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Direttore editoriale: Giovanna Russo
Anno VI, n. 55, marzo 2012
Antonio Gramsci:
dalle origini sarde
alla vita torinese
di Maria Grazia Franzè
Aracne ci fa ripercorrere l’esistenza
del più lucido fra i pensatori marxisti
«È davvero impresa ardua, se non improba, “parlare di Gramsci, rimanendo chiusi nella sua personale problematica”. Se questa considerazione, d’intatta attualità, conserva il carattere di una validità per l’interpretazione del pensiero del dirigente politico sardo, nondimeno è da ritenersi inadatta per una corretta impostazione ermeneutica di una ricerca sulla sua formazione». La formazione culturale di Antonio Gramsci (1910-1918) (Aracne editore, pp. 200, € 14,00) è il libro scritto da Michele Marseglia per approfondire e ripercorrere gli anni giovanili gramsciani che hanno determinato la formazione del suo pensiero.
Il saggio, composto da tre capitoli, è molto complesso (ma di agevole comprensione) e ben strutturato: «è un lavoro di notevole pregio e va inscritto nella ripresa degli studi gramsciani», come ha giustamente affermato, nella Prefazione, Abdon Alinovi.
Il Gramsci della Sardegna e quello del Piemonte
La base della cultura e formazione di Gramsci va ricercata nel suo legame con la Sardegna, di cui Marseglia ci offre un’attenta disamina filologica a partire dagli scritti scolastici dell’adolescenza. È significativo, infatti, che il primo capitolo, abbia come titolo Gramsci e il sardismo, proprio perché «Gramsci è forse tra i pochi politici la cui biografia intellettuale e personale conti in modo decisivo per l’intelligenza della sua personalità, nello stesso tempo che per la comprensione della dimensione e della portata storica del suo pensiero». Il primo capitolo è, infatti, interamente dedicato agli anni sardi, per riscoprire il retroterra della temperie culturale e il grado di formazione nel periodo 1910-11 al fine di conoscere quella «“sprovincializzazione” culturale che Gramsci intraprende, prima ancora dell’approdo a Torino oltre che nella stessa Sardegna, attraverso la ricerca del contatto con le correnti di pensiero e culturali continentali». Ad avvalorare questa constatazione sono alcune testimonianze della sorella Teresina e del fratello del pensatore sardo sulle letture di questo periodo che lo introducono alle «prime esperienze civili e morali» e attestano l’origine di un profondo interesse per Salvemini (quest’ultimo molto evidente nell’avvicinamento gramsciano al materialismo storico e alla militanza socialista e alle chiare denunce del liberalismo giolittiano).
Se la vita sarda è stata decisiva nei primi anni di formazione culturale di Gramsci per il sorgere dell’istinto di ribellione “sardista” del giovane, tuttavia, la vita torinese, qui analizzata, per il periodo 1911-18, (ma non da un punto di vista meramente biografico) è stata non semplicemente complementare alla prima. Nel capoluogo piemontese, il giovane militante si è legato a due realtà che nel corso della sua critica politica e storica ne diventeranno i due fulcri: da una parte le fabbriche, i luoghi ospitanti che gli ricordano i lavoratori sardi e che ne L’Ordine Nuovo, sono centri dell’autonomia produttiva; dall’altra parte la temperie formativa dell’Università di Torino dove attraverso il «garzonato universitario», «la produzione intellettuale del giovane Gramsci s’inserisce da protagonista nella vita culturale della città […] nel suo slancio ideale e rivoluzionario, nel suo rigore di dirigente socialista».
L’approdo al marxismo e gli studi vichiani
Nell’ultima sezione del libro, Marseglia mette in evidenza gli “aspetti teorici” maturati negli anni torinesi, puntualizzando come a Torino egli abbia approfondito la conoscenza del pensiero marxista, cui si era avvicinato per “curiosità intellettuale” e che da Palmiro Togliatti, poi, sarà definito: «Gramsci è stato il primo marxista italiano» (un paragrafo del libro è dedicato all’autonomia e all’originalità di questo marxismo). L’approdo in terra piemontese fa giungere Gramsci stesso oltre il socialismo contadino salveminiano senza tralasciare un elemento importante ampiamente trattato da Marseglia stesso: «A Torino nasce, come frutto della filosofia della prassi, l’idea-forza dell’alleanza tra classe operaia e movimento contadino, espressa poi pienamente nel famoso saggio del '26 su La questione meridionale, come applicazione del concetto di “egemonia”», ampiamente sviluppato poi nei Quaderni.
Ma gli anni torinesi sono anche segnati da analisi ed influssi formativi nell’ambito di una rinascita idealistica, senza considerare, (in Socialismo e Cultura), quelle reminiscenze di Vico e il richiamo a Novalis che «afferma una concezione per cui “il supremo problema della cultura è di impadronirsi del suo io trascendentale, di essere nello stesso tempo l’io del proprio io”».
Uno studio, quello di Marseglia, dunque, che si prefigge come meta ultima la conoscenza approfondita e puntuale di uno storico, filosofo e critico di cui ancora oggi si può trovare traccia soprattutto quando si riflette sull’importanza della classe operaia nella società. La componente sociale operaia fu poi sconfitta dal fascismo, episodio sul quale, Gramsci stesso si sarebbe interrogato e a cui forse necessiterebbe un’unica spiegazione risolutiva, quanto più attuale ai nostri tempi. «Perché non si era compresa l’Italia?» da qui, infatti, Gramsci «ricavava il bisogno di ripartire dalla realtà, di non scambiare la realtà con i nostri sogni, di partire dall’analisi reale dello stato di cose esistenti non per giudicarlo immodificabile o subirlo, ma per cercare di cambiarlo a partire dai rapporti di forza esistenti e non dai nostri desideri».
Maria Grazia Franzè
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