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Anno VI, n. 54, febbraio 2012
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Biografie (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VI, n. 54, febbraio 2012

Zoom immagine Il sindacalismo
agli inizi del ’900
fra Riformismo
e Rivoluzione

di Fulvio Mazza
Da Tangram uno studio approfondito
sulle lotte operaie nell’Italia di Giolitti


Daniele D’Alterio, dottore di ricerca in storia contemporanea, è da anni dedito allo studio del sindacalismo rivoluzionario con una particolare attenzione alla storia dell’azione diretta romana negli anni della leadership di Enrico Leone, quindi di quello che fu non solo uno dei massimi teorici del sindacalismo italiano, ma anche – e questa è senz’altro una novità sul piano storiografico – un leader politico a tutti gli effetti, specie in questi suoi anni “romani”, cioè la guida riconosciuta d’un gruppo sindacale-rivoluzionario che rivestì un peso e un ruolo importante nella crisi del movimento operaio italiano, coincidente con la prima vera crisi del sistema giolittiano. Questo studio ha portato alla stesura del volume La capitale dell’azione diretta. Enrico Leone, il sindacalismo “puro” e il movimento operaio italiano nella prima crisi del sistema giolittiano (1904-1907)Tangram edizioni Scientifiche, 2011, pp. 890, € 44,00 – opera corroborata da perizia documentaria e da una prosa agile che mira sostanzialmente ad evidenziare le molte peculiarità del sindacalismo “puro” leoniano-capitolino, soprattutto nei suoi nessi inscindibili con settori rilevanti del sindacalismo riformista – in primis la Fiom (Federazione italiana operai metallurgici) e i suoi leader Ernesto Verzi e Cleobulo Rossi – e più in generale con un’area moderata delle organizzazioni proletarie italiane, gradualista, d’ascendenza operaista sebbene non meramente anticonflittuale.

 

Il sindacato al bivio fra utopia rivoluzionaria e pragmatismo riformista

In quest’ottica D’Alterio sottolinea a più riprese l’intuizione fondamentale di Enrico Leone – la necessità di un’alleanza strategica fra sindacalismo “rivoluzionario” e “riformista”, volta alla creazione d’un grande organismo sindacale nazionale unitario, capace di trasformarsi in soggetto politico compiuto, dunque di assorbire ed ereditare le principali funzioni del Psi (Partito socialista italiano), anche sul piano parlamentare ed elettorale, a cui l’intellettuale partenopeo e il gruppo da lui guidato cercarono d’infondere vita proprio negli anni di maggiore effervescenza delle lotte sociali primonovecentesche e parimenti di forte ripensamento del tradizionale assetto del movimento operaio italiano, quindi del rapporto – già allora consolidato – fra “sindacato” e “partito”, fra “classe” e “politica”.

In questa concreta opera di revisione politico-sindacale, il gruppo leoniano – nell’ambito del quale operarono figure importanti del sindacalismo rivoluzionario e poi, in modi diversi, del regime fascista: in primis Michele Bianchi, Paolo Orano ed Alceste De Ambris – e la sua vicenda complessiva, secondo l’interpretazione di D’Alterio, si distanziano abbondantemente dalla restante azione diretta, in Italia e in Europa: senz’altro dal gruppo milanese dell’Avanguardia socialista, guidato da Arturo Labriola, Costantino Lazzari, Guido Marangoni e costantemente incentrato in realtà sul primato del Psi; indi dal sindacalismo più nettamente “soreliano”, affascinato dal modello organizzativo francese della Cgt (Confederation générale du travail) e dal suo forte antiparlamentarismo, che rendeva impossibile l’incontro con la particolare sensibilità “tradeunionista” dell’azione diretta romana – stimolanti, a tal proposito, le riflessioni dell’autore sul modello laburista britannico e sulla sua consonanza con l’ipotesi sindacalista “pura”.

Legando fra loro più piani d’analisi e dimensioni della ricerca – dalla storia del sindacalismo rivoluzionario e del socialismo italiani alla dimensione europea del progetto leoniano; dal movimento operaio romano, base d’appoggio e centro direttivo delle iniziative “sindacaliste” leoniane in ambito nazionale, all’impatto dell’azione diretta e delle lotte operaie del primo Novecento sulla crisi dell’intero ceto politico dell’epoca – D’Alterio intreccia la vicenda del sindacalismo “puro” all’impasse del sistema giolittiano, quindi al più consistente tentativo, incarnato da Sidney Sonnino e dalla sua breve esperienza governativa, di superare in chiave conservatrice e al contempo modernizzatrice il “consociativismo” giolittiano e gli stessi nodi irrisolti d’una stagione che aveva visto, specie fra il 1903 e il 1906, l’esplosione del conflitto sociale, l’acutizzarsi del fenomeno dell’azione diretta – anche al Sud – e parimenti l’indebolimento della prospettiva zanardelliano-giolittiana, entrata irrimediabilmente in crisi in occasione dell’agitazione dei ferrovieri, nel 1905.

 

Fughe in avanti e riflusso conservatore: una morsa che stritola Leone

Concludendo il suo studio con l’analisi della dura sconfitta subita dalla prospettiva leoniana – consacrata in certo modo dalla nascita della Cgdl (Confederazione generale del lavoro), dalla vittoria schiacciante del blocco integralista al Congresso di Roma del Psi nel 1906, ma anche dal rilancio del giolittismo a livello nazionale grazie al lungo ministero e, nella capitale, del popolarismo con l’affermazione di Ernesto Nathan – trasformatasi in débacle in occasione del cosiddetto “caso Scarano”, cioè di quella che secondo l’autore fu una vera e propria operazione di linciaggio nei confronti di Leone orchestrata dai socialisti integralisti, D’Alterio non a caso rivendica la modernità e per molti versi l’attualità d’un filone di studi negli ultimi tempi forse negletto e misconosciuto, ma in realtà di grande interesse: «se pensiamo per un attimo, ad esempio, alla recente fibrillazione che ha interessato in Italia il mondo del lavoro – passando ancora una volta, indicativamente, come all’inizio del Novecento, per la “riformista” Fiom, bistrattata da molti, anche a Sinistra, perché incapace d’adeguarsi al “riformismo governativo” del nuovo millennio – e più in generale la società in occasione delle vertenze di Mirafiori, Termini Imerese e Pomigliano d’Arco, che contemporaneamente hanno riproposto il tema dell’arretratezza del Sud, quindi delle “due Italie”; o il tentativo, invero costante, di ridisegnare le regole del mercato del lavoro prescindendo dai diritti e dalla dignità dei lavoratori; o, ancora, i problemi implicitamente posti al sindacato, alla sua – spesso scarsa – capacità di rappresentare nuove soggettività sociali e nuove generazioni, non solo dagli scioperi generali di Grecia e Francia, ma anche dai riots dei migranti a Rosarno, degli studenti e dei “precari” a Roma e a Londra, o dei “nuovi poveri” ancora a Londra, Birmingham, Manchester e nelle banlieues parigine; o, infine, le urgenti questioni poste sia da quelle che sempre più appaiono le miserie d’una classe politica che così ripropone i temi, annosi in Italia, del trasformismo, della corruzione, del “pubblico malaffare”, sia dalla risposta, sovente populista e qualunquista, a questo genere di problemi».

 

Fulvio Mazza

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 54, febbraio 2012)

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