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Anno VI, n. 63, novembre 2012
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VI, n. 63, novembre 2012

Zoom immagine Piedi e pedalate:
calcio e ciclismo
per rivivere oggi
l’Italia di ieri

di Simone Olivelli
Quando lo sport riflette e fa riflettere
su usi e condotte sociali. Da Laruffa


Divenuto ormai terreno fertile per scandali e malaffare, il mondo del calcio continua ad assolvere il ruolo di cartina al tornasole della nostra società. Se in passato, di esso e del modo in cui era vissuto nel Belpaese, si è detto tutto e il suo contrario – si pensi, ad esempio, a Winston Churchill che riteneva gli italiani interessati maggiormente a vincere le partite di calcio piuttosto che le guerre, o ancora allo scrittore Luciano Bianciardi il quale, in una delle sue lezioni su «come poter diventare un intellettuale pur non avendone il talento naturale», affermò che l’analisi degli schemi calcistici fosse utile tanto al politico quanto all’uomo di fede –, oggi il gioco del pallone, con i suoi eroi milionari colti a mercanteggiare le proprie prestazioni per cifre irrisorie, diventa manifestazione di quel decadimento morale in cui l’Italia tutta sembra essersi impantanata. E tutto ciò poiché il calcio, per gli italiani, è sempre stato sia pane che veleno, fucina di sogni e oppio di marxiana memoria, capace di distogliere l’attenzione dai problemi reali del paese.

Ma se c’è uno sport che in Italia è stato in grado di affiancarsi al calcio in questa sorta di racconto delle contraddizioni di un popolo che per certi aspetti – quelli che tradizionalmente dovrebbero essere maggiormente salienti all’interno di una democrazia – pare essersi fermato al monito che Massimo D’Azeglio lanciò all’indomani dell’unificazione nazionale, questo è il ciclismo. A tal proposito, come per il calcio, verrebbe da pensare che non è da intendersi come una curiosa casualità se, negli ultimi anni, le due ruote più nobili siano state spesso affiancate a gesta che con lo sport dovrebbero avere poco a che fare. Storie di furberie, di raggiri, di condanne reiterate, di sostanze proibite e falsità.

In tale scenario, Diagonale imparabile all’ultimo chilometro (Laruffa, pp.140, € 12,00) di Enzo Romeo, caporedattore del Tg2 con un passato sportivo diviso tra calcio e ciclismo, si staglia in una posizione particolare, quasi liquida.

 

Il fascino di un passato a misura d’uomo

Apparentemente lontana da qualsiasi intento di critica dello stato attuale delle cose, l’opera di Romeo, nel suo proporre al lettore il racconto di fatti accaduti in un passato di cui non importerebbe tanto conoscere i contorni temporali, pur presenti, quanto piuttosto sapere che quelle storie facciano oramai parte della memoria collettiva, finisce per instillare i germi di una presa di consapevolezza – in absentia – del presente. Perché s’impiega poco ad accorgersi che oggi tante cose sono cambiate, al punto che si avrebbe l’impressione di avere a che fare con qualcosa di fantastico, se non lo si sapesse realmente esistito. Nelle storie narrate da Romeo, lo sport – nella prima parte il calcio, nella seconda, il ciclismo – è soltanto un pretesto, un protagonista che si palesa per calamitare su di sé l’attenzione ma poi, da buon anfitrione, ben presto si fa da parte per lasciare spazio alla vita quotidiana, anche quando a essere descritte sono le gesta di campioni con la caratura del superlativo assoluto. Tutto questo fa sì che a emergere dal racconto siano perlopiù quelle sfaccettature che, in genere, farebbero semplicemente da contorno alla cronaca ufficiale. In Diagonale imparabile all’ultimo chilometro, alla coppia formata dai calciatori Italo Raktell ed Erminio Bercarich – due neo-oriundi slavi che all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale approdarono nelle fila della Reggina Calcio per sfuggire ai nuovi disequilibri sociopolitici dell’estremo Est della penisola – spetta lo stesso ruolo del più celebre duo formato da Fausto Coppi e Gino Bartali, per molti ancor oggi simboli di quel ciclismo legato a doppio filo con l’eroismo.

 

Campioni per caso ed eroi a posteriori

Ed è proprio per questo che, capitolo dopo capitolo, il lettore viene invitato a immergersi in epoche definitivamente lontane per chi ha conosciuto il calcio dei “supercontratti” capaci di stingere i colori della maglia a cui precedentemente si è giurato amore eterno o per chi del ciclismo ricorda solo le autotrasfusioni inconsapevoli. Se c’è, infatti, un legame che accomuna la storia dei due fratelli Bohr, calciatori danesi cui la scienza avrebbe riservato molti anni dopo una gloria più duratura, a quella del piccolo attaccante calabrese Angelo Mammì, divenuto famoso per essere finito nel fango al momento giusto nell’area di rigore giusta, passando anche per quella dei giocatori del Padova ignari del fatto che, nel 1933, a seguirli sugli spalti vi era anche un certo Umberto Saba, quel legame è la genuinità dei racconti, sentimento che per certi aspetti caratterizza la narrazione anche in negativo da un punto di vista prettamente stilistico.

Leggendo Diagonale imparabile all’ultimo chilometro si ha, infatti, la sensazione di trovarsi davanti a un compagno di viaggio, un amico, che, in preda a un innato bisogno di comunicare, dona la propria memoria, basata a sua volta su racconti di seconda mano e su ricostruzioni che, per quanto attente, tradiranno certamente la creatività insita nell’atto del ricordare. Tutto ciò, da un punto di vista letterario, a tratti si traduce in passaggi frenetici, ricchi – fin troppo – di dettagli, date e riferimenti incrociati oppure in salti temporali vertiginosi che probabilmente, a lettura conclusa, impediranno al lettore di conservare la consequenzialità dei fatti.

 

In attesa di un insperato ritorno

Questo, però, non toglie al lavoro di Romeo la possibilità di avere come risultato finale un’opera che si lascia leggere con piacere e disinvoltura; la sensazione è quella che in Diagonale imparabile all’ultimo chilometro i racconti, intesi come insiemi ordinati di eventi, rappresentino soltanto spunti da cui trarre fotogrammi di ciò che eravamo e sapori di tempi andati, come «i personaggi da presepe» o le contadine con «gli orci dell’acqua in testa» che furono immortalati da un fotografo ai bordi della strada, nel corso di una tappa del Giro d’Italia del 1954. Nell’illusione che possano un giorno ritornare o almeno nella speranza che i bambini possano ritornare a dare calci a un pallone e cavalcare la propria bicicletta sognando eroi positivi, un po’ come faceva Enzo Romeo con la sua Graziella nell’ormai lontano 1964.

 

Simone Olivelli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012)

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