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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Sergio Castellitto:
il ritratto di un attore
che ha intrecciato
la propria vita all’arte
di Sara Moretti
Da Rubbettino, un saggio-intervista
per meglio conoscere un personaggio
tra i più versatili del nostro cinema
Il tredicesimo Festival del cinema europeo, organizzato dal Centro sperimentale di cinematografia e tenutosi a Lecce lo scorso giugno, ha voluto rendere omaggio, con una bella rassegna, all’attore e regista Sergio Castellitto. Il pubblico del Festival ha potuto assistere alla proiezione di alcuni dei suoi lungometraggi, ad una mostra fotografica e alla presentazione della sua biografia, curata dal critico cinematografico Enrico Magrelli. Il protagonista assoluto del cinema italiano di quest’ultima edizione, si racconta ed è raccontato da professionisti del settore che hanno avuto la fortuna di collaborare ad alcuni dei suoi lavori. Quello che ne emerge è la grande professionalità e la passione di un artista che ha sempre voluto mettersi in discussione, fin dagli esordi. Il libro ripercorre la sua carriera teatrale, cinematografica e televisiva, ponendo l’accento sia sull’aspetto professionale sia su quello umano, fornendoci un quadro piuttosto preciso ed esaustivo di un artista a tutto tondo.
Da un punto di vista tecnico, il testo, intitolato Sergio Castellitto.Senza arte né parte (Rubbettino, pp. 164, € 14,00), segue una ben definita impostazione. È, infatti, diviso in tre parti. La prima raccoglie un’intervista in prima persona che Castellitto ha rilasciato a Magrelli, nella quale parla di sé, dei suoi film più importanti e dei personaggi con cui ha lavorato. La seconda parte, tra l’altro arricchita da alcune fotografie in bianco e nero che lo ritraggono sia sul set sia fuori dal set, contiene saggi e interviste a terzi sulla carriera dell’artista romano. La sezione conclusiva comprende, invece, un’approfondita monografia.
Conversazione con Sergio Castellitto
«Qualsiasi cammino artistico comincia con un trauma. Comincia con un ostacolo da superare, con una frustrazione con la quale bisogna fare i conti. Questo sentimento mi ha sempre accompagnato nella vita e, tuttora, quando accetto di recitare un personaggio, mi sento inadeguato. Mi sento sempre non all’altezza. Ed è uno straordinario punto di partenza».
Inizia così l’intervista che ci farà scoprire molto della vita professionale e in parte privata di Castellitto. Il suo modo di intendere il mestiere dell’attore e del regista, l’incontro con Margaret Mazzantini, ora sua moglie, il suo sentirsi a cavallo tra la vecchia scuola dei grandi maestri e le nuove leve. Si legge ancora a tal proposito: «Appartengo a una generazione fortunata perché intermedia tra i grandi maestri e i giovani registi. In realtà la nostra non era davvero una generazione, che per me è un gruppo di persone che ha un passato in comune, un presente col quale è in conflitto e un futuro da costruire insieme. La nostra era una generazione in cui, pur in una cornice unica, ci muovevamo in maniera individuale. La fortuna è stata cominciare a fare del cinema in un periodo-cerniera in cui poter lavorare ancora con i grandi maestri, Ettore Scola, Marco Ferreri, Mario Monicelli, e contemporaneamente con registi come Giuseppe Tornatore, Francesca Archibugi, e Ricky Tognazzi alle loro prime prove».
Castellitto passa in rassegna molte delle sue opere raccontandoci diversi dettagli della lavorazione, come ad esempio accade per la produzione de La stella che non c’è, film drammatico del 2006, diretto da Gianni Amelio e nel quale l’attore interpreta Vincenzo Buonavolontà, un manutentore specializzato che parte alla volta della Cina per evitare danni a un impianto ma trovandosi infine coinvolto in un viaggio alquanto inaspettato. «Il viaggio del personaggio ha combaciato perfettamente con il viaggio dell’attore e della persona» – così Castellitto riassume gli ottanta giorni di lavorazione del film in una Cina a lui sconosciuta, per un’avventura divenuta a tratti incubo.
I saggi della seconda parte del testo sono a cura di Massimo Galimberti, Flavio De Bernardinis, Luca Bandirali ed insieme con Enrico Terrone e Katia Ippaso. Si parla di un giovanissimo Castellitto, dei suoi esordi dietro la macchina da presa, delle sue scelte attoriali, del suo impegno in televisione ed anche del suo rapporto con Margaret Mazzantini.
Silvia Tarquini firma invece l’ultima parte dedicata alla filmografia, in cui si descrive un Castellitto attore e insieme regista e che si chiude con un elenco dei premi e delle candidature ricevute. Tra gli altri citiamo il “David di Donatello” come miglior attore per il film Non ti muovere (tratto dall’omonimo romanzo della moglie ed il “Nastro d’Argento” come miglior attore per il film di Marco Bellocchio L’ora di religione).
Il trasformista
«Un volto inconfondibile che si presta a delle imprevedibili trasformazioni grazie a una sottile capacità di introspezione del personaggio da interpretare: Sergio Castellitto è l’erede dei mostri sacri del cinema italiano, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Alberto Sordi e Vittorio Gassman, attori in grado di calarsi in ogni ruolo mantenendo una precisa identità, in un gioco di immedesimazione che punta tutto sulla sottigliezza recitativa piuttosto che sul camaleontismo fisico».
È un Castellitto riservato e cortese quello che esce da questo testo, un professionista che ama il suo mestiere, tranquillo e sempre attento a quello che dice. Troviamo confortante sapere che il panorama cinematografico del nostro paese raccolga persone di tale valore.
Sara Moretti
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 67, marzo 2013)