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Anno VI, n. 58, giugno 2012
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VI, n. 58, giugno 2012

Zoom immagine Gli ultimi sette mesi
di vita di Anna Frank
nei ricordi dei reduci
del tragico olocausto

di Sara Meddi
Da Newton & Compton un saggio
sui dolorosi fatti che hanno diviso
la famiglia Frank dopo il suo arresto


«Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo modo, divento prima impertinente, poi triste e infine rovescio un’altra volta il mio cuore, volgendo in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se… se non ci fossero altri uomini al mondo». Così finisce il Diario di Anna Frank. Era il 1° agosto 1944 e tre giorni dopo, il 4 agosto, la polizia tedesca fece irruzione nell’alloggio segreto che fu perquisito e rivoltato da cima a fondo. Tutti i rifugiati furono arrestati e condotti in campi di concentramento. Nell’alloggio, in un mucchio di quaderni buttati per terra, Elli e Miep, amiche della famiglia Frank, trovarono il diario di Anna, il quale, insieme ai quaderni fu conservato per essere riconsegnato alla ragazza una volta che fosse tornata a guerra finita. Ma come sappiamo Anna non tornò mai, morì a Bergen-Belsen nel marzo del 1945. Di tutti i rifugiati si salvò solo Otto Frank, e a lui dobbiamo la postuma pubblicazione del Diario.

Di Anna Frank dunque sappiamo quasi tutto. Conosciamo la sua infanzia grazie alle testimonianze di famiglia e amici, conosciamo i dettagli della sua adolescenza trascorsa nell’alloggio segreto dal suo stesso diario, e ovviamente sappiamo che è morta. Quello che quasi tutti ignorano è ciò che è successo nei sette mesi trascorsi tra l’arresto e la morte di Anna, e su questo lasso di tempo, a lungo obliato dagli storici, fa luce Willy Lindwer nel suo libro Gli ultimi 7 mesi di Anna Frank (Newton & Compton, pp. 258, € 9,90).

 

Quei sette mesi mai raccontati

Gli ultimi sette mesi della vita di Anna Frank sono stati ricostruiti grazie alla testimonianza di sette donne, tra le quali c’è anche l’amica d’infanzia Hannah Pick-Gosiar (Lies nel Diario), che con lei hanno condiviso la vita nel campo di Auschwitz e poi in quello di Bergen-Belsen.

Questi sette racconti costituiscono insieme il racconto della prigionia di Anna ma sono anche, considerati singolarmente, i racconti di ognuna di queste donne. Sette spaccati sulla vita nei Paesi Bassi prima dell’invasione, sull’esperienza delle leggi razziali, della deportazione e soprattutto della sopravvivenza.

La famiglia Frank è ancora unita quando viene trasferita nel campo di Westerbork, nel Nord-Est dell’Olanda. Qui Otto Frank viene messo a spaccare batterie, uno dei tanti lavori senza senso inventati solo per abbattere il morale dei prigionieri, ma è un lavoro interno ed è sempre meglio che stare sotto la pioggia e il fango. Tanto che Otto Frank si raccomanda per quell’impiego pur grottesco e inutile, accompagna Anna da Rachel Frankfoorder, già impiegata nel “settore delle batterie”, per chiedere se la figlia può dare una mano. Rachel, di Anna, ricorda che «era davvero molto cara, un po’ più grande di quanto appaia nelle foto che conosciamo di lei, allegra e di buon umore». Rachel ha un ottimo ricordo anche di Otto Frank, sempre gentile e amichevole, e continuamente preoccupato per la figlia più piccola, «era venuto da me con Anna, non con sua moglie o con Margot. Credo che sia venuto con Anna perché lei era la pupilla dei suoi occhi».

Da Westerbork la famiglia Frank parte per Auschwitz. Lì le donne vengono divise da Otto, e Anna resterà convinta fino alla fine che il padre sia morto nonostante, ironia della sorte, sarà lui l’unico a tornare a casa. Se Anna avesse saputo che il padre era ancora vivo forse avrebbe trovato la determinazione giusta per sopravvivere, quella che le venne meno alla morte di Margot.

Nel libro emerge come il rapporto tra Anna, la sorella Margot e la madre un tempo burrascoso e nervoso, esacerbato da una convivenza forzata tra quattro mura, si sia rinsaldato e trasformato durante la prigionia diventando un forte legame di dipendenza reciproca. Così ci viene da commuoverci quando Ronnie Goldstein-van Cleef ci racconta delle continue peripezie per procurarsi un po’ di cibo in più e di come la madre delle ragazze Frank rinunciasse sempre a parte della sua razione per le figlie, fino a scavare un cunicolo nel terreno sotto la baracca dell’infermeria per passare del cibo a Anna e Margot che erano lì ricoverate.
Edith Frank rimarrà ad Auschwitz quando le figlie partiranno per Bergen-Belsen, questo sarà un duro colpo all’animo delle sorelle Frank, sempre più deboli e malate. Edith non sopravviverà molto alla mancanza delle figlie e morirà nelle camere a gas il 6 gennaio del 1945.

Per tutti noi che abbiamo sempre conosciuto un’Anna spiritosa e scherzosa, ancora legata alla speranza e alla serenità non è facile accettare l’idea dell’“altra Anna”, quella dei campi di concentramento. Hannah Pick-Gosiar racconta di quando si avvicina al filo spinato, al buio, per parlare con Anna. È il febbraio del 1945 e Margot non può più uscire dalla baracca, è già gravissima. «Non era la stessa Anna che avevo conosciuto. Era una ragazza distrutta. Forse ero anch’io così, ma era terribile», ed è difficile immaginare Anna che piange per la morte dei genitori e che si lamenta per i capelli rasati «lei che era sempre molto attenta ai suoi capelli».

 

Morte ed eredità letteraria

Rachel Frankfoorder ritrova Anna e Margot a Bergen-Belsen quando queste sono già malate, magrissime, consumate dal freddo e quasi morte per il tifo. «Peggiorarono in modo tale che non ci fu più speranza. Ma arrivò anche la loro fine. […] Quando non le vidi più, ritenni che fossero morte lì sotto quella cuccetta. Un bel giorno non c’erano più, un brutto giorno in verità». Quel giorno era un giorno di marzo del 1945 e mancavano solo tre settimane alla liberazione del campo.

Fu un brutto giorno davvero quello della morte di Anna Frank, insieme a lei se ne andò quel talento tanto acerbo eppur brillante che tutti hanno poi potuto conoscere nel Diario e nei Racconti dell’Alloggio Segreto. Anna voleva diventare giornalista e scrittrice, così scrisse nel suo diario, e nell’estate del 1943 iniziò a scrivere dei racconti poi letti per intrattenimento ai coinquilini dell’alloggio segreto. Compilò anche un quaderno di “belle frasi”, frasi, tratte dalle opere di altri scrittori, che l’avevano colpita. Nel marzo 1944 il governo olandese in esilio fece un appello ai microfoni di radio Orange affinché i diari di guerra fossero conservati. Anna ascoltò l’annuncio e ne rimase molto impressionata, tanto che da quel momento si impegnò a rivedere alcune parti del suo diario per renderlo adatto alla pubblicazione. Forse Anna Frank non sarebbe diventata una scrittrice, forse il suo sarebbe rimasto il sogno di un’adolescente ma, visto quello che ci ha lasciato, è davvero triste che questo sogno sia dovuto morire sul tavolaccio di una baracca a Bergen-Belsen.

 

Sara Meddi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 58, giugno 2012)

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