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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Contro la ’ndrangheta,
i volti della “buonavita”
di Angela Patrono
Un libro-verità su luoghi e persone «senza targa»:
da Sabbiarossa, la tenacia di chi non si arrende
Non hanno etichette, rifiutano le appendici posticce, non strillano da convulsi megafoni e non si riempiono la bocca di ideali a buon mercato. Sono tasselli dello stesso mosaico, donne e uomini diversi per età e storia personale ma uniti nella lotta contro un nemico primitivo e tenace, la ’ndrangheta, virus sotterraneo di una regione bella e generosa come la Calabria.
Da loro hanno tratto ispirazione Paola Bottero e Alessandro Russo, giornalisti combattenti in prima linea, per estrarre intatta la verità dal fango della calunnia e del compromesso. Compagni nella vita privata e professionale – lei piemontese, «calabrese d’adozione» ed autrice di tre romanzi, lui originario di Reggio Calabria – il loro impegno comune ha dato vita ad un’opera che non è un romanzo, né un saggio, né un diario, ma tutte e tre le forme letterarie: Senza targa. Per non morire la seconda volta di ’ndrangheta (Sabbiarossa edizioni, pp. 336, € 15,00). Un viaggio intenso e sofferente tra le mille sfaccettature di un male antico e contagioso, che dalla Calabria ha messo radici nel sostrato nazionale ed internazionale, insediandosi finanche nel Nord Italia e diramandosi in paesi quali Spagna, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Canada. Una rete capillare, quella della ’ndrangheta, alimentata da attività illecite come traffico di droga e riciclo di denaro sporco, un torbido tsunami che travolge ogni strato della società, istituzioni in primis: lo scioglimento di numerosi comuni per mafia, tra cui gli “insospettabili” Bordighera e Ventimiglia, è cosa nota. Accanto alla «zona nera», caratterizzata dalla malavita in senso stretto, esiste infatti una «zona grigia» alla quale appartengono tutti quegli imprenditori, politici, magistrati e membri delle forze dell’ordine collusi con la ’ndrangheta per ottenere favori. E qui entra in gioco la targa. Il prezioso oggetto, donato dal Consiglio regionale della Calabria e accompagnato dallo slogan “Qui la ’ndrangheta non entra”, è l’emblema del grottesco che spesso coinvolge la classe politica calabrese. Perché la targa è parte integrante di un surreale campionario di gadget tra cui le «aspirine antimafia», in realtà «innocui cioccolatini», e un orologio con una goccia di sangue riprodotta sul quadrante a segnare fedelmente l’ora dell’attentato di Capaci. Reliquie spesso ostentate in cerimonie solenni infarcite di retorica che risultano ridondanti e superflue, considerato che molti dei politici del Consiglio regionale sono arrestati o indagati per mafia. Bottero e Russo non ci stanno. Non sopportano l’ostentazione, i discorsi di facciata. Hanno scelto di essere senza targa.
Lea e le altre: storie di ordinario martirio
Il libro spicca per le sue storie declinate al femminile. Emergono infatti figure di donne che hanno combattuto in prima persona per la legalità e perciò hanno subito intimidazioni e soprusi: come Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, e Maria Carmela Lanzetta, sindaco di Monasterace. Ma Bottero e Russo non dimenticano le «mimose sciolte nell’acido», donne che si sono ribellate al contesto malavitoso in cui erano immerse, vittime sacrificali di un mostro che le ha divorate pian piano, spegnendo in loro sogni e speranze. Donne forti come Lea Garofalo, giovane madre mossa dall’impulso di denunciare le faide familiari, torturata, uccisa e sciolta nell’acido dall’ex compagno. Autrice di una toccante lettera al presidente della Repubblica, il suo operato continua a vivere grazie alla sorella Marisa e alla figlia Denise, anche lei di giustizia. Ma ci sono anche Maria Concetta Cacciolla e Tita Boccafusca, «suicidate» per aver deciso di collaborare, e Angela Costantino, strangolata per difendere l’onore del boss-marito. Storie tra luci e ombre quelle di Giuseppina Pesce, collaboratrice di giustizia, e di Orsola Fallara, dirigente comunale di Reggio Calabria, accusata di aver nascosto lo stratosferico deficit di bilancio, la cui morte per suicidio, dopo aver ricevuto strane intimidazioni, resta avvolta nel mistero.
I dodici volti della “buonavita”
In questo scenario a tinte fosche, tuttavia, c’è ancora spazio per la speranza, quella incarnata da donne e uomini coraggiosi, simboli di una Calabria attiva e costruttiva, che non vuole arrendersi: sono i «dodici apostoli della buonavita» incontrati da Bottero e Russo nel loro tour della legalità. Sei donne e sei uomini, raccontati con acutezza e sensibilità in resoconti a metà strada fra diario e intervista. Ma chi sono i dodici apostoli? Quattro “mamme coraggio”: Matilde Spadafora, madre di Roberta Lanzino, la studentessa diciannovenne stuprata e uccisa nel 1988, nel cui ricordo Matilde ha istituito la Fondazione “La casa di Roberta” per accogliere donne e bambini vittime di violenza; Mary Sorrentino, madre di Federica Monteleone, uccisa a sedici anni in una sala operatoria per un banale intervento di appendicite; Liliana Esposito, madre di Massimiliano Carbone, ucciso perché voleva riconoscere il suo bambino, e quel nipote, «movente» della vita di Liliana, è cresciuto senza sapere che il suo vero padre ha dato la vita per lui; Norina Ventre, «Mamma Africa», che si dedica con abnegazione all’accoglienza degli immigrati di Rosarno. Un’educatrice, Patrizia Prestia, ideatrice a Locri del gruppo di artisti di strada “La Gurfata”, che si esibisce in spettacoli itineranti nelle piazze italiane. Il sindaco di Isola di Capo Rizzuto, Carolina Girasole, bersaglio di calunnie e intimidazioni che non hanno spento la sua voglia di prodigarsi per la stabilità amministrativa e la sicurezza sociale. Un papà, Mario Congiusta, che chiede giustizia per il figlio Gianluca, giovane e brillante imprenditore assassinato dalla ’ndrangheta. Tre sacerdoti: don Pino De Masi, che ha confiscato terreni ai boss trasformandoli in campi da calcetto; don Giacomo Panizza, che ha fondato la comunità “Progetto Sud”, rivolta ai disabili, ai minori a rischio, agli emarginati; don Ennio Stamile, più volte pesantemente minacciato per non aver taciuto sulle nefandezze della ’ndrangheta. Un musicista, Gaetano Pisano, fondatore dell’“Orchestra giovanile di fiati” di Delianuova, progetto che ha attirato l’attenzione del maestro Riccardo Muti, che l’ha diretta in più occasioni. Un giudice, Romano De Grazia, autore della legge Lazzati, che impone il divieto di attività di propaganda elettorale ai sorvegliati speciali.
Ciascun “apostolo” è portatore di un simbolo che racchiude il suo tormento interiore, non sempre esternato ma visibile in un gesto o in uno sguardo rubato. Gli autori, infatti, esplorano con delicatezza le vicende dei “dodici” rispettandone la privacy e la personalità, tracciandone un ritratto che non è solo verbale ma, grazie alle matite dell’artista Caterina Luciano, anche grafico.
Dodici volti che non cercano onori, targhe o riconoscimenti di sorta, ma hanno come unico segno distintivo l’amore per la Calabria e la legalità.
Angela Patrono
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 64, dicembre 2012)