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Anno VI, n. 64, dicembre 2012
La storia del Pci provinciale
nei ricordi di Ciccio Caruso,
dal Secondo dopoguerra
a metà degli anni Sessanta
di Angela Patrono
Da Città del sole, un rilevante lascito
conserva la memoria storico-politica
Anni di lotte e passione, di contestazione, di battaglie per i diritti sociali e civili. Anni insostituibili, segnati dall’entusiasmo e dall’impegno in nome di un ideale politico al confine con l’utopia, per il quale essere pronti alla rinuncia e al sacrificio. Echi di un’altra realtà, ormai anacronistica eppure parte fondamentale della storia italiana, quando fare politica significava credere in principi a volte scomodi, ma radicati nel terreno fertile di una concretezza che non baratta un ideale per un compromesso. Le aspettative di riforma e rinnovamento, disilluse col tempo, sono rimaste vive nella memoria di chi ha vissuto quel periodo brillante e travagliato. Come Ciccio Caruso, militante comunista, che ha scritto un libro per documentare quasi vent’anni di storia del Pci a Crotone, ricordando gli uomini, le donne e gli eventi che l’hanno reso un’importante realtà politica. Un libro che va considerato una sorta di testamento ideale di Caruso, venuto a mancare pochi giorni dopo averlo terminato: Il partito che non c’è più. Storia della Federazione provinciale del Pci di Crotone 1943-1964 (Città del sole, pp. 192, € 15,00). L’autore, alla seconda esperienza letteraria dopo La Giurlanda, ha ricoperto numerosi incarichi per il Pci, tra cui quello di segretario della Federazione di Crotone, città della quale è stato più volte nominato consigliere comunale e assessore. Un percorso umano e politico coerente e lineare, costellato da incontri con figure determinanti per la costruzione del “partito nuovo”, un sogno che aleggia tra le pagine del libro e che riaffiora nei primi capitoli con il ricordo del 14 ottobre 2009, giorno della fondazione del Partito democratico, operazione dall’intento riformista che ha lasciato il posto alla delusione. Niente a che vedere con il boom alle elezioni del 1958 del “partito che non c’è più”, «una splendida “anomalia” politica» capace di coinvolgere molteplici identità: operai, professionisti, giovani disposti a lottare per la giustizia, la rinascita culturale e civile dell’Italia, il miglioramento delle condizioni sociali in Calabria. A Crotone i risultati, visibili e concreti, si tradussero nell’abbandono delle anguste baraccopoli di eredità fascista, nella costruzione di una rete idrica e negli investimenti in opere pubbliche e in eventi culturali. Questo restyling cittadino ebbe il suo apice nel Premio letterario “Crotone”, catalizzatore dalla portata nazionale, forte della partecipazione di nomi illustri quali Corrado Alvaro, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Ungaretti, solo per citarne alcuni. La manifestazione vide la nascita di nuovi talenti letterari, come Leonardo Sciascia, e l’insorgere di polemiche, come quella seguita alla vittoria di Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini, considerato a torto un diffamatore della Calabria. Nonostante il successo di pubblico e la popolarità tra gli addetti ai lavori, ben presto «per il premio letterario fu notte fonda». A nulla valsero proteste e contestazioni pubbliche: un prefetto nominato dal ministro degli Interni Mario Scelba, il grande oppositore democristiano, decretò la fine dell’evento.
Vittime per la libertà
In ogni caso il Pci a Crotone, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, era una realtà consolidata, al punto che la direzione nazionale del partito affidò ai crotonesi l’organizzazione della Festa meridionale de l’Unità. Caruso ricorda con sentita nostalgia ogni dettaglio dell’evento, dagli allestimenti agli spettacoli musicali, dalle caricature degli avversari politici come Scelba ai fuochi d’artificio offerti dalla delegazione comunista campana. Tale rievocazione non è gratuita o fine a se stessa, ma inserita nel contesto dell’impegno culturale del Pci. L’amarcord dell’autore, infatti, è prodigo di nomi, date ed eventi, fungendo da catalogo a dir poco enciclopedico dei protagonisti e degli avvenimenti che scossero il Pci, come l’attentato del 1948 a Palmiro Togliatti, vissuto tra sollevazioni popolari e uno sciopero generale di vasta portata. Nelle parole di Caruso rivivono altre figure storiche del comunismo crotonese, come Mario Alicata, l’intellettuale del partito, attento alla questione meridionale, e Pasquale Iozzi, sindaco nel 1960 e realizzatore del primo piano regolatore urbanistico della città.
Ma Caruso non sottace nemmeno le vittime comuniste, uccise da polizia, carabinieri o squadroni fascisti. Tra queste, moltissime donne: Angela Carvelli, Giuditta Levato, Angelina Mauro, “colpevoli”, insieme a tanti altri compagni e compagne, di «aver osato mettere a frutto un pezzo di terra incolto, lottare per il lavoro, la riforma agraria e la libertà, la difesa del suolo, le opere di civiltà, l’acqua, la casa, le scuole».
Lo stesso Caruso racconta di essere stato arrestato più volte, con le accuse «d’incitamento alla diserzione dell’obbligo militare, d’istigazione a disubbidire alle leggi dello Stato e di vilipendio al Governo e alle forze armate». Dopo alcuni mesi di detenzione, l’autore veniva puntualmente scarcerato non appena scoperte le montature politiche soggiacenti all’arresto.
Aspettative disilluse
I ricordi di Caruso si soffermano sulla sua partecipazione, in qualità di delegato del Pci, all’ottavo congresso del Partito operaio socialista ungherese. Un’esperienza rimasta con forza nella memoria, attraverso le descrizioni minuziose di luoghi, personaggi, discorsi. Forse il canto del cigno del partito prima dell’inesorabile declino, che aveva già preso piede in seguito al rapporto di Nikita Kruscev sui crimini di Stalin e a eventi come l’insurrezione popolare ungherese, delusioni brucianti che provocarono una ferita insanabile nel partito. Il resto è storia nota. Caruso ammette che «sul piano pratico la prospettiva comunista come progetto politico e quindi come alternativa al capitalismo per i proletari di tutto il mondo, si è conclusa a Berlino: la caduta del “muro della vergogna” ha certificato la dissoluzione di una idea, tradita nelle sue promesse di libertà, di eguaglianza e di democrazia». Proprio per questo il divario tra la frammentaria sinistra attuale e quella di un tempo, piena di entusiasmo e ideali, è incolmabile. Spetta a persone come Ciccio Caruso tenere vivo il ricordo di un “partito che non c’è più” come spinta morale per un rinnovamento politico che, partendo dal basso, coinvolga ogni strato della società.
Angela Patrono
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 64, dicembre 2012)
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