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Graziana Pecora
Anno VI, n. 62, ottobre 2012
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VI, n. 62, ottobre 2012

Zoom immagine Chesterton storicista
indaga in profondità
le tradizioni popolari
e letterarie inglesi

di Maria Lisa Summaria
Da Rubbettino un saggio illuminante
sull’acume intriso di cattolica latinità
di uno scrittore tipicamente britannico


Il nome di Gilbert K. Chesterton è legato, per i lettori italiani, ai romanzi incentrati sulla figura di Padre Brown, il geniale sacerdote detective simbolo della conversione dello scrittore inglese al cattolicesimo. Il mondo accademico ha però avuto la possibilità di conoscere e stimare anche la sua cospicua e variegata produzione saggistica, composta da testi di argomento storico, letterario e filosofico. Ne è un celebre esempio Una breve storia d’Inghilterra (Rubbettino, pp. 258, € 15,00) e occupa un posto di primaria importanza nella storia culturale inglese. Lo dimostrano le nuove edizioni che in Inghilterra vengono pubblicate quasi ogni anno.

Che cosa avviene quando uno scrittore si propone di diventare storiografo? Qual è la materia della sua scrittura e l’intento programmatico alla base del suo narrare? Uno scrittore è anzitutto capace di far sì che l’indagine storiografica e la riflessione sul passato servano da spunto di riflessione su problemi contemporanei. Inoltre lo scrittore si pone una serie di interrogativi interessanti non solo sulla idea stessa di come si possa e si debba raccontare il passato, ma anche su come qualsiasi interpretazione storiografica si inserisca all’interno della tradizione letteraria e popolare di una nazione. Ecco quindi che Chesterton definisce il passato come «non ciò che è accaduto ma ciò che si ha l’impressione sia accaduto», e come più avanti sottolinei quanto le leggende arturiane e successivamente la letteratura di Shakespeare possano essere più utili a capire la Storia di quanto non lo siano le «fumisterie della storiografia accademica». Ciò che lo scrittore si propone è di ricostruire una versione della Storia che sappia dare dignità all’evoluzione del popolo e del suo ruolo. A tale scopo rivendica con forza il ruolo di Roma nella nascita della civiltà inglese e la forte identità cristiana del paese nel Medioevo, periodo che Chesterton rivaluta considerandolo come il più democratico e vivo della storia inglese, da contrapporre al Rinascimento durante il quale invece le istituzioni della Merry England medievale furono distrutte dallo strapotere dell’aristocrazia. La visione di Chesterton, che finisce per disorientare il lettore, oscilla continuamente tra una sorta di conservatorismo populista («L’Inghilterra non fu mai così povera di democrazia come nel breve periodo in cui fu una repubblica») e un’ansia di giustizia storica per le classi popolari («Ci sono tanti silenzi nella nostra storia, spesso raccontata dal punto di vista dei potenti, che le classi colte sono riuscite persino a cancellare il ricordo di una rivolta popolare, come se non fosse mai accaduta»).

 

Libertà storiografiche e uso politico della parola

Lo stile narrativo di Chesterton, tanto apprezzato da generazioni di lettori anglofoni, è uno stile brillante, paradossale, spesso ironico in una maniera tipicamente inglese (un esempio su tutti, le considerazioni a proposito dell’età vittoriana, «il cui dato di maggiore rilevanza consiste nel fatto che non vi accadde nulla»). Queste caratteristiche non si ritrovano del tutto nella traduzione italiana a cura di Paolo Allegrezza, che in alcuni punti restituisce un andamento della narrazione un po’ pesante e ricalca eccessivamente la struttura della frase inglese, costruendo un periodare italiano troppo basato sulla coordinazione. Un elemento che invece non poteva che restare inalterato anche nella versione italiana è il “cantuccio” che lo scrittore sembra in qualche modo riservare a se stesso e nel quale il ricorso alla prima persona serve a giustificare non solo un frequente utilizzo di digressioni ma anche un’idea di imparzialità alla quale sembra rinunciare: «Confesso di non riuscire a essere proprio equidistante». Chesterton, come ricorda bene Allegrezza, si predispone a «disporre in piena libertà di situazioni e personaggi» nel quadro di una interpretazione storiografica critica, nella quale il luogo comune dominante nell’ufficialità accademica è non soltanto messo da parte ma fortemente criticato.

In ciascun capitolo emerge in modo peculiare la figura di Chesterton scrittore storico, il quale, partendo da una rilettura dell’importanza della dominazione romana nella costruzione della civiltà britannica e riconsiderando il ruolo storico della Chiesa cristiana nella sua doppia natura di «istituzione e forza rivoluzionaria», si lascia però spesso andare a considerazioni che poco hanno a che fare con l’obiettività storica. L’idea dello scrivere al contrario per poter ricostruire una certa verità storica è molto evidente nel giudizio piuttosto duro formulato a proposito dell’esperienza parlamentare inglese, universalmente ritenuta dagli storici di professione come una delle spinte propulsive al cambiamento in senso democratico verificatesi in Europa. Lo scrittore afferma che le istituzioni politiche non sono state create dal popolo ma piuttosto subite da esso e «fra le creature del Medioevo, [il Parlamento] fu quella che tradì e uccise tutte le altre». La stessa asprezza di giudizio, drammaticamente confermata dal senno degli anni, è quella a proposito della vicenda irlandese, definita senza appello come «quel crimine permanente cui si dà l’appellativo di governo dell’Irlanda».

 

Uno scrittore e un paese in bilico tra due realtà

Chesterton, grande scrittore che vive e scrive a cavallo tra due secoli, è l’emblema perfetto del suo paese: l’Inghilterra, infatti, è un grande paese d’Europa il cui sguardo è però sempre rivolto anche all’altra sponda dell’oceano, verso quel continente americano cui fa al tempo stesso da madrepatria e alleato manovrabile. Il successo di questo libro è dovuto ai continui spunti di riflessione che lo scrittore, scrivendo di Storia e riflettendo sul passato, offre al lettore coevo e a quello di oggi. Una breve storia d’Inghilterra esce nel 1917, nel pieno di quel disastroso evento che fu la Prima guerra mondiale, mentre oggi l’Europa si trova ad attraversare un periodo di crisi di natura diversa, non certamente bellica, ma piuttosto sociale ed economica. L’analisi storiografica di Chesterton offre, a noi lettori europei, la possibilità di comprendere il pericolo attuale attraverso un parallelo interpretativo: l’idea, cioè, che la decivilizzazione impossessatasi dell’Inghilterra con la fine dell’Impero romano possa ripetersi se il paese si autoesclude dai processi economici, culturali e di crescita sociale che coinvolgono le altre nazioni europee. Un libro del passato, scritto durante una guerra terribile, diventa un invito a comprendere e conoscere le proprie radici, perché è il solo modo per costruire il rispetto autentico per i prossimi cittadini d’Europa.

 

Maria Lisa Summaria

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 62, ottobre 2012)

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