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Comunicazione e Sociologia (a cura di Alba Terranova) . Anno V, n. 52, dicembre 2011

Zoom immagine L’Italia e la sua popolazione
tra individualità e collettività.
L’osservazione sociologica
del paese in trasformazione

di Maria Grazia Franzè
Gli italiani e la loro identità nazionale
in un saggio proposto da Rubbettino


Futuro e passato. Memoria condivisa e ricordi personali. La storia dell’Italia nasce, cresce e si arricchisce a partire dalla singolarità dell’individuo che inevitabilmente sfocia nell’identità della popolazione peninsulare e che, ogni giorno, procede a grandi e piccoli passi verso il futuro. In questo senso l’“io” diventa un “noi” e la soggettività riflette, talvolta, l’immagine dell’oggettività italiana. A partire da questi temi, i due studiosi Federico Eichberg e Angelo Mellone, ripercorrono e analizzano il comportamento dell’identità italiana, nei suoi centocinquanta anni di unità nazionale, in cui l’Italia «appare una nazione immemore della sua storia e schiacciata nell’orizzonte stretto del presentismo». I due autori utilizzano il pronome personale nella sua forma della prima persona plurale, rendendolo “filo conduttore” di tutto il saggio Il domani appartiene al Noi. 150 passi per uscire dal presentismo (Rubbettino editore, pp. 180, € 14,00).

 

Il tempo dei cambiamenti

Il Novecento è stato il secolo delle ideologie ma anche delle guerre che hanno visto combattere strati sociali diversi, «il secolo drammatico in cui gli Stati perpetravano genocidi e organizzavano campi di detenzione e di stermini», il secolo della Guerra fredda e degli “essi” che hanno controllato ogni vita umana, ma anche il “Secolo breve” al quale succede l’individualismo, mentre lo Stato esce di scena non avendo più l’esclusività della sovranità e della sfera di azione. È il tempo in cui ogni individuo vive nell’eterno presente.

«Questa assuefazione all’individualismo e all’“eterno presente”, riprodotta dalla frenesia del circuito mediatico […] porta a uno svilimento di ciò che è “narrazione” e pensiero pubblico, di ciò che richiede un “pensare plurale”, un pensiero civico, un’etica della responsabilità» accompagnando l’individuo in una sorta di «noi privatizzato». Si personalizzano i partiti, le utopie, le religioni, la salute e anche le relazioni umane fino a giungere ad un cambiamento radicale dello stile di vita.

In questo senso, infatti, gli occidentali, da sempre civiltà che rischia, amante della scoperta e dell’impresa si ritraggono e si chiudono in una vita fra «il lowcost e il lowcommitment», creando una generazione incapace di provare sia la felicità condivisa, sia quella pubblica.

 

Ma noi chi siamo?

«Il “noi” simboleggia l’incontro virtuoso tra la persona e l’interesse generale, e il simultaneo superamento del deserto individualista e delle catene iper-comunitaristiche. Se fosse un quadro, il “noi” raffigurerebbe nitidamente un gruppo di persone che stanno insieme, si stringono attorno ad un progetto, ciascuno con i propri talenti, competenze, virtù, propensioni, ma ciascuno già disposto a donarsi per qualcosa che lo trascende». In Italia però le differenze sociali per unirsi in un “noi” sono fin troppo nitide: il continente europeo, infatti è costituito da una popolazione altamente variegata: gli anziani sono di più rispetto ai giovani, le donne sono sempre più svantaggiate – secondo il rapporto 2010 sul Gender Gap del World economic forum «il nostro Paese è al 74° posto nella classifica che misura lo scarto di opportunità tra uomini e donne in 134 nazioni» – e, come se non bastasse, in questa realtà si aggiungono le coppie di fidanzati che non si sposano più, i genitori che non hanno soldi per adempiere al loro e dunque, come afferma il sociologo Donati, gli italiani hanno sempre più paura a generare. Dulcis in fundo, si fa per dire, «ad accentuare la povertà relativa assoluta è giunto l’avvento di una moneta che, avendo sostituito le storiche divise nazionali, ci fa sentire stranieri in Patria».

 

Dimmi chi sei e ti dirò a quale “noi” appartieni

«L’11 settembre 2001 ha frantumato la fiducia nella capacità della politica di costruire aggregazioni sovrannazionali pacifiche e un ordine internazionale centrato sui valori condivisi»; esistono tanti “noi”, da quello smarrito a quello assopito perché seguace dell’estetica, della superficialità delle cose, dell’uniformità del tempo dove «l’unico esame di coscienza, in una società omologata, diventa l’approvazione: si agisce per convenzione e non per convinzione». Esiste poi un “noi ribelle” di italiani, che non fa progetti e non risparmia perché non crede più ci sia il bisogno di «dare il meglio di sé» dato che non ci sono e non ci saranno traguardi da raggiungere: è l’italiano scontento di quello che ha e di come vive.

Ma se ci fermassimo a questo potremmo pensare che non esiste un “noi” nel futuro? Rassicuriamoci: non è così.

Nel saggio esiste anche il “noi del domani” nella bella penisola che, in fondo, gode di tanti beni preziosi.

Per non essere pessimisti su tutto, c’è da dire che l’Italia custodisce tanti tesori evidenti: da decenni non c’è la pena di morte, «i diritti dei lavoratori ci fanno frontiera avanzata a livello mondiale» e, il grado di analfabetismo è pari all’1% rispetto al 12% registrato nel 1961”. Bisogna solo riappropriarsi di un “io” storico per costruire il “noi di domani”, con tutte le diversità degli uomini, che può garantire il proseguo di una storia ben fondata sull’unità delle disuguaglianze proprio come lo studioso Giano Accame affermava: «La vera storia di una Nazione deve infine giungere a saldarsi in una sintesi degli opposti: da qualunque parte uno si collochi dovrebbe tener conto anche delle passioni e persino degli interessi degli “altri”».

 

Maria Grazia Franzè

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 52, dicembre 2011)

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