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Anno VI, n. 54, febbraio 2012
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Antonella Loffredo) . Anno VI, n. 54, febbraio 2012

Zoom immagine Un inedito scorcio ritrae
le star della Dolce vita
tra paillettes e lustrini
“fotografati” nel quotidiano

di Sara Moretti
Da Sovera edizioni “a tavola”
con i divi degli anni Sessanta


È il 5 febbraio 1960 quando al cinema “Capitol” di Milano proiettano per la prima volta il film La Dolce Vita di Fellini. In brevissimo tempo la pellicola batte il record d’incassi diventando un caso nazionale. Tutti lo guardano, tutti ne parlano, chi lo difende e chi lo critica. Il paese inevitabilmente si divide. Fino a quel momento il Neorealismo ha partorito film impegnati, titoli impressi nella storia della cinematografia mondiale come Ladri di Biciclette, Paisà, La Terra Trema, il cinema sceso sulle strade per parlare di fame e disoccupazione. Non tutto il pubblico è quindi pronto per un’opera apparentemente fresca e leggera e gli animi, inevitabilmente, si scuotono. Le critiche non si risparmiano ma tutto questo gran parlare non fa che aumentarne l’interesse, riempiendo le sale. «Penso alla Dolce Vita, il film di Fellini, tanto amato nella capitale, quanto criticato a Milano. Lo specchio di una società romana che folleggia tra erotismo, alienazione, la noia e l’improvviso benessere […] Roma ha voglia di stordirsi, esplorare nuovi territori, tirare notte fino all’alba».

Il periodo tra gli anni Cinquanta e Sessanta è, in Italia, il momento della ripresa economica, della rinascita dopo l’incubo della guerra, del riscatto, della voglia di respirare a pieni polmoni la ritrovata libertà. C'è forse la necessità di riprendersi lo spazio negato, di esagerare per sentirsi ancora vivi. Tutto questo porta a una società del lusso, dello spreco e del benessere, emancipata, capace di rialzarsi, di far sentire la sua presenza economica a livello europeo.

 

Gli effetti della ripresa postbellica nello spettacolo

Nel periodo della ripresa postbellica il cinema italiano vive un momento d’oro, cerca e trova una sua formula vincente, Roma diventa un gigantesco set all’aperto e il punto di arrivo per divi stranieri. Cinecittà, saccheggiata durante la guerra dal regime fascista, vive un’efficace ripresa diventando il centro di produzione più grande d’Europa e riuscendo a ospitare grandiose produzioni americane. Sono gli anni dei kolossal come Ben Hur e Quo Vadis? e delle Vacanze romane di Audrey Hepburn e Gregory Peck.

Le star americane giungono nel nostro paese e ne prendono possesso vivendo sopra le righe, ostentando uno stile di vita fatto di eccessi, di furibonde litigate amorose, di quello che oggi chiameremmo gossip ma che, allora, aveva tutt’altro sapore. Si arriva a un cambiamento di abitudini e stili di vita, si cercano nuovi miti a cui ispirarsi e le star hollywoodiane giungono a Roma facendola diventare la città dei divi. Via Veneto, da salotto romano intellettuale, diventa il luogo della mondanità e dell’eccesso.

«È una città eccentrica e chiassosa la nuova Roma felliniana, palcoscenico di esibizioni mondane, di storie d’amore tormentate, di protagonismi da copertina, di intimità che diventano pubbliche, di fiumi di champagne che scorrono sulle scale di Piazza di Spagna». La pellicola descrive una città incerta e vulnerabile, irrequieta, apparentemente dolce, intimamente vuota. È un nuovo modo di fare cinema, è un nuovo modo di raccontare la solitudine umana. Anita Ekberg che si immerge nelle acque della Fontana di Trevi è, e resterà, il manifesto di un’epoca, frivola e sicuramente folle ma, proprio per questo, magica e irripetibile.

La critica non si risparmia, chi definisce la pellicola immorale come l’Osservatore Romano che in un articolo cita: «Basta: il vizio ostentato sullo schermo è un incentivo al vizio […]», chi lo difende e lo descrive come splendido e rarissimo. Di fatto è certamente il manifesto di un’epoca, simbolo di un particolare momento storico che investì la Roma degli anni Cinquanta e Sessanta lasciando un segno profondo ed eterno.

 

La Taverna Flavia

«Le favole a volte iniziano e non hanno mai fine, basta continuare a credere che sia sempre una favola.

Questa è la Taverna Flavia, la favola della mia vita fatta di tanti incontri che nel bene e nel male hanno lasciato un segno, di serate divertenti e a volte malinconiche, di duro lavoro, di amicizie vere nate davanti a un piatto di pasta e di amicizie che si sono rotte, magari davanti a un bel gelato. Se da bambino mi avessero detto che un bel giorno avrei incontrato tanti personaggi che hanno fatto la storia del cinema, dello spettacolo e soprattutto di quel meraviglioso e unico periodo che tutti chiamano la Dolce Vita, avrei pensato sicuramente di parlare con Pinocchio […] Dimenticavo. Io sono Mimmo, Mimmo Cavicchia, l’Avvocato Mimmo Cavicchia». Così, il protagonista di questo diario italiano a stelle e strisce, riassume che cosa ha significato gestire uno dei locali romani più in voga nel periodo della Dolce Vita, dalla metà degli anni Cinquanta, quando nasceva lo star system e quando una vita di eccessi era necessaria per farne parte a pieno titolo.

Liz Taylor e Richard Burton, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Frank Sinatra, Martin Sheen, Ava Gardner, Abbe Lane, Audrey Hepburn e Mel Ferrer, sono solo alcuni dei grandi interpreti della cinematografia e dello spettacolo di quegli anni che hanno più volte varcato la soglia della Taverna Flavia, rendendo il locale un luogo magico, terreno di incontri e scontri, amori nati e poi finiti, «litigate furiose […] sorrisi falsi, abbracci affettuosi, baci d’amore e baci d’addio».

Mimmo è assoluto protagonista di E le stelle stanno a mangiare – La Dolce Vita continua (Sovera edizioni, pp. 224, €19,00) scritto dalla nipote Franca Foffo, esperta in comunicazione, e pubblicato nel 2010. Una sorta di testimonianza scritta in cui l’oste dei Vip, come ama definirsi, svela innanzitutto la volontà, forse eccessiva e patologica, di vedere il suo ristorante frequentato da artisti e celebrità, di far parte in qualche modo delle loro vite, di esserne quindi non un semplice osservatore ma un protagonista. «Quanti segreti devo conservare. Mi sento uno scrigno di cui nessuno ha la chiave. Com'è difficile essere Mimmo! Mi sto commiserando? Giammai, tento solo di controllare l’euforia e allo stesso tempo di mitigare le seccature che a volte capitano. Ma si sa ogni lavoro nasconde delle piccole insidie. Sono l’Oste dei Vip […] Per me questo è il massimo della vita. È divertente, sembra di essere in un film mai girato, ma che, ahimè, non è altro che lo specchio dei tempi».

Grazie ai suoi ricordi diventiamo anche noi protagonisti dello show, riviviamo le serate alla Taverna Flavia e ci sentiamo parte di un mondo così lontano dalla normalità. Abituati a considerare gli attori hollywoodiani come una specie di extra-terrestri, inaccessibili e così distanti dalla nostra quotidianità, siamo qui di fronte, oltre che ai loro eccessi e cioè a tutto quello che ci aspetteremmo, alle loro abitudini, alle loro fragilità, alle loro simpatie e antipatie e, ovviamente, ai loro gusti culinari. Una visione d’insieme decisamente anomala e lontana dalle riviste patinate o dai servizi televisivi, uno spaccato di realtà che ci mostra il lato umano delle star, così come afferma lo stesso padrone di casa: «Sì, adesso mi rendo conto di essere stato testimone diretto di serate che hanno scatenato la curiosità della stampa di tutto il mondo, che chissà che cosa avrebbe dato per assistere ad una cena di Clint Eastwood ai tempi degli spaghetti western o un pranzo in compagnia di Jane Fonda e John Wayne. Sì, da questo punto di vista, sono stato molto fortunato. Certamente avrei altri aneddoti per fare altri libri: alla Taverna ho visto nascere l’amore tra Romina Power e Al Bano, Burt Lancaster era di casa, per non parlare di Samuel Jackson o Mickey Rourke che mi definisce il “Maradona dei ristoratori” e i Beatles, ospitati durante il loro concerto romano».

 

Struttura del testo

Il testo è anticipato da un’interessante Prefazione che ci apre le porte al magico mondo della Dolce Vita, facendoci immaginare un momento molto particolare per la città capitolina che si trovò a essere in quegli anni fulcro principale della mondanità sia nazionale che d’oltreoceano. A seguire il diario personale di Mimmo, custode di segreti mai svelati, i cui racconti sono protetti da un involucro di paillettes e lustrini, in un’epoca apparentemente libera e disinibita ma, allo stesso tempo, elegante e discreta. Mimmo parla di tantissime star dell’epoca che hanno varcato la soglia del suo ristorante, che si sono sedute ai suoi tavoli per gustare le specialità della tradizione romana, dedicando parecchio inchiostro all'amore della sua vita: Liz Taylor. «Agosto 1961. Arriva a Roma Lei, il mito. Elizabeth Taylor. I suoi occhi viola, il suo innato fascino imperversano sulle copertine dei più famosi rotocalchi. Lei, già premio Oscar. Voglio conoscerla e devo riuscirci ad ogni costo. […] La mia amicizia con Liz è diventata forte, ci sentiamo tutti i giorni e quasi ogni sera viene a cena da me. Abbiamo ormai una certa familiarità e un evidente affetto. Chiama mio padre papà, mi saluta con grandi abbracci e mi presenta a chiunque come il suo più intimo amico».

L’ultima parte del testo è invece dedicata a un’intervista condotta dal giornalista esperto di celebrities Franco Repolini e rivolta a Mimmo e alla nipote Franca, autrice del libro. Cosa è stata la Dolce Vita, chi erano i personaggi del momento, come agganciavano le star, la passione per Liz Taylor, sono solo alcune delle domande che trovano una risposta in chiusura. L’ultima, di Franca, svela il perché di questo libro: «Ho tentato di trasmettere emozioni attraverso le storie che erano le mie favole da bambina e che, narrate da mia madre, mi accompagnavano tutte le sere […]».

Chissà se, come cita il titolo, la Dolce Vita continua. Chissà se il cinema è ancora in grado di creare tali scenari e tali magie. Certo, pensare a una sostituta moderna di Audrey Hepburn sembra impresa alquanto utopica nel mondo dello spettacolo contemporaneo. Continuiamo comunque a sognare.

 

Sara Moretti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 54, febbraio 2012)

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