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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Una donna
in viaggio
tra le parole
di Emanuela Pugliese
Da Edizioni La Linea, storia
di una giovane pachistana
che sfida l’omologazione
«Procedevo spedita per le strade di una Karachi ringhiante, i cui muri scagliavano oscenità, i cui vicoli e le cui stradine laterali mi portavano in alto solo per farmi ricadere giù, i cui monumenti fallici si facevano beffe di me, ricordandomi che ero da sempre, e sarei sempre stata, nient’altro che una donna in un mondo di uomini». Da questa agghiacciante, seppur reale, constatazione inizia il percorso a ritroso di Ayesha, una giovane donna di Karachi, cittadina di un Pakistan in via di modernizzazione, in seguito ad un grave incidente automobilistico.
Attraverso le frasi tratte dal retro dei mezzi pubblici, dai graffiti dei muri della città, dai testi delle canzoni pop, emerge l’esperienza fuori dal proprio corpo della protagonista di Pakistan Graffiti (Edizioni La Linea, pp. 368, € 16,50), il primo romanzo di Shandana Minhas − blogger e giornalista apprezzata, nonché autrice di una serie di articoli che hanno più volte animato diversi dibattiti incentrati sui processi di rinnovamento del Sud del mondo − tramite il quale è possibile soffermarsi per riflettere sulle problematiche legate alla difficile situazione in cui sono costrette a vivere, per motivi ideologici e religiosi, le donne orientali.
Storia di un femminismo… agito!
Ayesha Siddiqui è una trentunenne, responsabile vendite presso una casa farmaceutica di Karachi che, con sguardo libero, curioso, a tratti disincantato e ironico, racconta, adagiata su un lettino d’ospedale, la propria esistenza e la storia della sua famiglia, dopo essere stata tamponata e scagliata oltre il parabrezza dell’auto in cui si trovava. In lacrime ed esangue, Ayesha inizia a narrare di sé e ad assistere, come una vera e propria spettatrice, al teatro della propria vita.
Lo spazio in cui il racconto si evolve è quello di una metropoli postmoderna, che sembra partecipare attivamente alla creazione dell’universo letterario dell’autrice e da cui si staglia la voce affilata della protagonista e, soprattutto, la sua totale presa di posizione contro l’omologazione ai modelli femminili dominanti.
Unica donna all’interno di un gruppo di manager composto da soli uomini, Ayesha distingue due categorie fondamentali di donne: i «parassiti» e i «pitbull». Per avere successo nel mondo delle imprese pachistane, bisognava appartenere a una delle due tipologie. «O si sbattevano le palpebre e si ridacchiava disperatamente a tutte le persone giuste […], o si annientavano tutti gli aspetti della propria femminilità e si veniva assorbiti dalla corrente maschile incarnandone tutte le peggiori caratteristiche, cioè la crudezza, il machismo e la crudeltà».
Mediante la tecnica del flashback narrativo, Ayesha ripercorre il proprio vissuto e analizza le tappe principali della sua infanzia e della sua giovinezza. Due i motivi dominanti del romanzo: il difficile rapporto con la madre e l’improvvisa scomparsa del padre quand’era ancora una bambina. Ayesha vive all’interno di una famiglia “patriarcale” in cui, paradossalmente, la figura maschile è del tutto assente, per cui decide di uscire da questa tormentata situazione attraverso l’affermazione della propria individualità e l’inserimento nel mondo lavorativo. Allo stereotipo di donna passiva, Ayesha contrappone, pertanto, una donna attiva, totalmente diversa dal modello predominante e imposto dalla società e al quale si erano piegate sia la madre sia l’amica dell’università, rivelandosi entrambe delle figure perdenti.
Tuttavia, la “metafora del coma”, in cui Ayesha momentaneamente si ritrova, la trasforma in ciò che non vorrebbe essere, ossia la donna accondiscendente, carina e silenziosa. In poche parole la donna “perfetta” che tutti vorrebbero sposare.
La rinascita
Pakistan Graffiti è sicuramente un romanzo che aiuta a riflettere molto sulla condizione femminile di una determinata realtà, quella pachistana, diversa da quella italiana, ma per certi aspetti molto simile. Basta pensare alle innumerevoli difficoltà che, ancora oggi, una donna italiana incontra sul posto di lavoro, al fatto che faccia più fatica ad affermarsi professionalmente rispetto ad un uomo, all’idolatria che alcune madri nutrono nei confronti dei propri figli maschi: tutti temi che ritroviamo nel romanzo di Shandana Minhas. Per questi e per altri motivi, Ayesha non è molto lontana dalle giovani donne della società contemporanea occidentale. Nonostante questa denuncia, il romanzo non vuole offrire solamente uno spaccato del genere femminile, ma al contempo esso fornisce un’acuta ricostruzione di entrambi gli emisferi, maschile e femminile.
Infatti, l’autrice non affida ad Ayesha l’arduo compito di risvegliarsi dal coma e, quindi, di salvarsi. Chi avrebbe potuto aiutarla se non colui che aveva rivelato il desiderio di sposarla e le aveva dimostrato che l’avrebbe amata per tutta la vita? Saad, il compagno che, involontariamente, aveva causato l’incidente e quindi responsabile del coma di Ayesha, si trasforma nel suo salvatore. Ayesha non dovrà far altro che ricostruire il loro delicato rapporto, dimenticare la rabbia covata da tempo nei confronti del padre e iniziare una nuova vita.
Emanuela Pugliese
(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 67, marzo 2013)