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Anno V, n. 51, novembre 2011
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno V, n. 51, novembre 2011

Zoom immagine Due medici testimoniano
l’orrore della guerra

di Elisabetta Ricci
Pubblicata da Bianca e Volta edizioni
la cronaca della tragedia palestinese


«Dormite, bambini coraggiosi, siate saggi / Ritrovate la strada del ritorno / Diventate forti e un giorno riprendete ciò che ci portarono via» (Tu notte eterna, Rim Banna).

In copertina e nell’incipit del volume gli occhi dei bambini di Gaza introducono la drammaticità della vicenda narrata. Un racconto che consta di quindici capitoli la cui brevità racchiude una sequela di orrori descritti con una fredda, corposa intensità di emozioni e sentimenti contrastanti.

 

“Voci bianche” dall’enclave palestinese

Protagonisti del reportage e voci narranti sono Mads Gilbert ed Erik Fosse, scienziati e professori di Medicina appartenenti all’Ong Norwac. I due, rimasti nell’enclave palestinese dal 31 dicembre 2008 all’11 gennaio 2009, hanno vissuto e affrontato il dramma dell’offensiva sferrata da Israele e condotta ininterrottamente con estrema violenza per ventidue giorni. All’obiettivo primario di fornire assistenza medica si è accostato quello di dare ai media occidentali notizia di quanto stesse accadendo nei territori di guerra.

Occhi dentro Gaza (Bianca e Volta edizioni, pp. 318, € 16,00) rappresenta dunque il racconto di chi si è trovato a far fronte alle atrocità del conflitto israelo-palestinese. I medici erano i soli presenti nella Striscia di Gaza durante l’offensiva. L’ospedale è la sede privilegiata di un resoconto agghiacciante delle fasi più acute del conflitto, luogo di sollievo ma anche di morte e disperazione.

A differenza di quanto diramato dai media mondiali circa la presenza di due soli testimoni sul territorio degli scontri, gli autori durante la narrazione pongono l’accento sul fatto che in realtà vi erano numerosi cronisti, soprattutto arabi e palestinesi (più scrupolosi e coscienti), ma che l’Occidente aveva bisogno di “voci bianche”, scevre da coinvolgimenti di sorta.

Dunque, non era vero che a Gaza non fossero presenti reporter. Semplicemente, ai giornalisti occidentali era precluso l’accesso a causa del blocco di Israele.

Significativi i messaggi testuali, riportati fedelmente nel volume, con cui i due medici cercavano di porre all’attenzione dell’Occidente quanto stesse accadendo, incorrendo nella censura delle linee telefoniche.

 

Testimonianze, immagini e suggestioni

La narrazione è scandita dalla quotidianità dei medici, la cui giornata procede secondo un ritmo frenetico, una corsa contro il tempo per salvare quante più vite possibile. Il lettore esce vinto dal racconto quando gli autori-protagonisti sono sopraffatti dalla pioggia delle bombe che non risparmia nessuno e dal volto della piccola Jumana, bimba di Gaza, che giace in un letto d’ospedale con una mano amputata.

Il passo della scrittura, lento e lineare, scandisce i massacri, le orrende mutilazioni, lo sgomento e lo shock dei sopravvissuti come ritmo ordinario. Sembra quasi di avvertire il frastuono, le grida, i comandi, di scorgere i poveri corpi umani dilaniati ovunque, sulle panche, nelle sale di emergenza, sulle barelle, dietro i separé. Il fragore delle bombe sganciate, il fuoco dell’artiglieria, il rumore dei cingoli dei carri armati, delle granate esplose riecheggiano, assordanti, sin dalle prime battute del volume.

La tensione che percorre il testo è costante, l’orrore non fa distinzione tra le vittime: donne incinte morenti, bambini orfani, anziani, giovani uomini. Nessun posto è sicuro a Gaza, anche i luoghi reputati meno insidiosi non garantiscono riparo dal fuoco nemico.

 

I mercati ortofrutticoli di Gaza

«Tell me why they hit the vegetable market». Significativo il passaggio in cui il testo musicale struggente di Lars Bremnes accompagna il racconto angoscioso di Mads Gilbert. Il medico non riesce a trattenere le lacrime che, copiose, gli solcano il viso quando dà sfogo al dramma che sino ad allora aveva tenuto dentro e che ora esplode incontenibile.

In tal senso, l’attenzione si sposta sui mercati di Gaza, luogo privilegiato per il massacro, data l’affluenza per le prime necessità. Interessanti, a questo proposito, gli spunti narrativi in cui l’autore evoca, in un crudo parallelismo, gli scenari di Beirut dell’82.

L’incredulità del narratore avvince il lettore: impossibile accettare che i carri armati delle Forze armate israeliane abbiano potuto sparare contro il cortile di una scuola perché frequentata dai “figli di Hamas”.

Una disperazione senza fine percorre il testo. Difficile non soffermarsi su un’immagine, presente all’interno del volume, che mostra le t-shirt realizzate da alcuni soldati israeliani e che recano le diciture Un proiettile due morti, Più piccoli, tanto peggio.

 

La censura delle immagini: una scelta editoriale opinabile

Di primo acchito, la veste grafica di Occhi dentro Gaza rimanda a un diario di viaggio, in cui le immagini, per quanto rappresentative, restituiscono la cronistoria fredda e distaccata di uno scenario di guerra. In realtà i contenuti dispensano immenso dolore e impotenza.

Opinabile, dunque, la scelta dell’editore italiano di omettere testimonianze cruente, fotografie di operazioni chirurgiche, amputazioni o bambini gravemente feriti. Più volte gli autori hanno ribadito il distacco della comunità mondiale rispetto al dramma del popolo palestinese. Dunque, quelle immagini, per quanto agghiaccianti, avrebbero restituito alle vittime dignità. La memoria, contrariamente a quanto asserito dall’editore, non sarebbe stata calpestata, ma al contrario rappresentata nella sua efferatezza. L’occhio atterrito e prostrato dei medici-reporter dietro l’obiettivo delle macchine fotografiche avrebbe dato consapevolezza ai lettori e all’opinione pubblica del dramma che si è consumato a Gaza. Le immagini dei corpi dilaniati avrebbero ferito come le granate che si sono abbattute sulle scuole di Gaza e scosso quell’umanità indolente e distaccata che oramai sembra aver fatto abitudine all’orrore.

Affinché non debbano più ripetersi, le aberrazioni dell’animo umano non devono essere taciute, in nessuna forma. Solo così la solidarietà può trasformarsi in speranza.

 

Elisabetta Ricci

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 51, novembre 2011)

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