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Politica ed Economia (a cura di Antonella Loffredo) . Anno V, n. 52, dicembre 2011

Zoom immagine Televisione
e società

di Maria Saporito
Prima di consumare
leggere le istruzioni
Armando editore


Chi non conosce il professore Michele Mirabella? Chi, almeno una volta, non si è soffermato ad ascoltare le indicazioni mediche offerte nel suo salotto televisivo (quello di Elisir), apprezzandone la verve ironica capace di stemperare anche le tematiche più moleste? Un’operazione non facile, che il conduttore pugliese ha sempre portato a termine con disinvoltura, dimostrando di padroneggiare il mezzo messo a sua disposizione e di saper veicolare con intelligenza i messaggi inoltrati al pubblico. Un utilizzo sano (è proprio il caso di dirlo) della tv o, se si preferisce, un impiego onesto della propria professionalità, messa al servizio di un’audience ben tipizzata, alla ricerca di informazioni puntuali e credibili. Ma non è sempre così, e il Mirabella lo sa bene. Da qui la volontà di compilare un testo capace di mettere in guardia i telespettatori, proponendo un percorso teso a smascherare strategie e intendimenti che quasi sempre fanno rima con il marketing. Un saggio da consegnare al pubblico per dimostrare come tutto ciò che viene propinato dal piccolo schermo obbedisce a logiche ben precise. E contribuisce a intrecciare una rete nella quale il fruitore più incantato e disattento può rimanere intrappolato. Ne Lo spettatore vitruviano (Armando editore, pp. 270, € 20,00), il professore Mirabella cerca, insomma, di tendere la mano al telespettatore sprovveduto, animato dalla convinzione che solo chi ha la consapevolezza di ciò che sta guardando può inoltrarsi verso visioni migliori. E non solo della televisione.

 

La comunicazione: un’esigenza vitale

Si parte da un assunto: «Tutti gli esseri viventi, in quanto tali, intenzionalmente o no, comunicano, perché non c’è vita senza comunicazione». Un’osservazione che l’autore destina da subito ai suoi lettori per fotografare l’impulso vitale da cui si origina la trasmissione di informazioni, saperi ed emozioni. Una necessità atavica, incardinata sulla volontà di mettersi in collegamento, di stabilire una comunione con gli altri. Dai primi «writers» delle caverne ai più spericolati frequentatori del web, l’uomo ha sempre cercato di vincere il buio dell’isolamento e di testimoniare la propria presenza attraverso segni, gesti, messaggi modulati secondo il gusto o la disponibilità del momento. Nella carrellata storica proposta da Mirabella (fine conoscitore delle incalcolabili possibilità comunicative), un posto d’onore viene riservato alla televisione, alla scatola catodica che dal 3 gennaio 1954, imponendosi come «oracolo domestico», magnetizza il nostro Paese. «La televisione – scrive Mirabella – era destinata a diventare la più bella del villaggio. E, come nella più classica delle tradizioni popolari, anche la più chiacchierata».

 

Guardare per consumare

Ma il suo excursus sul piccolo schermo non è sempre clemente. Anzi, con pungente precisione, il professore (che è anche autore e attore di teatro, cinema e radio) confeziona un saggio che non lesina “stoccate” e colpi bassi, nel tentativo di stimolare nel suo lettore – che è anche un telespettatore – riflessioni più argute e maliziose. «Negli ultimi anni – annota l’autore de Lo spettatore vitruviano – la tv si è aperta alle fiction che hanno deportato nelle famiglie italiane commesse, commissari, parroci, medici, professoresse e avvocati delegati ad interpretare quotidianamente ansie e desideri del telespettatore medio. Stereotipi caratteriali in cui prevale la dimensione “casalinga” per attivare processi di seduzione dell’uomo comune». Operazioni che rispondono alle esigenze postulate dai grandi operatori della comunicazione, che – consapevoli della capacità persuasiva del mezzo – rimettono alla televisione il compito di definire gusti e individuare esigenze. In questo gioco di convincimento popolare, la pubblicità riveste (ovviamente) un ruolo centrale, volto a trasformare il telespettatore in consumatore. «La pubblicità, allestendo bisogni fittizi, dirotta il consumatore verso prodotti che, altrimenti, resterebbero ad impolverarsi sugli scaffali delle boutique di massa. La sollecitazione a comportamenti tesi al consumo spinto attraverso la persuasione occulta – affonda Mirabella nel suo ragionamento – costituisce l’aspetto cruciale del consumismo». Un quadro che rimanda, amaramente, a quanto vaticinato da Oscar Wilde: «Niente è così indispensabile come il superfluo».

 

Quando la tv prefigura la realtà

Ma pensare che soltanto nello spazio pubblicitario si consumi l’occulta manipolazione dei televidentes, indotti all’acquisto convulsivo, sarebbe un’ingenuità. Ecco come il professore cerca di mettere in guardia da tutto quello che viene dispensato dalla scatola catodica: «Le televisioni commerciali […] non usano un linguaggio diretto allo scopo di condurre l’utente alla consapevolezza di un bisogno realizzabile con un prodotto o con un altro […], ma raccontano, riportano, mostrano in tutto il flusso delle trasmissioni, e non solo negli spazi pubblicitari, un modello completo di vita». Come dire: esiste un disegno generale nel quale viene minuziosamente immortalato l’identikit del tele consumatore ideale, che deve progressivamente immedesimarsi nei modelli televisivi, costituendone l’interfaccia reale. Uno scenario a tratti inquietante, che spinge Mirabella ad insistere su indicazioni e istruzioni – date sempre con garbo – per scongiurare il pericolo della visione passiva. «Al carisma del despota delle vecchie tirannidi – spiega lo scrittore – si sostituiscono il carisma e la fascinazione del mezzo nel suo complesso. Il mezzo in sé può diventare dispotico se non è al servizio della comunità e se la comunità non ne detiene il controllo». Una potenziale schiavitù (di Orwelliana memoria) dalla quale è, però, possibile affrancarsi. Perché «lo spettatore vitruviano», capace di misurare e conoscere il mondo, reca in sé gli strumenti per avventurarsi in modo intelligente nell’esplorazione dei contenuti televisivi. Di più: ricorrendo alle capacità critiche e inventive di cui dispone, lo spettatore può non solo rapportarsi al mezzo in modo consapevole, ma denunciarne eventuali storture o scorrettezze. Affacciandosi in modo propositivo alle nuove forme di comunicazione (Internet in primis), orientate a celebrare un nuovo rapporto con l’utente: più responsabile e avvincente. Il professore Mirabella ci crede e lascia in consegna ai suoi lettori un calembour carico di speranza: «Se i media “facessero media” nei percorsi formativi di telespettatori e naviganti, probabilmente, si potrebbe “rimediare” alla “medietà” del consumatore mediale».

 

Maria Saporito

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 52, dicembre 2011)

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