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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VI, n. 64, dicembre 2012

che ispirò Arendt,
Woolf, Yourcenar
di Rossella Michienzi
Da Iacobelli, l’esempio degli Antichi
per contrastare ogni sottomissione
Pensare che il passato non ci appartenga più, che da esso non si possa più trarre nulla di vantaggioso: questo il più grande e comune errore dell’essere umano. In realtà, il mondo greco e quello latino, sebbene siano relegati a un inglorioso stato di lingue e culture “morte”, sono ricettacoli di valori autentici e, soprattutto, sempre attuali. Eppure quella classica è una cultura solo apparentemente lontana, si tratta di una terra tutta da esplorare e un punto di riferimento morale di indubbio fascino. Il confronto con il mondo classico offre, tra le altre cose, una privilegiata chiave d’analisi della storia della politica e della natura dell’uomo contemporaneo. Nello specifico, vivo è “il fantasma” della classicità in diversi autori della letteratura del Novecento. Tre studiose italiane di diversa formazione come Laura Brignoli, Lia Giachero e Silvia Giorcelli Bersani si interrogano sulla profonda influenza che la cultura classica esercitò sul processo formativo, emotivo e più in generale sulla vita di tre note pensatrici e intellettuali del secolo scorso: Virginia Woolf, Hannah Arendt e Marguerite Yourcenar. Si tratta di una riflessione che, pagina dopo pagina, emerge nei tre saggi raccolti all’interno di un libro dal titolo particolarmente evocativo: Donne, mito e politica. La suggestione classica in Virginia Woolf, Marguerite Yourcenar e Hannah Arendt, curato da Andrea Pellizzari (Iacobelli editore, pp.106, € 12,90).
Il saggio introduttivo, a cui spetta l’appassionante compito di tenere insieme i fili di questo viaggio “tra mondi”, è firmato da Barbara Lanati che, immersa in un vero e proprio labirinto temporale, spiega al lettore come tre autrici diverse tra loro per provenienza ed estrazione sociale siano accomunate da una particolare voglia di ritrovare un vero modello di vita nella cultura greco-romana.
Un intrigante gioco di specchi: il futuro proiettato nella classicità?
Nulla è destinato a “estinguersi”, tutto ciò che ci circonda è parte di un perpetuo rinnovarsi, i popoli e le culture si muovono su un continuum, e il passato (e quindi la Storia) si ripete. Ma è la possibilità di imparare dal passato e dai suoi modelli etici ciò che fa di questo inesorabile rinnovarsi delle cose un vero punto di forza per il tempo presente. In questa piccola raccolta di saggi emerge un universo complesso, una galassia in cui si intrecciano vari piani temporali: il presente, il passato prossimo e il passato remoto. In effetti, le tre studiose italiane indagano su tre grandi donne a loro non contemporanee che a loro volta hanno fatto di un passato remoto (quello della classicità) una fonte preziosa nella quale specchiarsi e attraverso la quale tentare di capire un tempo (il loro) che sembrava escluderle sempre di più. Quindi: usare il passato per comprendere e meglio gestire il presente? Rielaborando le parole che danno il titolo al saggio introduttivo di Barbara Lanati, il passato remoto sembra trasformarsi in un vero e proprio present continuous, un passato che in realtà è attualità pura e che consente un’analisi più approfondita di un presente da “reimpostare”. Woolf, Yourcenar e Arendt studiano a fondo i classici greci e latini proprio perché vedono in essi il riflesso di un pensiero veritiero ed eterno. I tre saggi raccolti in Donne, mito e politica offrono al lettore uno stimolo non indifferente, il tutto attraverso un linguaggio semplice ma ricco di riferimenti intertestuali. Pagina dopo pagina, riga dopo riga, aumenta la voglia di scoprire un mondo tutto al femminile, quello di tre personalità combattive che sognano, anzi pretendono di partecipare a una cultura, per tradizione, di dominio maschile.
Il fascino dell’antichità su tre donne che rifiutano l’asservimento
Il primo saggio, curato da Lia Giachero, è interamente dedicato a una delle più grandi scrittrici del Novecento, una figura di spicco nella saggistica del XX secolo, nonché impegnata attivamente nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi: Virginia Woolf.
Il saggio in questione ci pone di fronte a una donna che vive una condizione di subordinazione e che vede nell’establishment maschile una barriera, un ostacolo ai suoi sogni, anzi al suo sogno: quello di scrivere. Nel suo straordinario saggio A Room of One’s Own (1929) Virginia Woolf presentava la condizione delle donne e la loro triste realtà: a quei tempi, sosteneva l’intellettuale inglese, una donna per scrivere aveva bisogno di soldi e di una stanza tutta per sé. Sembra quasi che Lia Giachero non perda mai di vista il celebre testo della Woolf mentre scrive il suo saggio, in cui ripercorre il rapporto donna-scrittura dal punto di vista di una secolare esclusione.
Andare a scuola, crearsi un bagaglio culturale non poteva e non doveva essere un privilegio di genere. Questo lo aveva capito bene Virginia Woolf, da sempre caratterizzata da un’ardente passione per la letteratura. Il latino e il greco non potevano essere codici di comunicazione solo “al maschile”! Virginia Woolf, affascinata da Omero, Eschilo, Aristofane, è costretta a imparare qualcosa del mondo classico nel sottoscala, dove il caro fratello Thoby le racconta le lezioni di greco e latino a lei praticamente interdette. Virginia impara fuori dal contesto accademico la lingua di Antigone, memorabile personaggio sofocleo attraverso il quale vive il rapporto col fratello. Non è poi così difficile stabilire una relazione profonda tra Antigone e Virginia: la prima, murata viva, perde la propria libertà e poi si impicca per non passare il resto della vita imprigionata; l’altra, prigioniera in una casa governata dagli uomini che detengono il potere e, soprattutto, la cultura. Sebbene dedichi gran parte della sua vita alla letteratura e alla scrittura, totalmente praticata da autodidatta, Virginia Woolf alla fine si annega nel fiume Ouse, sceglie l’acqua, come la bella Ophelia. «Frailty, thy name is woman»: queste le parole di Amleto recitate nell’atto terzo del capolavoro shakespeariano, parole che riassumono quella che per anni è stata la “costretta” condizione delle donne sottomesse di fronte a un dominio familiare, accademico, politico e ovviamente maschile.
Laura Brignoli immerge il lettore in Fuochi, un’opera giovanile di Marguerite Yourcenar, precisamente del 1935, una raccolta di liriche e racconti tratti dal mito e dalla storia. Come le culture occidentali ci insegnano, il fuoco, da sempre, è il simbolo della passione, ed è proprio da una crisi passionale nella biografia dell’autrice che nasce quest’opera. Qui ascoltiamo i monologhi di Fedra, Antigone, Maria Maddalena, Clitemnestra, Saffo, che mettono a nudo una realtà interiore che rivela tratti psicologici dei miti del passato. La Brignoli si concentra sul personaggio di Clitemnestra, figura mitica distorta dalla Yourcenar. Infatti, se la Clitemnestra di Eschilo è orgogliosa e volitiva, quella della scrittrice francese è sottomessa e umile fino all’asservimento e all’annullamento totale della propria individualità. Il lettore è guidato in un’analisi profonda del come e del perché Marguerite Yourcenar usi il mito nella sua scrittura, di solito prevalentemente esistenzialista. La Brignoli lo spiega molto bene: il ricorso al mito fa emergere il non detto della scrittrice. Che l’autrice non riversi nella cultura classica e nella figura di Clitemnestra la propria stessa fragilità? Che la letteratura classica ancora una volta non sia riflesso di un tempo a noi molto vicino? Il lettore può tentare di dare una risposta a tali interrogativi solo immergendosi in questi affascinanti saggi.
Infine, le riflessioni sulle influenze esercitate sia sul pensiero politico e filosofico che sulla scrittura di Hannah Arendt sono il fulcro dell’ultimo saggio, a firma di Silvia Giorcelli Bersani. Una constatazione, continuamente presente nel saggio, è quella legata a una grande verità: le opere della Arendt rappresentano il più chiaro tentativo di analizzare le catastrofi del secolo scorso (prima tra tutte la disumana “soluzione finale” che vide lo sterminio di milioni di esseri umani, che si son visti deprivati dei propri diritti, primo tra tutti quello alla vita) che hanno portato a una forte instabilità e alla perdita di certezze, e che, a suo avviso, possono ritrovarsi solo nel confronto con il mondo classico. Inoltre la Arendt si è sempre battuta per la rivendicazione dei diritti delle donne, troppe volte considerate come “manchevoli di qualcosa”, imperfette, indegne di occupare posizioni rilevanti o di essere protagoniste della sfera pubblica. «Arendt rivendica, attraverso l’esempio di Socrate, la libertà e la necessità di un giudizio interiore»: quello di Hannah Arendt è un mondo in cui solo un legame tra gli uomini può portare a un riconoscimento di reciproche responsabilità. Denunciando i rischi di un’umanità dominata dall’automatizzazione e dal “governo” d’élite, Hannah Arendt mette in guardia i suoi contemporanei dalle feroci degenerazioni del potere, rifacendosi a Cicerone. È facile capire come la cultura classica sia stata per queste tre note autrici del secolo scorso un punto di riferimento costante per tentare di comprendere il presente.
Dunque il passato unico strumento attraverso il quale “tutelare” il futuro?
In questo breve percorso tra donne, miti e politica, a Barbara Lanati l’ultima parola: «il senso della nostra collettiva esistenza affonda – per tutte e tre le autrici – nel mondo, solo all’apparenza perduto, dei classici».
Rossella Michienzi
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 64, dicembre 2012)
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