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Anno V, n. 51, novembre 2011
La retorica
e la politica
tra ieri e oggi
di Elisabetta Ricci
In un saggio edito Donzelli
le due scienze a confronto:
uno studio ben approfondito
Sin dalla classicità l’agone politico ha rappresentato la sede privilegiata di espressione dell’arte sofistica della persuasione. Emblematica l’ars del basileus-oratore dei poemi omerici e degli esponenti della seconda sofistica. Attualmente, però, si registra un’inversione di tendenza per cui l’ars retorica, avente pari dignità rispetto al governare e rilevante importanza per l’accordo politico, ha degradato la sua funzione a ruolo famulativo ed ancillare. L’arte della parola si è asservita alla politica che, non essendo scienza esatta, necessita di consensi più che di riscontri.
Un’attenta disamina dalle origini all’Italia contemporanea
Ottimamente curato da Silvio Lanaro, professore di Storia contemporanea all’Università di Padova, Retorica e Politica (Donzelli editore, pp. 360, € 28,00) affronta in dieci capitoli il rapporto tra le due arti, per poi fornire una sintesi della fondamentale influenza che la prima ebbe nella storia socio-economica e sulla cultura italiana.
Muovendo da un interessante excursus storico e avvalendosi di molteplici fonti, l’autore prende in esame le origini dell’Italia contemporanea, alludendo in primo luogo al contesto storico con particolare attenzione ai riferimenti politici, culturali e morali che pongono in evidenza l’evoluzione e lo sviluppo dello Stato. Volgendo lo sguardo oltre, gli orizzonti si aprono alla dimensione europea, toccando le complesse dinamiche internazionali.
L’autore paragona il nostro tempo alla fase adulta della vita di un uomo che non riesce a volgersi al passato, poiché incapace di coglierne le continuità e le fratture, ed è al contempo estraneo alle categorie del presente che egli stesso ha contribuito a creare.
Il contraddittorio legame tra le trasformazioni socio-economiche e il conflitto mondiale
Significativamente, si pone in rilievo la cronistoria degli anni immediatamente precedenti il conflitto mondiale, caratterizzati dalla diffusione dei contenuti politico-ideologici di carattere “superomistico” nella mentalità collettiva italiana ed europea che la politica aveva contribuito a mitizzare. Interessante la considerazione circa la sistematicità dei mezzi di comunicazione di massa nell’ambito di tale processo, atti a veicolare contenuti emotivi e irrazionali.
In tal senso, la retorica e i suoi particolari codici comunicativi hanno rappresentato lo strumento privilegiato di diffusione.
L’intellighenzia e il potere
L’autore si interroga sul rapporto tra la categoria degli intellettuali e il potere, che apre nuovi scenari se riconsiderato ai giorni nostri. Quale ruolo ha avuto l’intellighenzia nel fomentare il “mito di Roma”?
Senza dubbio la retorica ha rappresentato nel corso del tempo un’arma politica incontrollata per guerre in cui le parole avevano il preciso scopo di colpire e affondare.
Il modello espressivo delle élites sostanzialmente ha anticipato lo stile della propaganda fascista.
Il punto di svolta della modernità
Quella narrata dall’autore è anche storia di prevaricazioni, dell’utilizzo strumentale dello stesso concetto di Italia per colmare lacune e distorsioni. Ciò al fine di legittimare un sistema di disuguaglianze ed ingiustizie.
Lo storico rimanda acutamente a personaggi rappresentativi della storia italiana che ne hanno segnato irreversibilmente le tappe, creando contestualmente degli interessanti parallelismi con altri paesi europei, quali la Francia.
Uomini che hanno contribuito ad unire le coscienze per spianare la strada ad un percorso di centocinquanta anni di storia comune tra luci e ombre, momenti bui, profonde lacerazioni e tensioni vissute dalla collettività nazionale.
La mentalità europea e gli strascichi dei totalitarismi
Interessante il monito nell’explicit conclusivo enucleato dall’autore. Le tracce dell’eredità dei totalitarismi sono ancora ravvisabili nella storia e nella vita europea, assumendo contorni indefiniti e sfuggenti. Sebbene i lineamenti costituzionali dello Stato idealizzino la centralità e il rafforzamento della coesione europea, sarebbe opportuno che la modernità, nella sua esasperazione tecnicista, riconsideri la netta separazione tra politica e retorica, per rivedere il mito della prima come sterile tecnica oratoria e la seconda come pura e semplice tecnica amministrativa. La crisi e la perdita del consenso, l’impopolarità sono la cartina di tornasole di un sistema al collasso. Pericle, Giulio Cesare, o modelli più vicini quali Clemenceau, Churchill e Roosevelt, potrebbero essere illuminanti per una rappresentatività e rappresentanza calzanti al modello democratico.
Elisabetta Ricci
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 51, novembre 2011)
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