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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VII, n. 68, aprile 2013

Zoom immagine Dalla Sicilia alla Tunisia:
migrazioni che uniscono

di Rossella Michienzi
Da Navarra, un’indagine storica e sociologica
sulla fusione di due diverse culture mediterranee


L’emigrazione italiana, anche se in maniera discontinua, è stato un fenomeno di massa fino alla seconda metà del XX secolo. Si afferma solitamente che l’Italia, tradizionale paese di emigrazione, sia ora diventato un paese di immigrazione. Ma per capire e accettare i nuovi flussi migratori bisogna fare i conti con un passato specifico, i cui protagonisti sono migliaia di italiani, soprattutto siciliani, trasferitisi in Tunisia. Purtroppo oggi è rimasta una scarsissima consapevolezza storica del processo migratorio dei siciliani verso il Nord Africa: da qui la necessità di Franco Blandi di ridar luce a questo fenomeno storico nel suo libro Appuntamento a La Goulette. Le assenze senza ritorno dei 150.000 emigrati in Tunisia (Navarra editore, pp. 144, € 14,00). Il testo è un affascinante viaggio volto a indagare e ricordare un segmento importante del passato del nostro paese: «una bella storia d’integrazione, fatta di culture che s’incontrano e che, senza imposizioni, si mescolano».

 

L’integrazione tra i popoli è possibile

Il libro è sapientemente costruito in due parti: la prima affronta il tema, per così dire, da una prospettiva storica, arricchita da interessanti testimonianze; la seconda, invece, abbraccia una visione sociologica, poiché analizza nel profondo la condizione dell’emigrato sospeso tra l’origine e la destinazione, che dunque vive sostanzialmente in un “non luogo”.

Bisogna ricordare che i primi viaggi dall’Italia alla Tunisia iniziarono nel 1600. Diversi periodici registrano il fenomeno a partire dal momento in cui gran parte della comunità ebraica di Livorno si stabilì su questa sponda del Mediterraneo. Da allora cominciarono ad arrivare gruppi da altre città e regioni: Genova, Pisa, Calabria e soprattutto Sicilia. Questo fenomeno migratorio diventò sempre più massiccio nel corso del XIX secolo. I primi ad espatriare furono i borghesi, mentre i ceti popolari lasciarono la Sicilia in un secondo momento, e precisamente dopo la riunificazione dell’Italia, quando contadini e piccoli artigiani iniziarono a vivere misere condizioni economiche e quando lo stile di vita cominciò a diventare sempre più basso e di dubbia qualità. Ma si presume che almeno altrettanti fecero lo stesso senza registrarsi e quindi sottraendosi ai calcoli ufficiali. Tra questi un nutrito gruppo si stabilì a La Goulette, una zona vicino al porto di Tunisi, in un quartiere che fu ribattezzato “la Petite Sicilie. Accolti, in un primo momento, con una certa diffidenza da parte delle autorità tunisine, non subirono comunque mai, nemmeno successivamente, episodi di aperta ostilità o razzismo. Gli unici tentativi di arginare la loro presenza giunsero, in realtà, dal protettorato francese, che cercò di negare la loro vera entità numerica, di restringere diritti economici e sociali, ma soprattutto fece pressioni affinché gli italiani prendessero la cittadinanza francese. Le autorità coloniali temevano, infatti, che la cultura italiana potesse acquisire via via maggiore influenza rispetto alla loro a causa del deteriorarsi dei rapporti tra i due stati con l’avvento del Fascismo.

Se queste difficoltà si registrarono a livello amministrativo, la popolazione reagì in maniera diversa. La curiosità ebbe il sopravvento su timori e pregiudizi, sul quel continuum (ormai abbattuto) di pratiche razziste. Sulle differenze prevalsero i punti di affinità e di contatto: l’indole espansiva delle due popolazioni, il forte attaccamento alla famiglia, la solidarietà, la condivisione delle stesse modeste condizioni.

 È quasi incredibile come nella vita di tutti i giorni si mescolassero naturalmente abitudini di vita , culture e prospettive diverse attraverso le quali guardare il mondo. Con il passare del tempo a La Goulette venne data “vita” a chiese e cimiteri, costruzioni indicative per eccellenza della presenza di una comunità. Il 15 agosto, per il festeggiamento della Madonna di Trapani, i tunisini facevano andare le proprie donne in processione e sia le famiglie arabe sia quelle ebraiche mandavano in chiesa ceri di devozione per la Madonna. Nei matrimoni misti, dove la conversione all’Islam era la consuetudine, gli sposi celebravano tanto le festività cristiane quanto quelle musulmane mantenendo l’unità famigliare. «L’esperienza dei siciliani de La Goulette mostra come lasciarsi pervadere, proporre e non imporre la propria cultura abbia effetti positivi», dice Blandi, che è anche documentarista, autore con Haykel Rahali e Nunzia Spiccia del testo teatrale Al di là del mare, ispirato proprio alla migrazione italiana in Tunisia nel secolo XIX. Blandi precisa: «L’esperienza di integrazione dal basso si realizza quando dal sospetto e dal pregiudizio iniziale si passa alla curiosità e alla comprensione, scoprendo che le nostre diversità possono arricchire gli altri solo se siamo disposti a farci arricchire da quelle altrui».

 

La constatazione della differenza, un rimando a Montesquieu

Anche se apparentemente irrilevante, il lettore di questo libro potrebbe vivere la stessa esperienza vissuta dai lettori delle Lettere persiane di Montesquieu. Come molti ben ricorderanno, si tratta di un romanzo epistolare in cui il grande signore di Ispahan, Usbek, desideroso di conoscere il mondo, parte con un amico, Rica, alla scoperta dell’Occidente. Durante il loro lungo viaggio scambiano con diversi amici delle lettere per riferire loro le proprie impressioni sulla civiltà occidentale, sui costumi e sulla vita quotidiana di Parigi e per ricevere notizie dalla Persia, in particolare dall’harem di Usbek, a Ispahan, dove regna il disordine dopo la partenza del signore. Questo libro, così come quello di Blandi, affronta un importante nodo sociologico, ossia la constatazione della differenza e della relatività dei mondi sociali, unita al desiderio di scoprirne le cause. Questo è ciò che rileva un occhio attento anche dalla lettura di Appuntamento a La Goulette, e cioè la necessità di sviluppare una sorta di “curiosità sociologica” e uno sguardo straniante. In altre parole: bisogna eliminare il pregiudizio e lasciar spazio alla curiosità verso il “diverso”. Se si pensa alla storia dell’uomo sin dalle origini, è facile riscontrare come essa sia sempre stata caratterizzata da migrazioni. Gruppi, comunità, popoli spostatisi da una regione all’altra in cerca di nuove, migliori condizioni di vita. La decisione di lasciare il proprio paese è stata spesso accompagnata da quella che il sociologo algerino Abdelmalek Sayad definisce come una «sovversiva aspirazione all’emancipazione».

 

Il trauma della “doppia assenza” in bilico tra origine e destinazione

Fin qui abbiamo analizzato le cause che spesso portano allo spostamento da un luogo a un altro e, dunque, da una cultura a un’altra. Ora bisogna concentrarsi su quelle che invece sono le conseguenze, nodo attorno al quale si svolge gran parte della riflessione dell’autore. Il punto è questo: l’immigrato subisce spesso quello che viene definito dai sociologi come un vero shock culturale dovuto principalmente allo sradicamento dal proprio ambiente e alla contemporanea mancanza di strumenti idonei a risolvere i problemi con cui viene a contatto nella cultura d’arrivo. Il risultato? A causa della marginalità sociale dovuta all’essere straniero, il processo di identificazione risulta più che mai messo in pericolo. In tutto questo quadro assolutamente “desolante” il testo di Blandi pone al centro della trattazione una migrazione più volte definita «anomala». Perché? Principalmente perché le spinte provenienti dal basso, di solito soggette a pregiudizi, sono state quelle di maggiore rilievo nel processo di integrazione, poi perché invece di una sorta di “colonizzazione rovesciata della lingua dell’immigrato” – che è ciò che normalmente accade –, in questo caso arabo e siciliano si sono fusi dando origine a una nuova lingua locale.

La storia di fronte alla quale ci pone l’autore spinge senza dubbio a un’acuta riflessione: nonostante i pregiudizi che si portano dietro i siciliani, è stata avviata una pacifica e sana convivenza tra comunità che non solo hanno originato un vero processo di integrazione ma «si sono esposti parafrasando Eduard Spranger, come occasione per l’uomo di ridestare e dischiudere la coscienza». Una narrazione che, incrociando le diverse vie dello stile saggistico e mettendo in risalto storie, racconti e miti, si propone di contribuire a generare percorsi di accoglienza più efficaci e rispettosi della dignità umana.

 

Rossella Michienzi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 68, aprile 2013)

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