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Direttore editoriale: Lidia Palmieri
Anno VI, n. 59, luglio 2012

per comprendere se stessi:
un prolungato flashback
tra speranze, viaggi e sogni
di Costanza Carzo
Da Città del sole, una narrazione
tra ricordi e pensieri del presente
Succede che un bel giorno, in maniera del tutto inaspettata, ti capita tra le mani un libro. Sconosciuto fino a quel momento, lo vedi per la prima volta e, all’improvviso, ti accorgi che in realtà era da molto tempo che lo stavi aspettando. Un po’ per caso, un po’ per strane coincidenze ti ritrovi immerso in una lettura nella quale t’identifichi e riesci a scorgere te stessa. Strane coincidenze ed incontri, proprio come quelli narrati da Giulia Di Marco nel suo ultimo romanzo.
Ut pictura poesis
Una narrazione autobiografica, una sorta di “libro-confessione” per la scrittrice che riesce ad arrivare, silenziosamente e delicatamente, alle orecchie, agli occhi, all’anima del lettore. L’autrice continua a scavare nell’immenso universo interiore e lo fa viaggiando con la mente, con il cuore, coi ricordi. Protagonista, una donna ed i suoi pensieri. Attraverso racconti di uomini e donne diversi, di situazioni diverse, di stati d’animo diversi l’autrice crea un gioco d’incontri, d’incroci, d’incastri.
Dopo Il rospo nel pozzo, (Città del sole edizioni, pp. 120, € 10,00), arriva il nuovo lavoro di Giulia Di Marco: Il meno possibile (edito anch’esso da Città del sole edizioni, pp. 104, € 10,00).
Ed ecco che, quasi come in un lungo flashback, scorgiamo “l’uomo francese” incontrato all’università, “il musicista” notato in un treno, “la bella bambina”, giovani amanti alla stazione ferroviaria. Si tratta d’immagini che si susseguono senza sosta, in cui quello che si riesce a percepire è l’esistenza di «affinità silenziose». Ogni personaggio ha qualcosa di particolare, che merita di essere raccontato; qualcosa che colpisce la donna. Quel “qualcosa” in più che solo occhi attenti, curiosi e incantati sanno riconoscere.
Il sogno, l’impegno, le radici, gli amori passati: ciascuno dei personaggi è emblematico, e ha dentro di sé qualcosa da rivelare, seppur silenziosamente. Non sempre, infatti, a questi incontri seguono dei dialoghi; solo a volte avviene qualche scambio di parole, ma di quelle parole che si potrebbero definire “essenziali”.
Così l’autrice ritorna al passato: ai genitori, ai nonni e alla loro maniera di vedere la vita. Tenta di capire cosa le hanno insegnato e prova a mettere a fuoco le sensazioni che le hanno lasciato, e come oggi queste stesse sensazioni riescano a prendere forma.
Tra viaggi in treno e profondi silenzi, tra ricordi più e meno recenti, la voce narrante osserva, riflette e, con precisione analitica, guarda dentro le persone e descrive il loro mondo interiore, penetrando nella loro anima ed in quei mondi intimi e speciali.
Intervista con l’autrice
Ed i pensieri della voce narrante, attraverso quelle immagini, riescono a catturare il passato ed il tempo presente. Il tempo – e la sua percezione – d’importanza vitale nell’opera è, dunque, un tempo analizzato, riflettuto, pensato; il tempo ed il suo scorrere sono la premessa per cominciare un viaggio interiore alla ricerca di sé, alla ricerca di quella “bella bambina” cui Giulia Di Marco è tanto affezionata.
Qualche tempo fa, ho avuto la fortuna di incontrare l’autrice, alla quale ho deciso di porre qualche domanda. Lei è emozionata e la prima cosa che mi racconta è di aver scritto «tutto di getto», in quegli otto giorni che seguono alla sua anestesia totale.
Otto giorni che consentono alle parole di cominciare velocemente a venir fuori: quelle parole, dovevano venire fuori. Escono come un vulcano che esplode irrefrenabile. Parole come il magma di Stromboli – sempre presente nelle opere dell’autrice – in cui la donna, talvolta, si rifugia per ritrovare un po’ di sé; quello stesso vulcano da cui “la bella bambina”, ormai donna, e madre, si fa dolcemente cullare. Le parole diventano magma ed il magma, si sa, non si può arrestare.
Giulia Di Marco l’ha definito «un romanzo caleidoscopico», «un gioco di specchi», dove «una storia diventa tante storie» perché, spostando – anche solo leggermente – l’incastro, si viene a creare un livello di corrispondenze tra il proprio sé e quello degli altri.
Nel romanzo, ed oltre
I vari racconti, ed i vari livelli di lettura, così, s’intersecano fino a che non si uniscono e si uniformano: il sé negli altri, gli altri dentro di te.
L’autrice si avvicina a delle persone che poi, forse, scompaiono ma accendono nella mente di chi sta a guardare ricordi e pensieri, che fanno viaggiare nel tempo, un po’ come fa il vento che per un attimo arriva, ti scompiglia i capelli, e poi se ne va lasciando solo il ricordo di quell’odore.
L’autrice definisce la propria scrittura «liberatoria ed estrinsecante» ed è esattamente quello che il lettore riesce a cogliere.
Ho risentito l’autrice qualche giorno dopo e le ho confidato: «Sai Giulia, in quelle immagini e in quelle parole, vedo e sento un po’ di me». «Grazie Costanza – mi risponde – è esattamente quello che intendevo».
Un bellissimo gioco di corrispondenze, un viaggio per ritrovare un po’ di sé negli altri, per riconoscersi, per condividere emozioni, per osservare quanto, in fondo, tutti abbiano qualcosa in comune.
Costanza Carzo
(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 59, luglio 2012)
Sonia Miceli, Lidia Palmieri, Pamela Quintieri, Alessandro Randone
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