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Anno VI, n. 55, marzo 2012
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 55, marzo 2012

Zoom immagine Un grattacielo
pulsa di vita
e sofferenze

di Valentina Burchianti
Ponte33 editore ci mostra
la fotografia dell’Iran di oggi
in crisi e senza più certezze


Romanzo breve ma intenso, il testo scritto dall’iraniano Mostafa Mastur, già vincitore del Festival di Isfahan 2005 come miglior romanzo, ci trasporta – con una maestria senza artifici e con uno stile narrativo essenziale e diretto – nell’esistenza, a volte misera e violenta, altre volte dolorosa ma intima, dei molti protagonisti che popolano, letteralmente, i diciassette piani del grattacielo che fa da sfondo comune a questa storia.

Affacciate alle finestre, su e giù tra scale e ascensori, aprendo e chiudendo porte e portoni, le vite dei vari personaggi si incrociano e si sfiorano senza mai entrare in contatto diretto o senza mai influenzarsi a vicenda come accade quotidianamente e regolarmente in un qualunque palazzo moderno di una qualunque moderna città del mondo. Se non fosse difatti per l’incontro (comunque raro) con parole che identificano, se non una nazione, quantomeno un’area geografica e culturale, Osso di maiale e mani di lebbroso (Ponte33 edizioni, pp. 92, € 11,00) potrebbe appartenere, per le storie che racconta, ad ognuno di noi – chiunque noi siamo o vogliamo essere – e potrebbe tranquillamente narrare o riportare lo spaccato della quotidianità del nostro quartiere, della nostra strada, del parco dietro l’angolo dove giocano i nostri bimbi.

 

Storie di tutti noi

Ed è infatti proprio grazie alla familiarità che riconosciamo nelle vicende personali di ognuno dei protagonisti, alla facilità con cui possiamo rispecchiarci in ognuno dei loro tormenti, passioni, dubbi e dolori, che restituiscono a questo piccolo romanzo l’ampio respiro e il sapore internazionale che di natura possiede, insieme alla capacità di farsi leggere con leggerezza anche in una parte del mondo solo geograficamente distante; è proprio grazie a tutto ciò, dicevamo, che la partecipazione e l’interesse del lettore divengono subito immediati e spontanei.

È così che possiamo affacciarci sulla vita di Dorna, bambina contesa tra due genitori in divorzio, o sulle angosciose domande esistenziali, urlate dalla finestra e immancabilmente senza risposta, di Daniel, o sulla dolce-amara storia d’amore di Susan, ragazza apparentemente distaccata e indifferente alle emozioni a causa delle avversità che nella vita ha dovuto affrontare, ma che rivela di possedere ancora e nonostante tutto un animo puro e incontaminato; oppure ancora – per finire – sulle sofferenze di Afsaneh e Mohammad Mofid riguardo ai problemi di salute a cui è appesa la vita del loro figlio Elias.

Mostafa Mastur ci racconta, in un andamento narrativo non lineare, ma attraverso rapidi e significativi flash, di un Iran disperso, dilaniato nelle proprie scelte di vita, alle prese con la ricerca di una propria identità, frastornato dalle sue contraddizioni, ma carico comunque di voglia di vivere e, soprattutto, dotato di una ferma volontà di decidere di se stesso e del proprio futuro; un paese su cui aleggia, come un monito che ha tuttavia quasi il sapore di una condanna, lo spirito sempre vivo della religione e dei suoi precetti. È all’ambito religioso che, infatti, l’autore si ispira per il titolo stesso del libro: «e nel descrivere le caratteristiche del mondo: giuro su Dio che il vostro mondo, per me, è più indegno e spregevole di un osso di maiale nelle mani di un lebbroso. Imam Ali ben Abi Taleb».

 

Lo spazio della speranza

Nonostante i panorami spesso spogli di umanità e trasudanti solitudine e spaesamento che Mastur ci offre e nonostante l’angoscia che quest’ultimo messaggio dell’imam Ali ben Abi Taleb ci trasmette, le umane vicende che costituiscono l’intreccio di questa storia – di cui ogni personaggio è il filo che va, intrecciandosi con gli altri, a formare il tessuto di un’intera società – racchiudono in sé un autentico nucleo di speranza e desiderio di riscossione come a dire che niente è mai definitivamente perduto e che il labile e insicuro viottolo della ricerca di se stessi, della fatica tesa a questo scopo, può sempre trasformarsi in un ampio sentiero dolcemente e serenamente percorribile.

È con un’invocazione alla fiducia, infatti, che si chiude questo reticolo di storie, che di fatto non trova una soluzione conclusiva in nessuno dei singoli casi, lasciando l’epilogo aperto e dipendente dall’immaginazione del lettore ma con la sensazione forte che, pur invischiati, ognuno di noi esseri umani, in un mondo sporco e spregevole, rimaniamo pur sempre i soli a renderlo, nello stesso tempo, opera celeste e divina.

 

Valentina Burchianti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 55, marzo 2012)

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