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Graziana Pecora
Anno VII, n. 68, aprile 2013
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VII, n. 68, aprile 2013

Zoom immagine La letteratura
verso l’Unità

di Cristina Venneri
Un testo Rubbettino
sull’affermazione
della lingua italiana


Come nasce una nazione?

Un tempo la bella contadina che portava in dote ricche proprietà terriere faceva gola al signorotto che dal predellino della sua carrozza gettava lo sguardo all’orizzonte in cerca di affari facili.

Un possibile matrimonio di certo combinato, teso alla convenienza.

L’unificazione di terre confinanti, giustificata da dichiarate ascendenze comuni, non fa infatti altro che mettere in risalto le divergenze socioculturali tra le parti.

Ciò se si guarda però solo alla storia “recenziore”, sarebbe a dire dall’impero romano in avanti, trascurando (occultando) ciò che, invece, il celebre Vincenzo Cuoco in Platone in Italia fa bene a ricordare: le radici preromane policentriche da cui ci siamo sviluppati.

Perché a ben considerare l’albero genealogico della Sicilia (intesa come Regno) si riscontrerebbe una convergenza di più rami, quali greco, arabo e normanno piuttosto che romano e da questo punto di vista se si volessero attribuire radici comuni a chi dalla possente onda uniformatrice dell’impero romano era stato investito, si dovrebbe pensare all’esistenza oggi di un continente dalle estensioni superiori all’Europa stessa.

La creazione di una nazione deriva quindi da una continuità territoriale piuttosto che da una matrice culturale comune, sebbene quello dell’Italia sia un caso del tutto singolare trattandosi dell’unica nazione che con un anticipo di ben cinque secoli ha creato una lingua comune, presupposto essenziale, propedeutico a ogni altra unificazione invece indotta. C’è chi la pensa così, ma con un’inversione di prospettiva si potrebbe anche parlare di un considerevole ritardo nell’unità politica, acuito maggiormente dalla constatazione che sia dovuto trascorrere quasi un altro secolo prima che un’Italia, quella voluta dagli italiani, nella forma di Repubblica democratica che ci è stata consegnata, prendesse coscienza di esistere.

 

Buon compleanno Italia. Centocinquant’anni di negazione

Così, in occasione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, Marino Biondi, critico letterario e saggista italiano studioso di Storiografia letteraria risorgimentale, pubblica un saggio dal titolo Il discorso letterario sulla nazione (Rubbettino, pp. 306, € 16,00), nel quale fa leva sull’importanza storica rivestita dal ruolo degli scrittori nella creazione dello stato unitario attraverso il Risorgimento e non viceversa, come sarebbe più facile credere.

Che poi le delusioni delle aspettative e il rifiuto di quella che a tutti gli effetti si è rivelata un’annessione territoriale siano servite da spunto narrativo è un discorso letterario a parte, ampiamente trattato nel testo in questione.

Si parte da Dante Alighieri, punto di “origine” della lingua italiana. Eppure su un dato è necessario soffermarsi: quando si parla (si scrive) di Guerra civile, e spesso con toni amari e contrizione, si intende una lotta tra connazionali. Quando invece la guerra è combattuta tra nazioni diverse, magari confinanti, si verifica addirittura una esaltazione patriottica delle parti la quale subordina, inevitabilmente, una fratellanza più ampia che accomuna gli esseri viventi piuttosto che i soli conterranei.

Da qui, una serie di scrittori (per citarne uno: Franco Remotti in L’ossessione identitaria) inizia a condividere la convinzione secondo la quale la formazione di una solida identità nazionale non faccia che inasprire il divario con l’altro da sé, la xenofobia, che è creazione recente della mente umana in quanto, come spiega lo storico Erich S. Gruen, gli antichi mostravano più curiosità che riluttanza verso lo straniero, per non parlare della proverbiale accoglienza dei Greci.

 

Gli intellettuali fuori corte: quando la coscienza supera il potere

Sebbene da qualcuno sia stato pronunciato l’ormai biblico monito «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani», nessun organo è stato adibito all’adempimento dell’educazione nazionale che, come espone Silvio Lanaro in Retorica e politica. Alle origini dell’Italia contemporanea avrebbe dovuto essere affidata all’esercito e alla scuola, laddove ci si fermò alla sola creazione del Parlamento e dei consigli comunali e provinciali.

Tale ruolo di educatore se lo attribuirono invece gli scrittori, primo tra tutti l’ormai canzonato Edmondo De Amicis con il suo Cuore, che allestisce di fatto un programma educativo di prim’ordine.

Attraverso il saggio Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, Giovanni Berchet teorizzava una letteratura per il popolo, inteso non come massa, né élite chiaramente, ma come neoborghesia, la terza classe, destinataria di una letteratura che mettesse al centro il valore della nazione, prodotta da scrittori a loro volta nazionali.

Contestualmente, e in maniera del tutto responsabile e coscienziosa, i letterati dell’Ottocento diedero vita al romanzo storico, venendo a far coincidere il ruolo dello scrittore con quello dello storiografo, sebbene una letteratura tendente al realismo che si limiti alla testimonianza dei fatti personalmente visti sia giustamente criticata da Arturo Mazzarella in Politiche dell’irrealtà. Scritture e visioni tra Gomorra e Abu Ghraib.

Così, pure il Novecento continuò l’opera dei predecessori sulla scia di un realismo storico che fino ai giorni nostri si presta al discorso letterario spostando lo sguardo, però, su vicende locali, perdendone quindi il respiro nazionale da cui aveva preso piede.

Dunque, grazie alla lingua come collante e alla letteratura come educazione e registratore di eventi, l’Italia (meglio: l’italiano) conferma una certa predisposizione culturale e artistica ben più efficace delle capacità di un governo centrale che regga le sorti della nazione, se si considera che le vittorie finora ottenute sono in gran parte da attribuire alla volontà popolare, piuttosto che a scelte politiche.

 

Cristina Venneri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 68, aprile 2013)

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