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Direttore editoriale: Lidia Palmieri
Anno VI, n. 61, settembre 2012
Democrazie
allo specchio:
Italia/Argentina
di Tiziana Salvino
Da Rubbettino, un saggio
sui drammatici errori di mondi
politici pieni di contraddizioni
Cosa può mai accomunare l’Italia all’Argentina, un paese che sembra distante culturalmente e politicamente almeno quanto lo è geograficamente? Eppure, le distanze si accorciano leggendo le pagine del saggio curato da Bruno Carapella e Daniela Kutyn, poiché al lettore si svelano delle similitudini entro i due paesi, entrambi indotti a commettere gli stessi drammatici errori e più somiglianti di quanto si possa immaginare.
Gli autori de L’Italia come l’Argentina? Similitudini e contraddizioni di due democrazie malate (Rubbettino, pp. 192, € 16,00) ci guidano alla scoperta di un paragone che, probabilmente, mai come oggi appare riuscito, poiché, alla luce degli avvenimenti e senza azzardare ipotesi, i due paesi sembrano percorrere due strade parallele, che conducono alla definizione di «democrazie malate».
Argentina e Italia: poche virtù e molti vizi della politica
La scelta di dividere il saggio in due parti, l’una dedicata all’Italia e l’altra all’Argentina, pare una scelta particolarmente sapiente, atteso che il lettore ha modo di ritrovarsi, ripercorrendola, nella storia italiana e di conoscere, cogliendo immancabilmente la linea di continuità, quella argentina. «Due democrazie malate», affermano gli autori e, in effetti, si tratta di due paesi dalla scarsa cultura politica, perennemente orientati verso la ricerca di un leader indiscusso e carismatico ma, al contempo, stretti nella morsa di un’antipolitica che avanza e prende piede nella società. Ecco dunque che l’Argentina cessa di essere, per il lettore italiano, il paese del default economico degli anni Duemila o la terra promessa di tanti emigranti, per divenire metro di paragone. È pur vero che la politica italiana ha conosciuto delle stagioni differenti, nel corso delle quali l’ideologia era un fattore pregnante; tendevano a riconoscersi due schieramenti, quello democratico e quello comunista, guidati da funzionari di partito preparati e che avevano una lunga carriera alle spalle. Tuttavia, l’omicidio Moro, la lotta al terrorismo, lo scandalo di Mani pulite hanno contribuito ad allontanare i cittadini dalla politica, poiché essi si sono trovati avvolti nella crisi della rappresentanza, durante la quale la scelta della guida di partito non era più un «fenomeno naturale», ma qualcosa di sofferto. Lo scenario politico cambia definitivamente, l’ideologia si sfalda sotto i colpi che determinano il crollo dei grandi partiti e l’entrata in scena di nuovi schieramenti guidati da outsiders della politica, imprenditori, come nel caso di Forza Italia, ma anche la nascita di partiti territoriali come
L’Argentina, certo, non conosce affatto una storia così peculiare ma, senza dubbio, una più tormentata. Quello che distingue nettamente i due paesi è il ruolo politico riconosciuto in America latina alle forze armate; un elemento che determina la discontinuità dei governi che, al primo segnale di debolezza, venivano destituiti da colpi di stato militari. Una storia fatta di numerose parentesi autoritarie, ma, anche in questo caso, alla continua ricerca di un leader. L’Argentina, al contrario dell’Italia, trova la sua guida nella carismatica personalità di Juan Domingo Perón, per nulla paragonabile, nel bene e nel male, ai capi di partito dell’Italia di allora. Tale fattore, tuttavia, non si rivela positivo: l’Argentina vivrà, ed ancora oggi vive, nel ricordo di Perón. Lo dimostrano il nome e l’ideologia del Partito giustizialista, attualmente al potere, fondato ed ispirato dalle idee di Perón. Una figura forte, che sembrava essere destinata ad eclissarsi con l’arrivo al potere prima di Menem e poi dei Kirchner, marito e moglie, «la coppia governante» e, in effetti, vista la commozione popolare seguita alla morte di Nèstor Kirchner, tutto lasciava presagire che così sarebbe stato. Eppure, qualcosa era già cambiato, in Argentina quanto in Italia, poiché alla ribalta delle cronache era già subentrata l’antipolitica che rendeva ancor più ardua la ricerca di un leader, poiché tesa a screditare chiunque detenesse il potere.
Interferenze politiche in comunicazione e in magistratura: due indicatori di debolezza
Da questo peculiare punto di vista, Argentina e Italia sono due paesi opposti ed uguali al contempo, dal momento che in Italia il consenso, l’appoggio ai governi guidati dal centro-destra si è fondato sui mezzi di comunicazione, in Argentina giornali e televisioni hanno perseguito l’obiettivo di screditare la classe politica. In entrambi i casi si sono aperti contrasti tutt’altro che celati tra mezzi di comunicazione e politica, palesando, ancora una volta, un chiaro elemento di debolezza: in una democrazia la tripartizione dei poteri deve restare l’elemento cardine e l’indipendenza della stampa, della radio e della televisione sono elemento imprescindibile. Eppure, i due paesi dimenticano questa regola fondamentale, interferendo con i mezzi di comunicazione e con la magistratura. Come non ricordare gli attacchi della politica italiana al potere giudiziario? La definizione, tanto cara al centro-destra, di “toghe rosse”, finalizzata a screditare il lavoro e l’indipendenza della magistratura, impegnata, in quel momento storico, nei processi proprio contro il presidente del Consiglio. Fenomeno inverso quello argentino, ma indicatore, anch’esso, della pericolosa commistione politica/magistratura. In questo caso i due poteri camminano l’uno accanto all’altro, nel tentativo, di solito ben riuscito, del potere politico di accattivarsi l’appoggio di quello giudiziario.
L’esclusione dei giovani: due paesi che non pensano al futuro
Una domanda, tuttavia, viene naturale ad ogni italiano, come ad ogni argentino: per quale ragione nulla cambi. La risposta, purtroppo, pare piuttosto semplice e gli autori lo evidenziano in maniera inequivoca: ci troviamo di fronte a due paesi che non investono in formazione, escludono i giovani dalla politica, impediscono la mobilità sociale e qualsivoglia ricambio generazionale. Le motivazioni sono molteplici ma, nel dettaglio, in entrambi i casi si tende a trascurare il futuro, a ripiegarsi sulle problematiche attuali. In Italia si dimentica che la crescita del Nord è vincolata a quella del Sud; in Argentina si ignorano le risorse naturali, la terra, l’agricoltura, il bestiame, elementi che potrebbero innalzare la competitività del paese. Appare quantomeno estemporaneo sentir parlare di «ingessatura sociale» oggi, poiché è noto a tutti che, fino a qualche anno addietro entrambi i paesi concedevano opportunità anche ai giovani provenienti da famiglie meno abbienti, ma la rotta si è invertita e bisogna prenderne atto: Italia e Argentina ignorano il futuro, impediscono la crescita.
Politique politicienne ed altri mali
Un’analisi impietosa, dunque? Al contrario, un’analisi veritiera, in grado di tratteggiare il volto di due democrazie che prima di «ammalarsi» avevano già dato segni di cedimento, che le opposizioni non sono state in grado di cogliere, di portare alla ribalta delle cronache, di farle conoscere ai cittadini, di riaccendere in loro la speranza di tornare ad essere una nazione unita. Al contrario, le opposizioni sono restate a guardare quando il popolo cercava un leader, lo personalizzava, si legava ad esso, per poi sentirsi tradito immancabilmente. E allora è davvero la scarsa cultura che, come gli autori sottolineano, determina la perdita di vista, da parte di chi governa, dei problemi reali, poiché troppo intento ad attirare il consenso. Conseguentemente, la politica perde la propria qualità, diventa chiusa, lontana dalla società. Stampa e magistratura finiscono per assumere ruoli impropri, tanto da entrare nel mezzo dell’arena politica. Tuttavia l’indipendenza della stampa e della magistratura è la sentinella della democrazia: quando inizia a cedere, la deriva democratica si avvicina. L’Argentina e l’Italia lo sanno bene.
Tiziana Salvino
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 61, settembre 2012)
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