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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VI, n. 63, novembre 2012

Zoom immagine Analisi sull’immigrazione:
sociologia e socialità

di Serena Poppi
L’organizzazione della vita nel “nuovo Belpaese”
tra i luoghi d’incontro degli stranieri. Da Pellegrini


La clandestinità, per come si è sviluppata e manifestata in Italia negli ultimi anni (basti per tutti citare gli sbarchi a Lampedusa) rappresenta un fenomeno che veicola «una generica idea di invasione»: «migranti come forza lavoro flessibile ed estremamente ricattabile», una posizione che ne nega la soggettività «depoliticizzando il loro agire», e causa una totale assenza di voce. Apparentemente. Perché esistono luoghi, chiamati luoghi terzi, dove si raccolgono esperienze, racconti, discussioni, che trattano tutti di clandestinità: un’elaborazione collettiva che si costruisce una sfera pubblica, quindi in qualche modo politica. I third places (concetto elaborato dal sociologo Roy Oldenburg, 1989) «sono quegli spazi multifunzionali, altri rispetto alla sfera domestica e quella lavorativa, dove gli individui appartenenti a cerchie sociali diverse hanno la possibilità di incontrarsi e immergersi in interazioni e conversazioni dagli scopi più vari. Bar, caffè, osterie […] Ciò che accomuna questi luoghi […] è il carattere non strumentale degli incontri che vi avvengono». Proprio su questi luoghi è impostata la ricerca sociologica di Gianluca Gatta, poi espressa nel testo Luoghi migranti. Tra clandestinità e spazi pubblici (Pellegrini editore, pp. 114, € 12,00). A voler essere precisi, questo libro è il risultato di varie ricerche condotte sui fenomeni degli sbarchi e della migrazione senza documenti (per conto dell’Unodoc, United nations office on drugs and crime, dell’Associazione “Asinitas” e dell’Archivio delle memorie migranti di Roma) e su un’elaborazione del rapporto tra luoghi, socievolezza e sfera pubblica, che ha coinvolto ricercatori di diversi atenei: l’Università della Calabria, “L’Orientale” di Napoli e l’Università di Bologna.

 

Spazi pubblici

Gatta è riuscito a raccontare una situazione di pubblico dominio scansando i preconcetti che la mancata conoscenza dei fatti o l’errata informazione mediatica aveva pregiudicato, accompagnando il lettore in quella che è stata la sua ricerca-scoperta di questi luoghi in cui «la sfera della socievolezza diventa un nodo politico importante, una questione che esprime i rapporti di forza tra società d’immigrazione e migranti». Ha impostato le prime parti del testo cercando di illustrare il concetto di sfera pubblica, altra rispetto a quella tradizionale borghese, e ha proseguito raccontando casi etnografici, come a rimarcare che se non si tiene in considerazione che i corpi che compaiono sulle coste italiane appartengono a persone (una mancata consapevolezza che, pur assurda che sembri, è diffusissima tra la gente autoctona), si rischia non solo di non capirne il fenomeno, ma anche di ridurre se stessi in corpi senza personalità. La paura dell’altro si manifesta, ad esempio, nel mancato riconoscimento di peso politico, di mancata credibilità, crea una staticità di confronto tra parti diverse che si scontra con l’idea di una democrazia attiva e partecipativa. E soprattutto è controproducente, in quanto la ricerca di spazi in cui ritrovare la piacevolezza di conversare, confrontarsi, sostenersi psicologicamente, emotivamente e concretamente (in una parola: socializzare) avviene comunque ed è impossibile da impedire. Automaticamente questo ritrovarsi diventa «un atto oggettivamente politico» e questi luoghi terzi «forniscono l’humus adatto per una possibile manifestazione di sfera pubblica».

 

Caffè marocchino

I caffè sono anche i luoghi dove circolano le informazioni su come effettuare un viaggio all’estero, cioè su come emigrare: «ci si scambia informazioni non reperibili per vie ufficiali… E non è un caso se nei paesi del Nord Africa questi posti sono tra i principali luoghi di reclutamento dei potenziali migranti e questo dato ha anche attirato l’attenzione delle autorità che indagano sulle attività di favoreggiamento e organizzazione dei viaggi senza documenti». I caffè sono anche luoghi fondamentali per chi cerca lavoro, perché vi circolano le informazioni, i contatti. Nel quartiere di Centocelle a Roma si trova un caffè marocchino dal nome L’Oasi di Marrakech, sede di un’associazione – “Articolo 3 – dove italiani e stranieri presentano libri, fanno interviste, si riuniscono e mangiano insieme. L’Oasi è anche un punto di riferimento politico e intrattiene rapporti con l’ambasciata e il consolato marocchino in Italia. Lo spazio interno ha una complessa strutturazione, fatta di più stanze, in qualche modo dedicate ad attività e tempi diversificati: «un tentativo di negoziare un uso interculturale di un caffè arabo, spazio teso tra la costruzione di familiarità (“appaesamento” dello spazio urbano) e apertura verso l’Italia (portare l’Italia “dentro” consentendo lo scambio)».

Dall’elaborazione delle ricerche e degli studi sociologici effettuati, emerge un’Italia che mal cela l’intolleranza, che strumentalizza politicamente un fenomeno umanitario, ma che propone anche una – rara ma tenace – solidarietà attiva: in tal modo può contribuire «alla produzione di senso intorno ad una condizione di quasi totale impossibilità di espressione». Rimane da vedere se e quando gli italiani sapranno ascoltare queste nuove voci, «senza pretendere che sia sempre il parlante “clandestino” ad accollarsi l’onere di sfondare le loro sordità».

 

Serena Poppi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012)

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