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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Dalla Sicilia alla Tunisia:
migrazioni che uniscono
di Rossella Michienzi
Da Navarra, un’indagine storica e sociologica
sulla fusione di due diverse culture mediterranee
L’emigrazione italiana, anche se in maniera discontinua, è stato un fenomeno di massa fino alla seconda metà del XX secolo. Si afferma solitamente che l’Italia, tradizionale paese di emigrazione, sia ora diventato un paese di immigrazione. Ma per capire e accettare i nuovi flussi migratori bisogna fare i conti con un passato specifico, i cui protagonisti sono migliaia di italiani, soprattutto siciliani, trasferitisi in Tunisia. Purtroppo oggi è rimasta una scarsissima consapevolezza storica del processo migratorio dei siciliani verso il Nord Africa: da qui la necessità di Franco Blandi di ridar luce a questo fenomeno storico nel suo libro Appuntamento a
L’integrazione tra i popoli è possibile
Il libro è sapientemente costruito in due parti: la prima affronta il tema, per così dire, da una prospettiva storica, arricchita da interessanti testimonianze; la seconda, invece, abbraccia una visione sociologica, poiché analizza nel profondo la condizione dell’emigrato sospeso tra l’origine e la destinazione, che dunque vive sostanzialmente in un “non luogo”.
Bisogna ricordare che i primi viaggi dall’Italia alla Tunisia iniziarono nel 1600. Diversi periodici registrano il fenomeno a partire dal momento in cui gran parte della comunità ebraica di Livorno si stabilì su questa sponda del Mediterraneo. Da allora cominciarono ad arrivare gruppi da altre città e regioni: Genova, Pisa, Calabria e soprattutto Sicilia. Questo fenomeno migratorio diventò sempre più massiccio nel corso del XIX secolo. I primi ad espatriare furono i borghesi, mentre i ceti popolari lasciarono la Sicilia in un secondo momento, e precisamente dopo la riunificazione dell’Italia, quando contadini e piccoli artigiani iniziarono a vivere misere condizioni economiche e quando lo stile di vita cominciò a diventare sempre più basso e di dubbia qualità. Ma si presume che almeno altrettanti fecero lo stesso senza registrarsi e quindi sottraendosi ai calcoli ufficiali. Tra questi un nutrito gruppo si stabilì a
Se queste difficoltà si registrarono a livello amministrativo, la popolazione reagì in maniera diversa. La curiosità ebbe il sopravvento su timori e pregiudizi, sul quel continuum (ormai abbattuto) di pratiche razziste. Sulle differenze prevalsero i punti di affinità e di contatto: l’indole espansiva delle due popolazioni, il forte attaccamento alla famiglia, la solidarietà, la condivisione delle stesse modeste condizioni.
È quasi incredibile come nella vita di tutti i giorni si mescolassero naturalmente abitudini di vita , culture e prospettive diverse attraverso le quali guardare il mondo. Con il passare del tempo a
La constatazione della differenza, un rimando a Montesquieu
Anche se apparentemente irrilevante, il lettore di questo libro potrebbe vivere la stessa esperienza vissuta dai lettori delle Lettere persiane di Montesquieu. Come molti ben ricorderanno, si tratta di un romanzo epistolare in cui il grande signore di Ispahan, Usbek, desideroso di conoscere il mondo, parte con un amico, Rica, alla scoperta dell’Occidente. Durante il loro lungo viaggio scambiano con diversi amici delle lettere per riferire loro le proprie impressioni sulla civiltà occidentale, sui costumi e sulla vita quotidiana di Parigi e per ricevere notizie dalla Persia, in particolare dall’harem di Usbek, a Ispahan, dove regna il disordine dopo la partenza del signore. Questo libro, così come quello di Blandi, affronta un importante nodo sociologico, ossia la constatazione della differenza e della relatività dei mondi sociali, unita al desiderio di scoprirne le cause. Questo è ciò che rileva un occhio attento anche dalla lettura di Appuntamento a
Il trauma della “doppia assenza” in bilico tra origine e destinazione
Fin qui abbiamo analizzato le cause che spesso portano allo spostamento da un luogo a un altro e, dunque, da una cultura a un’altra. Ora bisogna concentrarsi su quelle che invece sono le conseguenze, nodo attorno al quale si svolge gran parte della riflessione dell’autore. Il punto è questo: l’immigrato subisce spesso quello che viene definito dai sociologi come un vero shock culturale dovuto principalmente allo sradicamento dal proprio ambiente e alla contemporanea mancanza di strumenti idonei a risolvere i problemi con cui viene a contatto nella cultura d’arrivo. Il risultato? A causa della marginalità sociale dovuta all’essere straniero, il processo di identificazione risulta più che mai messo in pericolo. In tutto questo quadro assolutamente “desolante” il testo di Blandi pone al centro della trattazione una migrazione più volte definita «anomala». Perché? Principalmente perché le spinte provenienti dal basso, di solito soggette a pregiudizi, sono state quelle di maggiore rilievo nel processo di integrazione, poi perché invece di una sorta di “colonizzazione rovesciata della lingua dell’immigrato” – che è ciò che normalmente accade –, in questo caso arabo e siciliano si sono fusi dando origine a una nuova lingua locale.
La storia di fronte alla quale ci pone l’autore spinge senza dubbio a un’acuta riflessione: nonostante i pregiudizi che si portano dietro i siciliani, è stata avviata una pacifica e sana convivenza tra comunità che non solo hanno originato un vero processo di integrazione ma «si sono esposti parafrasando Eduard Spranger, come occasione per l’uomo di ridestare e dischiudere la coscienza». Una narrazione che, incrociando le diverse vie dello stile saggistico e mettendo in risalto storie, racconti e miti, si propone di contribuire a generare percorsi di accoglienza più efficaci e rispettosi della dignità umana.
Rossella Michienzi
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 68, aprile 2013)