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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VI, n. 63, novembre 2012
Gli scatti di un fotografo
rendono più di tante parole:
disperazione e frustrazione
nella rivolta di Rosarno
di Daniela Vena
Città del sole racconta l’umanità ferita
tra le arance rosso sangue della Piana
Robert Frank sostiene che «Le fotografie devono contenere l’umanità del momento». Queste poche parole riassumono la bellezza e l’espressività delle foto che formano il reportage di Giuseppe Vizzari nel volume Rosarno 9 gennaio 2010 …bisogna andare, quarantasette foto, accompagnate da frasi di Emilio Argiroffi, Italo Calvino, Erri De Luca, Jack Hirschman e Pier Paolo Pasolini, che danno una chiave di lettura delle immagini ancora più completa rendendole, se possibile, ancora più vivide. Giuseppe Vizzari, l’autore del reportage, è nato nel 1952 a Reggio Calabria, dove risiede e lavora in qualità di cancelliere presso la Procura della Repubblica. Ha iniziato a fotografare sin da ragazzo. Socio del Cinefotoclub “Vanni Andreoni”, dal 2007 è iscritto alla Fiaf (Federazione italiana associazioni fotografiche). Alcuni suoi scatti sono stati pubblicati su riviste locali e turistiche e uno sull’annuario Fiaf 2010. Nello stesso anno ha ottenuto diversi riconoscimenti e vinto alcuni primi premi, per esempio alla “Mostra itinerante dei circoli Fiaf” con la foto Gallicianò, al Circuito “Orizzonte portfolio”, alla mostra-concorso fotografico “La città multietnica”.
Uno sguardo sulla realtà
Daniela Sidari, autrice della Prefazione al testo (Città del sole edizioni, pp. 118, € 20,00), informa il lettore di ciò che è accaduto a Rosarno, paese calabrese in cui l’agricoltura è il traino maggiore per l’economia. È ormai consuetudine che nel periodo di raccolta delle arance si registri un’imponente affluenza di cittadini extracomunitari. Alcune foto ci raccontano lo sbarco di questi uomini, che arrivano in vecchissime imbarcazioni sulle coste calabresi o siciliane, stipati come merci, pronti a compiere un duro lavoro. Tra questi, pochissimi hanno il regolare permesso di soggiorno, gli altri, la maggior parte, sono clandestini. La loro vita è scandita dalla raccolta stagionale di ortaggi e frutta. Giunti a Rosarno, questi lavoratori occupano le fatiscenti strutture di due fabbriche abbandonate, dove le carenti condizioni d’igiene, la mancanza d’acqua e le misere paghe giornaliere fanno da sfondo all’inevitabile violenza. La causa scatenante la rivolta si è verificata il 7 gennaio 2010, quando un cittadino immigrato è stato colpito, con un’arma ad aria compressa, da «bianchi sconosciuti». Gli extracomunitari, avvezzi a tacere davanti a violenze e soprusi per conservare il lavoro, alla notizia di quel gesto hanno scatenato il caos.
Rosarno è stata letteralmente bloccata e invasa da un fiume di immigrati che, armati di spranghe e bastoni, hanno dato sfogo al loro malumore con atti di vandalismo. È stato necessario l’intervento coatto delle forze dell’ordine e l’uso dei lacrimogeni, poiché si erano formati due fronti opposti: uno degli immigrati, l’altro dei rosarnesi pronti a vendicare i danni subiti. Durante la guerriglia non sono mancati i feriti. La sera dell’8 gennaio, dopo un giorno in cui non si era mai abbassata la guardia, è iniziato l’esodo dei clandestini, completato nelle ore successive. Testimone di quei momenti, Vizzari, con l’uso sapiente della macchina fotografica, ha scattato diverse foto, confezionando un reportage unico. È un’impresa ardua misurare l’intensità di uno sguardo con le parole, e con queste stesse è difficile esprimere la frustrazione mista alla sottomissione di quei pugni stretti dentro le tasche. Ogni scatto è come un incontro, è come un colpo al cuore. Si ha quasi la sensazione di esserci e di sentire il fumo dell’auto bruciata o l’aria polverosa. Le foto sono in bianco e nero e i marcati contrasti tra luce ed ombra evidenziano il soggetto, messo sempre in primo piano rispetto allo sfondo. Nella prima immagine campeggia una macchina capovolta e bruciata, dietro a alla quale diverse persone, in piccoli gruppi, parlano con espressioni stupite. Qualche foto dopo, si vede un gruppetto di extracomunitari – in realtà non sembrano mai fare gruppo –, ognuno come avvolto dalla propria solitudine; alcuni hanno la schiena contro il muro, le mani in tasca ed uno sguardo che non sa cosa aspettarsi. Tutti, o quasi, indossano dei cappelli, che sembrano contenere pensieri “pesanti”, le braccia conserte e gli occhi che guardano la punta dei piedi. Facce giovani segnate da un destino lontano. Un’immagine, per un attimo, regala la “normalità”: due ragazzi in jeans che parlano, uno tira una bicicletta, l’altro porta una busta di plastica, ma le loro mani nodose e da raccoglitori incalliti, spezzano l’incantesimo. A volte l’obbiettivo è visto come un nemico invadente che decodifica gli stati d’animo. Gli esuli preparano i loro bagagli avventizi, molti fumano una sigaretta piena di rabbia e malinconia. Alcune volte i berretti scivolano fin sopra gli occhi e le sciarpe salgono sul naso, quasi a volersi nascondere e proteggere. Tra tutti c’è sempre un oratore, una sorta di maestro di musica, che dirige gli animi, con gli eleganti movimenti delle lunghe mani. Gli occhi di un ragazzo seduto sulla valigia bucano la carta. Non c’è cattiveria in quello sguardo, sembra solo chiederti «Perché non mi accetti?». Dopo gli scontri, si vedono persone ferite, con i visi tristi e disillusi. Gli zaini sono già in spalla, qualcuno saluta con un gesto di pace. La fila dei partenti è lunga e i militari la scortano e la controllano. I bagagliai dei pullman scoppiano da quanto sono pieni. La frase di Erri De Luca esprime a pieno quei momenti: «Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta…». Gli extracomunitari sono sopra i loro sedili, la testa è sulla mano, quant’è difficile lasciare la terra promessa! Nell’ultima foto è stata rimossa anche l’auto bruciata, è finito tutto, gli uomini di «sola andata» sono stati trasferiti. La dignità di quei volti impressa nell’eternità delle foto rende il lavoro di Vizzari una testimonianza storica dello spaccato sociale, che da diversi anni interessa il Sud dell’Italia.
Daniela Vena
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012)
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