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Anno VI, n. 53, gennaio 2012
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Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franzè) . Anno VI, n. 53, gennaio 2012

Zoom immagine Scienza e democrazia
un filosofo libertario
ne chiarisce i legami

di Luca Onesti
L’influente ruolo dell’analisi conoscitiva,
le discipline della certezza: da Aliberti


Giulio Giorello, filosofo, matematico ed epistemologo, è stato allievo di Ludovico Geymonat ed è titolare della cattedra di Filosofia della scienza presso l’Università degli studi di Milano.

Se ti spiegassi la scienza? (Aliberti editore pp. 128, € 10) si inserisce nella collana Dialoghi diretta da Marco Alloni, scrittore e giornalista italiano che vive da quattordici anni al Cairo. Questo, come gli altri libri che compongono la collana (segnaliamo, tra gli altri, quelli dedicati ad Antonio Tabucchi, Claudio Magris, Massimiliano Fuksas, Tahar Ben Jelloun), si potrebbe definire un’intervista in forma di libro, che di una conversazione, ampia e variegata, conserva il carattere di connessione, mobilità e percorribilità da un argomento all’altro. Nel libro non c’è uno schema costituito e si è di fronte ad una forma di esposizione che si sviluppa spontaneamente, cosa che, quando si tratta di filosofia, come in questo caso, è particolarmente produttivo e allo stesso tempo piacevole.

Secondo Giorello, tracciare una linea di demarcazione netta tra filosofia e scienza risulta molto difficile. Immanuel Kant, ad esempio, coltivava in prima persona interessi scientifici e il suo non è per niente un caso isolato. Talete, considerato da Friedrich Hegel il primo filosofo della storia, è contemporaneamente fisico e filosofo ed Einstein si è dimostrato non solo un grande scienziato, ma allo stesso tempo un importantissimo pensatore del Novecento. Secondo l’indicazione di Geymonat, scrive Giorello, «talvolta, anzi, la filosofia si annida proprio nelle pieghe della scienza. Se un grande scienziato modifica alcune categorie di fondo per esempio – le ripensa, le rimodella, le ridefinisce – non può essere considerato solo uno scienziato, ma anche un filosofo». Giorello non ha dubbi nell’indicare appunto tre fisici: Einstein, Bohr e Dirac, come «le tre grandi menti filosofiche del Novecento».

Il filosofo non si può formare leggendo solo libri di filosofia o, come si fa in Italia, riducendo, secondo la convinzione idealistica, la filosofia alla storia della filosofia, deve invece rendersi conto, riconoscere e tentare di capire le connessioni dei cambiamenti che avvengono nel mondo. La scienza, scrive Giorello «sta letteralmente ripopolando il nostro mondo», sta «continuamente cambiando le nostre vite, introducendo sulla scena politica nuovi attori sociali che si chiamano vaccini, farmaci, biotecnologie, protesi, computer, robot intelligenti». La filosofia della scienza ha qui responsabilità importanti, verificando «le condizioni oggettive in cui entrano in gioco questi nuovi attori sociali» per arrivare a esprimere un giudizio che vada oltre le reazioni puramente emotive. Il ruolo di chiarificazione, proprio della filosofia, ha dunque una dimensione anche e soprattutto politica. Giorello stabilisce una interessante connessione tra politica e scienza riferendosi al valore che in entrambe ha l’esperimento: «in fondo aveva ragione Thomas Jefferson, il grande ribelle della Virginia, terzo presidente degli Stati Uniti: prima di ogni altra cosa la creazione degli Stati Uniti era un grande esperimento della politica!»

Il filosofo milanese ci spiega i motivi per i quali la filosofia della scienza ha caratterizzato molto di più i paesi anglosassoni, anche il Sudamerica che non la nostra Europa. L’atteggiamento razionalistico di molti filosofi era malvisto dal nazismo e si è verificata una diaspora di intellettuali, che hanno lasciato la Mitteleuropa: Giorello fa l’esempio di Popper, Reichenbach e Carnap che lasciarono Vienna prima dell’Anschluss, e di altri che riuscirono a farlo dopo.

In Italia, durante la fase del positivismo, ci fu un forte interesse per la scienza e molti scienziati si aprirono alle tematiche della filosofia. Fu la reazione neoidealistica che seguì ad offuscare pensatori come il matematico Federigo Enriques o una figura centrale della cultura matematica italiana come Bruno De Finetti, che approfondì la relazione dei concetti con la loro applicabilità, secondo una filosofia molto vicina al pragmatismo. Probabilismo (1931) e L’invenzione della verità (1934) di De Finetti sono da considerare capolavori della matematica e della filosofia del Novecento, anche se non hanno avuto finora l’attenzione che meritano.

Il pensatore di riferimento per Giorello è John Stuart Mill. Nel 1981 Giorello ha curato, con Marco Mondadori, l'edizione italiana della sua opera Sulla libertà e, sulla scia del recupero che del pensatore britannico si sono mossi negli anni ’50 Piero Gobetti e Norberto Bobbio. Giorello rimarca «la potenza del pensiero di Mill, un vero e proprio elogio del pluralismo e del dissenso come momento di crescita intellettuale (la scienza) e morale». Ritorna qui il motivo, a cui abbiamo accennato sopra, dei legami tra scienza e politica. C’è, più precisamente, una connessione tra democrazia e scienza, come fa notare in maniera precisa l’intervistatore e curatore del libro, Marco Alloni, rimarcando «quanto una libera ricerca scientifica implichi un contesto democratico alla sua realizzazione e, [...] quanto la stessa democrazia sia prodotto degli effetti “liberatori” della scienza: per esempio nel suo rifiuto dell’autoritarismo dogmatico». Mill, come ha messo in evidenza Nadia Urbinati, non era un tranquillo e pacifico liberale, ma un vero e proprio rivoluzionario: fu attento all’emancipazione dei neri negli Stati Uniti, al movimento femminista, al movimento socialista e si batté per la liberazione del popolo irlandese. Giorello ammira questo suo carattere “libertario” oltre che “liberale”.

Nell’ultimo capitolo le riflessioni di Giorello si volgono all’attualità: il conflitto israelo-palestinese, la situazione dei paesi nordafricani, la crescita economica e politica di un paese come il Brasile, per enumerarne alcune. Particolarmente interessanti sono alcune considerazioni sull’Italia: si nota come non si sia mai riusciti a promulgare una legge sulle coppie di fatto o sulle persone stabilmente conviventi. Oppure si analizza il caso Englaro e, ancor di più, il caso Welby, che Giorello definisce «emblematico della mancanza di libertà in questo paese. [...] Welby infatti ha avuto l’enorme coraggio di esprimere la propria volontà con estrema lucidità e di argomentare a favore delle proprie scelte al punto, come sappiamo, di scrivere una lettera al presidente della Repubblica. Ebbene, malgrado questo coraggio e questa lucidità, che cos’ha ottenuto in cambio? Che gli si sono presentati i carabinieri in casa!». Giorello riprende Sergio Romano e ribadisce con forza che un paese che ha stipulato un Concordato con la Chiesa non può essere considerato un paese liberale.

 

Luca Onesti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 53, gennaio 2012)

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