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Anno VI, n. 54, febbraio 2012
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 54, febbraio 2012

Zoom immagine Il ritratto di un potere scellerato
per dipingere debolezze e vizi
di personaggi reali ma fantastici

di Agata Garofalo
Da Aliberti editore un libello feroce
sui cortigiani di un impero in declino


Da poco in Italia si è conclusa un’era politica. Si è trattato di un’epoca a dir poco altalenante e confusa, in cui il gossip, i pettegolezzi e i colpi di scena hanno offuscato l’interesse per quelle che erano le reali priorità economiche e sociali del paese. Era facilmente intuibile già da tempo che fossimo vicini al crollo di un impero politico costruito intorno alla figura possente e contraddittoria di un re rimasto oramai nudo e senza più un regno. Fortunatamente c’è chi ha pensato ad esorcizzare la tensione edulcorando, attraverso l’arte e l’immaginazione, le fosche colorazioni di un tramonto politico dolente ed interminabile, con un libretto feroce e dissacrante che resta uno splendido ritratto corale di un periodo importante della nostra storia politica e sociale. È il caso di Marco Damilano – inviato politico per il settimanale L’espresso e tra i più attenti osservatori della contemporaneità – e del suo ultimo lavoro: Spoon River di Arcore. Antologia di un Impero al crepuscolo (Aliberti, pp. 192, € 15,00).

 

Spoon River ed il berlusconismo: analogie ed originalità

Sulle orme di Edgar Lee Masters, l’autore costruisce un racconto che ha dell’epico. In un futuro verosimilmente prossimo, i personaggi del nostro presente rievocano la loro vita passata. Imitando la prosa poetica e la peculiare struttura dell’Antologia di Spoon River, l’acuto giornalista realizza un resoconto variegato e dettagliato dell’attuale situazione politica e sociale. Senza mai discutere apertamente di politica né palesare il suo punto di vista, Damilano lascia piuttosto che siano i suoi personaggi ad esprimersi tramite i versi. Il risultato è il quadro completo dell’epoca berlusconiana con i suoi allucinati protagonisti.

L’impero a cui si allude, infatti, è proprio quello di Silvio Berlusconi, e le anime che vediamo sfilare e raccontarsi in uno sfogo spontaneo senza briglie né remore sono quelle del cimitero di Arcore, in Brianza. Proprio come fecero, sulla collina di una piccola contea dell’Illinois, Elmer, Herman, Bert e gli altri.

L’intuizione vincente è quella di voler raffigurare il momento storico che stiamo vivendo dipingendone il panorama umano, soffermandosi in maniera insistente e quasi morbosa sulle singole individualità. Prima su tutte quella dell’uomo che tiene insieme i fili di un impero ormai evanescente: «era il potere ed era finito nell’impotenza. Era la libertà e si agitava, in trappola di se stesso. Era il Cavaliere della giovinezza e ora le vergini gli si offrivano».

Intorno alla sua figura, ironica ed originale, amara ma divertente, la lunga processione di spettri dolenti si materializza attraverso versi irriverenti, costruiti in equilibrio tra antiche reminiscenze e nuove connotazioni della nobile arte della satira.

 

I protagonisti

Berlusconi è l’ombra onnipresente, il protagonista innominato che non parla mai. Di lui parlano le persone che lo hanno accompagnato da vicino in questi ultimi 17 anni, direttamente o indirettamente coinvolti nel suo governo, più o meno facili da riconoscere dietro lo pseudonimo che fa da titolo ad ogni componimento. Si tratta di 50 finti "auto epitaffi", in cui altrettanti personaggi raccontano le proprie ambizioni, paure, frustrazioni e debolezze.

Ed ecco allora apparire il Ragioniere, che aveva «assunto il colore dei soldi»; il Governante, che racconta di come Lui si vantasse dicendo «il governo della Nazione in mano al Dottor Gianni, un mio dipendente. E non intuiva che, ormai da tempo, era Lui a dipendere da me»; il Fratello Minore, che del maggiore fa «il segnaposto, il prestanome»; l’Avvocato, col compito di «guadagnargli la prescrizione, non la redenzione»; l’Amico Inconfessato, che si ritrovò «in una bicamerale a fare il padre della Patria»; ed il Venduto, col suo discorso subdolo, ambiguo ed ipocrita rivolto al lettore ma anche a tutte le altre anime del cimitero immaginario: «con i vostri piaceri piccoli e volgari, che Lui pensava a soddisfare, la vostra assenza di futuro, di passioni grandi, di sentimenti civili. Fui io, l’Onorevole Qualunque, il volto di questa Nazione in vendita. Io fui tutti voi, guardami con simpatia, visitatore ipocrita, fratello mio. Non Lui, siamo stati io e te, i protagonisti di questa storia». Ed ancora Veronica, il Diavolo, il Pirata, il Macellaio, la Escort, il Direttore, lo Squalo, il Traditore, l’Alleato, la Nipotina, il Maestro, il Bibliofilo, la Maestrina, il Casto, la Soubrette, il Poeta, l’Igienista, il Prete e gli spiriti di altri ministri, cortigiani, faccendieri ed avvocati, giornalisti, maggiordomi e cardinali che vagano ancora senza pace, tormentati dai ricordi e dai rimorsi, intenti a spiegare e giustificare le proprie scelte terrene.

 

Una condanna per tutti, senza giudicare nessuno

Il libro è un’avvincente combinazione di realtà e fantasia, interviste ed intercettazioni, in un ritratto a dir poco feroce dell’Italia contemporanea. È straniante e stimolante l’effetto che fa leggere, come fossero gesta remote, di vicende che seguiamo ogni giorno dai media. Attraverso la parodia, però, i personaggi reali sono soltanto intuibili. È questa la formula adatta per osare, mischiando satira e cronaca senza lesinare, quando servono, termini volgari e particolari osceni.

Per restituire un quadro completo dell’attuale contesto sociale, l’autore opera una traslazione temporale. Spostare nel futuro il punto di osservazione, afferma egli stesso, «aiuta a pensare che ci sarà un Dopo, prima o poi, che tutto passa. E permette di non giudicare». Nessuno viene giudicato né scagionato, premiato né punito, nonostante il punto di vista dell’autore di questi pseudoautoritratti senza indulgenze sia inevitabilmente chiaro.

La condanna per tutte le anime di Arcore è essere perseguitate per sempre dalle proprie ossessioni, che, del resto, sono quelle di tutti noi. «Ognuno ha il tormento che si merita, – afferma Damilano – ognuno è prigioniero del suo destino e dei sogni che avrebbe voluto realizzare. Ognuno è restituito alla sua umanità, spesso meschina, sempre terribilmente viva».

È un sorriso velato di amarezza quello suscitato dal desolante panorama umano presentato nell’opera. L’amarezza aumenta se si pensa che purtroppo non si tratta di finzione, ma della triste realtà, da poco trascorsa ma ancora viva nei nostri ricordi e purtroppo influente sugli atteggiamenti e le abitudini sociali odierne.

 

Agata Garofalo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 54, febbraio 2012)

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