazza. La scelta di migliorare l’estetica dei denti e dei capelli non era casuale, ma era dettata più dai grandi complessi della sua giovane fidanzata, miss Mary Stybel, che per l’appunto aveva capelli fragilissimi e denti giallicci. Il vecchio fabulatore racconta di come il giovane chimico avesse intaccato la propria salute, dedicandosi giorno e notte alla ricerca di queste miracolose formule. Dopo svariati tentativi riuscì a concretizzare il suo desiderio mescolando alcuni composti all’interno di due diverse ampolline. Ma la fidanzata, miss Stybel, che non brillava di certo per intelligenza, scambiò le boccette, mettendo la lozione sbiancante sui capelli e quella rigenerante sui denti. Il risultato fu un disastro, tanto che i sensi di colpa del giovane chimico lo portarono al suicidio.
Nelle novelle riscontriamo inoltre elementi di critica mista a meraviglia per lo spiritismo. È il caso della «giornata terza» intitolata Presentimento. L’anziano dottore espone un episodio risalente a vent’anni prima, che vedeva come protagonista il suo compagno di collegio Batocchi. Maggioli e Batocchi, dopo moltissimi anni, si erano rincontrati e pranzando parlavano delle loro esperienze, ricordando alcuni amici che erano passati a miglior vita. Il discorso restò sul tema peggiore: la morte. Mentre il dottore parlava dell’incapacità di ognuno di prevedere la propria morte, Batocchi affermò di conoscere esattamente il mese e l’anno in cui avrebbe esalato l’ultimo respiro: «nel maggio dell’83». Dapprima Maggioli cominciò a scherzare, ma dopo avere visto la certezza dell’amico fece una scommessa secondo cui nella data prestabilita lui, insieme agli amici più cari, sarebbe stato ospite di Batocchi, il quale s’impegnava ad offrire un pranzo luculliano. Trascorsi vent’anni da allora, proprio nel maggio dell’83, Maggioli e gli amici più intimi di Batocchi si riunirono a casa sua. Il quarto giovedì del mese, alle cinque in punto, Batocchi morì sotto gli occhi increduli di tutti.
Altre novelle ricalcano invece l’interesse per i nuovi metodi scientifici, per gli sperimentali approcci della psicologia e per la svariata documentazione antropologica.
Nella conclusione Capuana inscena un incontro con Maggioli, tessendone le lodi ed esaltandone la grande capacità espositiva che, a giudizio del critico, meriterebbe di lasciare una traccia scritta. Sentendo tali parole l’anziano dottore spiega che, per fame di vanità, aveva cominciato a mettere per iscritto le sue storie, ma con una tale difficoltà da stupirlo. I personaggi inventati, però, avevano occupato la sua intera esistenza e lo tormentavano, poiché non trovava una conclusione per la loro storia. Vittima delle sue stesse maschere, Maggioli non riusciva più a condurre una vita normale, così, impugnando la penna, li uccise. Da quell’istante l’anziano narratore ritrovò la serenità perduta e non pensò più a scrivere. Al termine del racconto Capuana dice di aver trascritto solo alcune delle novelle del dottor Maggioli, lasciando nel lettore il desiderio di leggerne ancora.
Daniela Vena
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 68, aprile 2013)
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