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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VI, n. 63, novembre 2012
Corsi e ricorsi storici
in un’Italia sfuggente
che ogni mutamento
lascia come prima
di Andrea Vulpitta
Castelvecchi propone una riflessione
sugli eventi di un ventennio cruciale
che ha sconvolto la politica italiana
La scrittura collettiva trasferita in un libro rimane un’esperienza particolare che rende il testo disomogeneo per definizione e complessa la sintesi di una recensione. È certamente un lavoro gratificante per chi la promuove e la traduce poi in un libro, specie quando tratta di eventi storici, ma volutamente non si rivolge agli addetti ai lavori. Sarà stato così anche per Marcello Ravveduto, storico, promotore del blog Strozzateci Tutti (nato in risposta a Silvio Berlusconi che ad Olbia, nel 2009, affermò di voler «strozzare quelli che scrivono libri di mafia») che, partendo da questa esperienza, ha curato Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (Castelvecchi, pp. 192, € 14,90), il cui acquisto sostiene il progetto “Citizen journalism a Scampia”, promosso dalla fondazione “Agoravox”. Considerando corsi e ricorsi storici, alla fine del testo resta il dubbio se il 1992 abbia veramente cambiato l’Italia. Certo è che le stragi di Capaci e via D’Amelio e l’esplosione di Tangentopoli hanno segnato quel momento storico e molti, anche tra gli interventi del libro, lo considerano lo spartiacque tra la Prima e la Seconda repubblica.
Le stragi di Palermo viste a 360°
Il libro inizia con il racconto di due tragici episodi che avvengono in Calabria: l’omicidio di Vico Ligato, ex amministratore delle Ferrovie dello stato, e quello del giudice Antonino Scopelliti, il primo nel 1989 e il secondo nel 1991, creando, specie per il delitto Scopelliti, quasi un macabro filo conduttore con le stragi siciliane che si susseguono negli stessi anni e che vengono raccontate a partire dal 1980 con l’assassinio del presidente della regione Piersanti Mattarella. I racconti, nella loro diversità, sono avvincenti, testimonianza di sensazioni e reazioni di quei tempi: ricordano gli strani intrecci tra mafia e politica e riportano sotto i riflettori particolari ormai offuscati dagli anni, anche se la cronaca di oggi, con la famosa trattativa tra stato e mafia e tutto il fiume di polemiche che ne sta seguendo, aiuta a ricordare. In particolare colpisce il racconto di alcune donne protagoniste sia della stagione del pentitismo, sempre contrassegnata da tragici episodi, sia del ruolo di angeli custodi, in qualità di componenti delle scorte dei giudici.
Parte del libro è dedicata all’aspetto mediatico del fenomeno; con dovizia di particolari si esamina quello che è stato prodotto sul tema delle stragi di mafia in termini di film o fiction, si analizzano gli errori, la tipologia non solo delle ricostruzioni, ma anche del successo di alcune serie, che, a partire da La piovra, hanno riempito i palinsesti delle tv sia pubbliche che private.
Lo scempio del sangue
Chi non più giovane ricorderà che il 1992 è anche l’anno in cui scoppia un’altra bomba, non meno tragica delle altre: lo scandalo degli emoderivati infetti. Nel libro un intero capitolo, dedicato al triste episodio, mostra come, dalla metà degli anni Ottanta, siano circolati in Italia derivati del sangue infetti per pazienti emofiliaci che hanno causato la morte di un numero imprecisato, perché difficile da quantificare, di vittime del vergognoso traffico.
Napoli è tristemente protagonista di questo squallido affare. Il direttore generale del Servizio farmaceutico nazionale è infatti il napoletano Duilio Poggiolini, soprannominato “Re Mida” per l’enorme patrimonio accumulato nel periodo di Tangentopoli. A tal proposito è significativa la ricostruzione, fatta a quei tempi dalla giornalista Barbara Palombelli, dei beni che durante un sequestro gli vengono contestati: «Quattro casse di monete d’oro, nel caveau della filiale di Napoli della Banca d’Italia, contenenti: seimila sterline d’oro, duecento Kruggerand sudafricani, rubli dello zar Nicola II, decine di Ecu d’oro, sesterzi d’oro e perfino monete provenienti dagli scavi di Ercolano e dal medagliere del Museo archeologico di Napoli. Un centinaio di lingotti d’oro, una cassa di pietre preziose: zaffiri, rubini, brillanti. Diciotto conti correnti in Italia e in Svizzera... Due appartamenti... e infine un pouf, nel salotto... in cui erano cuciti undici miliardi e duecento milioni di BOT e CCT» (la Repubblica, 29 dicembre 1993). La cosa più triste del tragico scandalo è che ancora oggi il Ministero della Sanità non ha risarcito le vittime e che, nell’epoca dei tagli, anche il fondo destinato a tale scopo è stato inesorabilmente ridotto.
La madre di tutte le tangenti
Ampio spazio nel testo è riservato, come detto in apertura, al periodo di Tangentopoli, all’intervento di Mani pulite, all’incredibile impatto mediatico dell’intera vicenda. Nella memoria storica la deflagrazione del fenomeno è considerato l’arresto del socialista Mario Chiesa, sorpreso con in mano una tangente relativa agli appalti dell’Istituto d’assistenza per anziani “Pio Albergo Trivulzio”, definito «solo un mariuolo» da uno sfrontato Bettino Craxi. Ma la madre di tutte le tangenti è unanimemente riconosciuta, forse per le sue dimensioni (152 miliardi delle vecchie lire), la maxitangente Enimont, con la quale vengono oliate le ruote dell’intero mondo politico intorno al grande affare della “Chimica di stato”. Vengono così ricordati gli episodi più eclatanti: le tragiche morti, ufficialmente suicidi, di Gabriele Cagliari, già presidente Enichem, soffocato con una busta di plastica nella sua cella del carcere di San Vittore a Milano, e di Raul Gardini soprannominato “il Corsaro”, protagonista della Montedison suicidatosi con un colpo di pistola. Lascia perplessi alla fine del testo quanto il 1992 abbia realmente mutato l’Italia o, quanto il cambiamento sia avvenuto solo apparentemente, basti pensare che i nomi di alcuni protagonisti sono ancora oggi saldamente in sella o protagonisti delle cronache quotidiane. La domanda sorge spontanea. Se uno dei protagonisti della tangente Enimont del 1992 è lo stesso Luigi Bisignani, protagonista degli appalti Finmeccanica del 2012, cosa è realmente cambiato dopo venti anni?
Andrea Vulpitta
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012)
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