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Anno VI, n. 60, agosto 2012
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VI, n. 60, agosto 2012

Antagoniste
al femminile

di Alessandra Prospero
L’amore, la morte,
la vita in un noir
edito da Solfanelli


Gatti neri, stiletti affilati e quadri barocchi: non appena ci si immerge nella lettura, già dalle primissime pagine, si ha l’impressione di essere vittime di un sortilegio che trasporta il lettore nell’aria greve ma appassionante di un modesto comune piemontese, Roccabruna, gotico scenario di vicende che scaturiscono da un inconsueto groviglio di pulsioni e passioni mortifere. I chiaroscuri dell’anima, della vita e della morte, dell’amore e del suo contrario sono ciò che colpisce il lettore, coinvolgendolo in un viaggio fulmineo  su un binario dall’unica destinazione.

 

Un’eroina gotica

Nel noir A bocca chiusa (Solfanelli, pp.192, € 15,00) di Ornella Fiorentini, la protagonista assoluta è una vera dark lady il cui temperamento trascina con forza la narrazione, dall’inizio fino all’epilogo. Giuditta è una colta e irreprensibile insegnante di francese, moglie fedele ma forse non più innamorata, allevata da una madrina figlia di un tradimento consumato tra una tenutaria di una casa di appuntamenti e un ambasciatore. Le zone d’ombra legate alle origini della madrina e all’omicidio della madre di quest’ultima, attraversano il racconto e pervadono l’animo di Giuditta che, in una sorta di sdoppiamento di personalità, inizia a vestire di notte i panni di madame Ombretta in una pericolosa e grottesca rivisitazione della professione di Madame. In questo alternarsi di tradimenti e apparenze, eccessi e quotidianità, lussuria e ritrovato amore nei confronti del marito, trova anche la forza di elargire il perdono a quest’ultimo, che ha avuto un figlio da un’altra donna.

 

A bocca chiusa

È nella vita della “rivale” in amore della protagonista che si nasconde la profondità significativa del titolo dell’opera, un senso per certi aspetti commovente, una spiegazione che forse il lettore non si aspetterebbe e che lo predisporrà con più indulgenza al giudizio  dello sfortunato personaggio. Magda, la donna che ha avuto un figlio dal marito di Giuditta, è una ragazza con notevoli problemi economici e mentali, ripudiata dalla società e dallo stesso uomo che è costretto a sedarla con medicine, per il bene del bambino.

Magda ci viene raccontata in tutta la sua sofferenza di emarginata, descritta in pagine dai “sapori” dolci, ma anche terribilmente realistici, da Davide, suo figlio, unica figura salvifica del romanzo. L’autrice parla attraverso Davide con i termini che probabilmente ogni bambino di cinque anni userebbe, in un resoconto clemente e poco pretenzioso della sua mamma, non indagando oltre sulle gravi mancanze di quest’ultima.

In una prospettiva di giustizia superiore a quella umana, questo bambino sarà in effetti l’unica figura che si salverà dalla spirale di morte e maledizione presagite nel tema del libro.

 

Richiami iconografici

A questa spirale di morte si arriva in maniera purtroppo vertiginosa proprio nel momento in cui le strade delle due figure femminili diventano concentriche, quando il mal di vivere dell’una viene legittimato all’interno del mal di vivere dell’altra.

Splendide e drammatiche le due solitudini femminili si cercano, a volte ferinamente, a volte sotterraneamente, in una opposizione primordiale che le contrappone ma in qualche modo ne fa vicendevolmente dipendere l’esistenza.

Sullo sfondo vi è un’antitesi di rappresentazioni pittoriche, identificazioni metaforiche dei due personaggi. Il dipinto di Giuditta e Oloferne, che raffigura l’assassinio del generale assiro Oloferne ad opera dell’eroica Giuditta, ci accompagna lungo tutta la narrazione, come un presagio, come l’ombra della Nemesi. Infatti la sorte punirà i vizi e le oscure origini di Giuditta riservandole non la parte della coraggiosa vendicatrice ma quella della vittima.

Contrapposta all’eroina ebraica del Caravaggio, si fa strada, come un’eco lontana ma incombente, il legame tra la martire S. Dorotea e la povera Magda, la quale, proprio come la vergine cristiana, si reca al martirio con le rose e le mele.

«Il commesso della libreria passa diligentemente il panno imbevuto di alcol sulla vetrina. Si ferma per fissare Magda con la coroncina di rose rosa che sbocconcella una mela rossa. Ne tiene altre due in mano. Le ha appena rubate da una cassetta del fruttivendolo.

“Ecco Santa Dorotea che va al martirio…” sussurra il commesso, con voce incrinata dall’emozione».

 

L’epilogo migliore è la Vita

L’epilogo inesorabile ci priva delle due donne le cui vite, intrecciandosi, hanno dato corpo al romanzo. Un doppio addio contestuale che ci lascia sconcertati e addolorati, come Enrico e Davide, il primo rimasto a rimpiangere Giuditta con la sua collana di perle barocche tra le dita, il secondo che finalmente si affaccia ad una vita giusta per un bambino, ma con un dolore più grande di lui: la perdita della mamma.

Nessuno ha vinto. Solo la Vita, forse, e l’innocenza, in un contesto di umane meschinità e bassa cupidigia. La lussuria, il ricatto, il gioco, l’odio sono stati sconfitti e tra i silenti vicoli medievali di Roccabruna, ancora stretti nella morsa invernale, vi è una casa in cui ancora albergano amore e calore in cui crescere Davide.

 

Alessandra Prospero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 60, agosto 2012)

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