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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
L’Italia vista da Gianfranco Fini:
il futuro tra sicurezza e libertà
di Giuseppe Licandro
Riforma costituzionale, federalismo, unificazione politica e culturale
dell’Ue per la ripresa del Belpaese in un saggio edito da Rubbettino
Gianfranco Fini, attuale presidente della Camera dei deputati, vanta una militanza politica ultraquarantennale. Iscrittosi nel 1968 al Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano, Fini ne divenne segretario nazionale nel 1977, legandosi saldamente al leader missino Giorgio Almirante, che nel 1987 lo designò come suo successore alla guida del partito.
Dopo aver mantenuto quasi ininterrottamente la segretaria dell’Msi dal 1988 fino al 1994 (con la sola parentesi del biennio 1990-91, quando i missini furono guidati da Pino Rauti), Fini pilotò la svolta che sancì la nascita di Alleanza nazionale, di cui divenne presidente alla fine del Congresso costitutivo svoltosi a Fiuggi nel 1995.
Da An al Fli
Negli anni seguenti, Fini modificò le sue posizioni ideologiche e, dopo aver preso le distanze dai suoi trascorsi neofascisti, si avvicinò alle idee della destra liberale, ricoprendo importanti mansioni politiche nei governi guidati da Silvio Berlusconi a partire dal 2001, prima come vicepremier e, in seguito, in qualità di presidente della Camera dei deputati.
Fini condivise per parecchio tempo le scelte politiche compiute dal Cavaliere, accettando l’alleanza con
Nel
Dopo aver fondato un proprio gruppo parlamentare ed aver abbandonato la maggioranza, Fini ha dato vita a Futuro e libertà per l’Italia, un nuovo partito di centrodestra che sta cercando di aprirsi uno spazio autonomo all’interno del sistema politico italiano, mirando a raccogliere una parte dei voti che, in seguito alla crisi del berlusconismo, sono in libera uscita dal Pdl.
Per capire il punto di approdo dell’evoluzione politica di Fini e conoscere meglio il programma politico del Fli, invitiamo a leggere l’ultimo scritto del presidente della Camera, intitolato L’Italia che vorrei (Prefazione di Giuliano Amato, Rubbettino, pp. 286, € 18,00).
I concetti chiave del programma finiano
Si tratta di un libro ricco di idee e di proposte, in cui Fini affronta i problemi che attanagliano oggi l’Italia e, più in generale, l’Unione Europea, elaborando i concetti chiave del programma politico del Fli e soffermandosi ad analizzare le misure da intraprendere per consolidare la democrazia e superare la grave crisi economica che affligge dal 2008 i paesi della Ue.
Egli sta cercando di dar vita a una destra “moderna”, rispettosa delle “regole del gioco” democratiche, che vada oltre il populismo demagogico di cui si sono fatti portavoce in questo ultimo ventennio
Nella Introduzione del suo saggio, egli si dichiara convinto che «senza una forte azione di ammodernamento delle istituzioni, il nostro Paese non può vincere le sfide della globalizzazione»: egli, in tal senso, propone una riforma costituzionale che attribuisca più forza al potere esecutivo, facendo sì che si realizzi «un adeguato rafforzamento delle funzioni di indirizzo e di impulso della Presidenza del Consiglio dei Ministri».
Altro punto essenziale del programma politico finiano è la richiesta di una trasformazione in senso federalista dello stato, in quanto, secondo lo statista bolognese, essa è «una scelta obbligata e irreversibile e già adottata dalla maggior parte degli Stati democratici di grandi dimensioni».
Fondamentale, a suo parere, sarà l’adozione di un efficace federalismo fiscale, che «dovrà necessariamente cambiare l’assetto della finanza pubblica» e comporterà una ridefinizione in senso liberale dei compiti delle istituzioni: «dobbiamo [...] passare da una concezione dello Stato interventista e “tuttofare” a una nuova visione in cui le funzioni statali coincidano con gli aspetti essenziali per il governo del sistema».
Il futuro dell’Unione Europea
Uno sguardo particolare viene rivolto da Fini al tema dell’unificazione politica e culturale dell’Europa, attraverso una maggiore integrazione dei paesi della Ue, che riesca ad andar oltre i meri rapporti commerciali.
In tal senso, egli è convinto che ci sia già una “Costituzione materiale” in atto tra i membri della Comunità europea, che ha come suo nucleo portante «il pieno riconoscimento e la promozione dei diritti», come peraltro sancito anche dall’articolo 136 del Trattato di Lisbona, in cui, tra l’altro, si afferma che: «La Comunità e gli Stati membri [...] hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, [...] una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane [...] e la lotta contro l’emarginazione».
Come evitare, tuttavia, che queste dichiarazioni di principio rimangano lettera morta? Come superare la crisi politica della Ue innescata dalla bocciatura del Trattato costituzionale nei referendum tenutisi, tra il 2005 e il
Fini è convinto che bisogna agire su un doppio fronte, «quello delle politiche e quello [...] della psicologia collettiva per invertire il sentimento della sfiducia e del pessimismo», proponendo di rilanciare un progetto europeo incentrato sia sulla sicurezza che sui diritti civili. Ad esempio, sarà necessario contrastare in modo sempre più efficace «il traffico di immigrati irregolari, controllato da organizzazioni criminali», ma nello stesso tempo semplificare «le procedure per la concessione del diritto d’asilo» nei confronti dei profughi che scappano dalle guerre o dalle dittature.
Perché ciò avvenga, tuttavia, è indispensabile che «l’Europa ritrovi la forza di esprimere una volontà politica che non sia soltanto la somma di volontà nazionali» e sappia, dunque, «rilanciare un progetto di Europa più condiviso e più adeguato».
I diritti umani e l’immigrazione
Il secondo capitolo de L’Italia che vorrei è dedicato alla trattazione delle problematiche concernenti i diritti umani.
Fini, pur propendendo per una definizione “giusnaturalista” dei diritti umani che tenga conto del «valore della persona e della sua libertà di autodeterminarsi», si confronta con il multiculturalismo e con le tesi di Norberto Bobbio, secondo cui non può esserci «un fondamento assoluto a diritti storicamente relativi, variabili di luogo in luogo e di tempo in tempo».
Un esempio di legislazione equilibrata, a suo parere, è rappresentato dalla Costituzione italiana, che tiene conto del pluralismo etico-politico e religioso, senza per questo rinunciare ad enunciare i principi fondanti della società civile, in modo da «salvaguardare la nostra convivenza dalle spinte distruttive, assicurando a una società sempre più pluralistica la via per mantenere la coesione».
Tra i diritti umani, Fini inserisce anche il diritto d’asilo per i profughi e si sofferma ad analizzare anche la controversa questione dell’immigrazione nei paesi della Ue di una massa sempre crescente di lavoratori extracomunitari.
In passato, Fini fu tra i promotori della severa legge n. 189 del 2002, meglio nota come “Bossi-Fini”, che prevedeva l’invio degli extracomunitari senza permesso di soggiorno nei Centri di permanenza temporanea e, dopo l’identificazione, la loro immediata espulsione verso i paesi di origine.
Ne L’Italia che vorrei, al contrario, il leader del Fli assume posizioni più aperte, sostenendo che non c’è «una giustificazione alla chiusura ermetica delle frontiere» e che «non esistono più Nazioni che abbiano una popolazione omogenea dal punto di vista etnico». Pertanto, pur respingendo il relativismo culturale più radicale, Fini ritiene che non si possa imporre agli stranieri la rinuncia alla propria identità culturale, sebbene sia doveroso chiedere loro «di esprimerla in modo non conflittuale con gli altri [...] nel totale rispetto della legalità».
Il nesso tra libertà e sicurezza
Fini ritiene che i paesi occidentali abbiano esasperato, nell’ultimo decennio, il tema della sicurezza e dell’ordine pubblico, soprattutto per due motivi: 1) l’arrivo di un numero elevato di lavoratori “stranieri”, che ha provocato indubbi disagi; 2) «ragioni politiche o di fazione», legate al proliferare di partiti xenofobi che evocano «nemici e gravi pericoli anche quando la minaccia non è poi così grave».
Citando le tesi del filosofo britannico Zygmunt Bauman, egli parla di un “circolo vizioso” di cui sono vittime oggi le nazioni più opulente: «la paura generica alimenta il bisogno di sicurezza ed è, a sua volta, alimentata da questo bisogno».
Sebbene esista realmente un “problema sicurezza” nel mondo occidentale e siano presenti gruppi politico-religiosi sediziosi e organizzazioni criminali che mettono a repentaglio l’incolumità dei cittadini, gli stati democratici non possono ricorrere a misure puramente coercitive, limitando i diritti individuali, per garantire l’ordine pubblico: «libertà e sicurezza non possono essere viste come un binomio di poli opposti», poiché è «sul contemperamento tra esigenze di libertà ed esigenze di sicurezza che [...] si giocherà il futuro dello Stato di diritto».
Non si devono, pertanto, enfatizzare per scopi meramente propagandistici «paure e insicurezze sociali», ma tenere sempre ben presente, sul piano legislativo, quanto previsto dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali della Ue: «Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza».
Come affrontare la crisi economica
Fini dichiara la sua adesione al modello economico liberista e, pur riconoscendo errori e storture che hanno innescato a partire dal 2007 l’attuale instabilità economica, ritiene che «le degenerazioni causate da tale squilibrio non possono [...] essere imputate al mercato e alla concorrenza».
Egli, quindi, non condivide le soluzioni fornite dagli economisti keynesiani, secondo cui ci sarebbe «la necessità di massicci e generalizzati interventi pubblici nell’attività economica». Si tratta, invece, di stabilire regole più rigide e severe contro le speculazioni finanziarie, onde evitare che «gli abusi di pochi si traducano in un danno per molti».
Secondo Fini, è innegabile che la globalizzazione presenti aspetti negativi, come ad esempio «un aumento della precarietà e dell’incertezza sulle prospettive future». Nel contempo, però, egli ne mette in risalto anche i lati positivi, che a suo parer consistono soprattutto in quattro fattori: «la riduzione delle barriere alla circolazione di beni e fattori produttivi [...]; lo sviluppo della information technology, con la disponibilità di informazioni in tempo reale; la liberalizzazione dei flussi commerciali e degli investimenti internazionali [...]; le privatizzazioni e i processi di deregulation, che hanno creato nuove opportunità per gli investimenti diretti all’estero».
L’autore si sofferma ad esaminare il nesso tra “dimensione globale” e “dimensione locale” che contraddistingue la globalizzazione, prendendo in considerazione i movimenti localistici che si battono da tempo contro il neoliberismo predominate per valorizzare la «produzione a chilometro zero».
Egli, in tal senso, riconosce l’importanza di garantire uno sviluppo armonico tra le due dimensioni economiche, «un equilibrio tra “globale” e “locale”», che, senza stravolgere le regole del libero commercio, attribuisca agli enti locali una maggiore autonomia amministrativa per potersi inserire nei mercati mondiali e garantire lo sviluppo economico del proprio territorio.
La soluzione dei problemi economici attuali, a suo avviso, è fornita da quella che si definisce come “economia sociale di mercato”, ossia da un insieme di norme internazionali che sappiano regolare «in termini equi i potenziali conflitti di interesse e sociali che l’esercizio dell’attività economica può ingenerare».
La scelta delle alleanze politiche
Nella parte conclusiva del suo saggio Fini si sofferma a parlare della Costituzione italiana, ai cui valori dichiara senza indugio di aderire, pur ritenendo che essa «non è un testo sacro, una sorta di totem polveroso e intoccabile».
Il leader del Fli considera la Costituzione «il “centro di gravità permanente” della nostra democrazia» e «la stella polare che può guidare la nostra società», asserendo che debba essere insegnata ai giovani per far loro comprendere «quali sono quei valori fondamentali in assenza dei quali il vivere civile è più complesso».
Come fa giustamente notare Giuliano Amato nella Prefazione, tuttavia, L’Italia che vorrei lascia irrisolto un interrogativo che scaturisce dall’intricato contesto politico dell’Italia odierna, cioè «se un destra liberale e pragmatica possa esplicare in Italia il suo ruolo nella collocazione che è per lei naturale o se [...] debba allearsi con il centro-sinistra». Per realizzare il suo progetto di trasformazione dello stato, infatti, il Fli dovrà necessariamente trovare alleanze solide e sarà costretto a confrontarsi non solo con le forze politiche di centro (Udc, Api, Mpa), ma anche con il Pd con cui potrebbe coalizzarsi alle prossime elezioni politiche, le quali, pur essendo previste per il 2013, potrebbero tenersi già nel 2012, se il governo Monti dovesse entrare presto in crisi).
Vedremo se il progetto politico finiano, finalizzato alla creazione di una destra liberale scevra dai retaggi del berlusconismo e del leghismo, riuscirà a ottenere adesioni consistenti e saprà proporsi come credibile alternativa alla destra populista più radicale, oppure se è destinato a smarrirsi nel clima di sfiducia e di disincanto che, in questo frangente, sta attanagliando gran parte dell’elettorato nostrano.
Giuseppe Licandro
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 52, dicembre 2011)