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Anno V, n. 51, novembre 2011
8 settembre 1943:
il crollo del regime,
l’esercito sbandato
di Antonietta Zaccaro
Da Ferrari il resoconto drammatico
di un testimone diretto di quei giorni
La liberazione dal giogo fascista, la dura presa di coscienza dei vinti di una guerra finita, la sconfitta più grande nello scendere a compromessi con i vincitori diventati alleati, questi sono i sentimenti che muovono gli animi delle forze dell’ordine che, dal luglio al settembre
1943, hanno il compito di porre fine alla partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale. Un conflitto che vede l’Italia cedere e chiedere aiuto alle forze americane che pretendono un esoso corrispettivo in cambio della loro amicizia. L’asse politico europeo cambia totalmente: Mussolini è costretto alla resa, il re prende le redini della guerra, fino a portare un'Italia ormai sfibrata alla fine di uno scontro che ha chiesto un prezzo troppo alto in termini di vite umane, per cui il nostro paese non era pronto e che, ancora oggi, si sente raccontare dalle voci, ormai anziane e stanche, di chi, quell’inferno l’ha vissuto sulla propria pelle, e non riesce a dimenticare il rumore degli aerei e delle bombe che si schiantavano al suolo. È questo il caso di Corrado Minnicelli, scrittore rossanese, ufficiale del Regio esercito, che racconta nel libro pubblicato postumo, Quell’8 settembre… (Ferrari editore, pp.160, € 16,00) l'esperienza bellica vissuta in prima persona, attraverso la voce del generale Aimoni, personaggio di fantasia, che narra, in maniera minuziosa, nel pieno rispetto della realtà storica sia pure nel contesto di un romanzo, gli eventi che hanno portato alla caduta del governo Mussolini e allo sganciamento dell’Italia dall’Asse.
Due personalità a confronto
I due personaggi principali sono il generale Aimoni e il tenente Caccamo; il primo è un uomo aristocratico di una certa levatura culturale e sociale, con il compito di agire nell’ombra per conto del Comando Supremo; il secondo è un uomo del popolo che si sacrifica per il bene della patria. Sono queste due personalità così contrastanti al centro di tutto il romanzo storico, che con le loro azioni fanno progredire gli avvenimentii e danno un senso di umanità alla vicenda bellica.
Siamo nei primi giorni luglio 1943, una riunione del Comando supremo si è appena conclusa in maniera proficua, due nomi sono emersi dalle lunghe contrattazioni, due persone in grado di scalzare via il Duce e portare l’Italia verso la conclusione della guerra: Caviglia e Badoglio. «Aimoni, mirava, attraverso l’approvazione del giorno, a fornire al Re l’occasione di togliere di mezzo tutto il fascismo e restaurare la legalità costituzionale», manca solo l’approvazione regia. La preferenza del generale è per Caviglia ritenuto più capace di portare in salvo l’Italia, rispetto all’attempato Badoglio, ma il re, Vittorio Emanuele III, non è dello stesso avviso, preferisce Badoglio. Al nostro generale non rimane che accettare la decisione del sovrano e lavorare fianco a fianco per il bene della patria.
Mentre in Italia si lavora per far concludere la guerra, in Germania non hanno alcuna preoccupazione, sembrano non temere alcun male da parte degli alleati peninsulari, ma la disfatta è dietro l’angolo: il Comando supremo italiano inizia a trasmettere a tutte le guarnigioni europee degli affidavit, che assegnano ad ogni comando una parola d’ordine da utilizzare nel giorno fatidico della rottura con la Germania. L’autore racconta che «vennero designati l’ufficiale e il reparto che avrebbero dovuto eseguire il fermo di Mussolini. […] Si stavano individuando le sedi e le abitazioni dei gerarchi da cui si sarebbe potuto temere un colpo di testa: Scorza, Muti, Galbiati, Farinacci e pochi altri. […] Reparti di truppe vennero spostati, per essere pronti ad intervenire». È il 24 luglio e tutto ferve.
Com'è noto, i fascisti anticipano inconsapevolmente, all’alba del 25 luglio, le trame dei militari e del re e offrono a Vittorio Emanuele III, su un piatto d’argento, le dimissioni di Mussolini. Il re prende la palla in balzo e, secondo la ricostruzione fantastica (ma non fantasiosa) di Minnicelli, nomina alla carica di Capo del governo proprio Badoglio che inizia fin da subito a trattare con gli americani per ottenere l’armistizio.
Il comando delle forze tedesche in Italia è affidato al generale Kesserling, che, a rapporto
dall’ambasciatore Rahn, inizia a sospettare qualcosa delle macchinazioni italiane e già escogita un metodo per non perdere il controllo della Penisola: «Kesserling sosteneva che la penisola andava difesa palmo a palmo, dato che anche la composizione del territorio lo consentiva, opponendosi a eventuali sbarchi e attaccando in forze le teste di ponte. E occorreva subito attaccare e disarmare le truppe italiane». Di contro, il generale Rommel propone una strategia più attendist; il Führer, però, non ha ancora deciso quale delle due opzioni è più adatta.
La firma dell’armistizio
Il 3 settembre 1943, a Cassibile, vicino Siracusa, viene firmato l’armistizio tra il governo Badoglio e il generale americano Eisenhower, ma rimane il problema di quando renderlo pubblico. Gli anglo americani premono per una immediata pubblicazione, anche perché è già iniziato il loro sbarco in Calabria, Badoglio, invece, vuole aspettare. Il comunicato viene diffuso la mattina dell’8 settembre 1943 e non coglie di sorprese le truppe di Aimoni, che immediatamente fanno partire la reazione a catena delle parole d’ordine concordata con i vari reparti, che reagiscono prontamente ai primi attacchi tedeschi. La macchina bellica italiana si mette subito in moto: i reparti predisposti per la difesa di Roma si schierano e si provvede rapidamente all’evacuazione della famiglia reale: «il Re rappresentava il simbolo della nuova Italia e doveva costituire un punto di riferimento costante, anche per la sua qualità di Capo Supremo delle Forze Armate». Il generale Kesserling, di contro, attiva quella tedesca: i vari reparti italiani sparsi per l’Europa vengono proditoriamente attaccati, ma con prontezza di spirito riescono a mantenere salde le loro posizioni. È in questo frangente che entra in scena l’altro protagonista della nostra storia: il tenente Raffaele Caccamo, veterinario nella Divisione Piave, di stanza a Monterotondo, per aver cura di muli e cavalli. Egli si trova catapultato al comando del suo reggimento dopo la morte del comandante. I tedeschi si avvicinano e lui, abilmente fa da tramite fra la guarnigione e i cittadini, contadini ed artigiani del paese vicino. Inizia a minare la strada e i ponti, in modo da trovarsi pronto ad affrontare i blindati germanici. L’attacco tedesco viene respinto, e il tenente Caccamo cade combattendo alla testa dei suoi soldati, immolandosi per il bene della patria.
Un romanzo storico avvincente, quello edito da Ferrari, dove la fantasia dell’autore ben si intreccia con i drammatici avvenimenti dell’estate del 1943.
Antonietta Zaccaro
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 51, novembre 2011)
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