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Direttore editoriale: Giovanna Russo
Anno V, n. 51, novembre 2011
Piccole grandi donne
in lotta per la libertà:
storie di coraggio
tutte al femminile
di Antonietta Zaccaro
Da Città del sole, le vite incredibili
di donne che hanno lasciato il segno
Ci sono donne che nel loro piccolo, nella loro quotidianità, hanno contribuito a cambiare il mondo, a renderlo un posto migliore ma, proprio perché relegate nel loro piccolo focolare, non hanno avuto la possibilità di entrare nella storia, di avere gli onori che meritavano, di essere considerate parte integrante della crescita di una nazione, di un paese, di una cultura. Raccontare al grande pubblico la storia di queste donne che nella vita e nella morte sono rimaste nell’ombra è il compito che si prefigge Nando Primerano, insegnante reggino, nella sua opera Ci sono storie di donne… (Città del sole edizioni, pp. 136, € 12,00). Sfogliando le pagine di questo libro troviamo tanti volti di donne che raccontano la loro storia per essere ricordate, per riprendersi ciò che è stato tolto loro da un mondo declinato solo al maschile, dove il singolare femminile non compare quasi mai. Questo libro è un faro che vuole illuminare delle vite straordinarie.
Vite di donne fuori dall’ordinario
Basta la prima pagina del libro a fornire il filo conduttore di tutta l’opera. Infatti, la prima parola a spiccare sulle altre è un nome di donna, una donna fondamentale per la storia degli Stati Uniti d’America: Sicajawea, figlia del capo della tribù Hidatsa, rapita e venduta a un rozzo commerciante di pellame: «Questa giovinetta, al seguito del marito-padrone, divenne un elemento fondamentale nella famosa spedizione di Clark e Lewis che attraversò il continente americano e trovò la strada più breve per il Passo di Rozeman e lo Yellowstone. La sua conoscenza degli idiomi, la sua capacità di relazione con le altre tribù indiane, la sua determinazione in alcune situazioni precarie, furono indispensabili per la riuscita della spedizione e quindi per l’inizio di quella che fu la costruzione degli Stati Uniti d’America». Dalla grande impresa americana ci spostiamo nella nostra terra, raccontando la storia di Vera Cavallaro, che partecipa attivamente a quella che è passata alla storia come la “Repubblica rossa di Caulonia”, distribuendo il rancio ai contadini che combattevano per avere una condizione di lavoro più sopportabile, più umana. Vera, che non tradirà mai la sua missione: vestita di rosso in tribunale, in nome della lotta tradita, seduta vicino alla cella che rinchiude padre e fratelli, schernita dai carabinieri per la sua presa di posizione così poco consona a una donna, nella Calabria degli anni Quaranta, ma che tanto esemplifica la forza e la determinazione di una donna del Sud. Dall’Italia, il viaggio attraverso i volti di tante donne passa attraverso una regione dilaniata dalla guerra da tempi immemori, un lembo di terra che non riesce a trovare pace: la striscia di Gaza. Qui incontriamo Ellen Siegel, infermiera ebrea di nazionalità americana, che opera nel Gaza Hospital, il più importante ospedale della Mezza Luna Rossa Palestinese in Libano. È qui che accoglie gli esuli scacciati a colpi di mortaio israeliano dal campo profughi palestinese di Sabra e Chatila il 18 settembre 1982. Fu una strage, un massacro senza distinzione di sesso, razza, età e ceto sociale; bambini, donne, anziani accolti con rabbia e sconcerto da questa infermiera, che tentò di salvare più vite possibili: «È passato molto tempo da quel settembre 1982, ma ogni anno questa piccola ebrea americana di più di ottantotto anni ritorna nell’anniversario del massacro in quei luoghi, con i sopravvissuti. Per non dimenticare. Come se si potesse». Il nostro viaggio ci porta in Burkina Faso, dove incontriamo Blandine Sankanà, sorella di Thomàs, «l’uomo che osò portare il Paese, tra i più poveri della fascia di Sahel, fuori dalle grinfie del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale». È dalla sua voce che conosciamo l’entusiasmo di un popolo pronto a prendere su di sé il proprio destino per portare la propria economia e la propria politica a un nuovo stato di emancipazione, è la sua voce che racconta questo sogno spezzato il 15 ottobre 1985, quando una raffica di mitra pone fine alla vita di Thomàs e alla speranza di un intero popolo. Dal Burkina Faso al Kurdistan dove incontriamo Leyla Zana, una donna che ha avuto il coraggio di parlare, di esprimere tutta la sua rabbia nei confronti di un governo e di una cultura che relega le donne allo stesso gradino sociale degli animali, e proprio per questo è stata arrestata e condannata al carcere a vita. Nelle sue lettere dal carcere il motivo conduttore è sempre lo stesso: «Parlate! Prendete la parola! Esprimetevi in tutti i modi! Che nessuno mai più possa dirci: “donna taci!”. Rifiutiamoci di tacere! Parlare liberamente è già una avanzata decisiva sulla strada della libertà». Accanto a questi nomi, da noi mai pronunciati e mai ascoltati, troviamo altre donne, Aung San Suu Kyi e Sakineh che hanno fatto del loro nome, della loro vita, un modello di lotta, di forza, di coraggio che tutte le donne dovrebbero prendere ad esempio. È incredibile come il Premio Nobel per la pace, una piccola donna birmana, abbia avuto l’ardire di sfidare la giunta militare, vincere le elezioni, e poi, dopo che la consultazione è stata definita non lecita, riuscire a sopportare per anni e anni il carcere prima e gli arresti domiciliari dopo, sempre mantenendo saldo il suo carisma, barattando stralci di libertà per dare ancora più slancio e speranza ai suoi sostenitori. Una piccola grande donna capace di sfidare, con il principio della non violenza, un regime che ripone nella forza delle armi il suo consenso. Da terre così lontane ci spostiamo nella nostra Calabria, nella cittadina di Rosarno, terra soggetta a forme d’immigrazione stagionale, dove è più facile, nei mesi caldi, incontrare per le strade della città un senegalese o un africano piuttosto che un rosarnese. È qui, dove la criminalità organizzata sfrutta fino allo stremo gli immigrati africani arrivati nel nostro paese nella speranza di una vita migliore, che troviamo Norina Ventre, meglio conosciuta come “Mamma Africa”, maestra d’asilo di ottantatré anni che, di fronte ai volti sofferenti di queste persone, non trova altro rimedio che aprire la sua casa, creare una piccola mensa nel suo giardino e accogliere tutti quei ragazzi maltrattati, senza cibo e coperte, senza casa. La sua, di casa, è diventata un punto di riferimento per tutti gli immigrati di Rosarno: «Un’isola sicura in un mare ostile che monta e ingrossa fino a distruggere con un atto vandalico anche quei tavoli e quelle quattro sedie. Ma Norina non è donna che demorda facilmente». Questi sono i volti e le storie di donne che hanno fatto della loro vita una missione, al mondo ce ne sono molte altre che nel quotidiano lottano per far quadrare i conti, per mandare avanti la propria famiglia, per cercare di mantenere il proprio lavoro, nonostante la gravidanza diventi sempre più visibile, a tal punto che i vestiti larghi non riescono più a celarla. Ci sono donne che vivendo la loro vita riescono a far declinare la società al femminile, relegando in un angolo il singolare maschile.
Antonietta Zaccaro
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 51, novembre 2011)
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