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Anno I, n° 4 - Dicembre 2007
Il concetto di storicismo: una questione aperta
di Gaetanina Sicari Ruffo
Fukuyama, che teorizzò la fine della storia, è solo l’ultimo esponente
di una tematica dibattuta dall’800. Da Vico all’idea di progresso di oggi
Una riflessione sulla vexata quaestio dello storicismo oggi s’impone per capire se, come ha teorizzato lo storico Francis Fukuyama, autore del saggio La fine della storia e l'ultimo uomo (Rizzoli, pp. 430, € 9,50) siamo arrivati al termine del processo storico secolare o siamo a una sua svolta significativa. L’analisi del problema, però, non può prescindere dal richiamare in rapida sintesi cos’è stato il primo storicismo dell’Ottocento e il cosiddetto secondo storicismo del secolo appena trascorso.
Il termine fu usato per la prima volta dallo storico tedesco Karl Werner intorno alla metà dell’Ottocento per contrassegnare la filosofia di Giambattista Vico, espressa nella Scienza nuova. In seguito tale terminologia fu adoperata per designare una serie di dottrine tra loro variamente articolate (storia, economia, politica ed estetica) secondo tesi talvolta contrastanti. A partire dallo storicismo gnoseologico vichiano si giunse a quello metafisico, proprio del robusto idealismo di Hegel, per indicare una vasta filosofia della storia considerata nella sua assolutezza. Da qui, con il materialismo storico di Marx che considerava fondamento della storia leggi economiche non immutabili e dipendenti dalla mutazione della condizione umana, fu attuato il rovesciamento delle precedenti premesse. Lo storicismo tedesco si orientò in seguito sempre più in senso relativistico, accentuando ora la tendenza psicologica con Simmel, ora quella sociale con Dilthey, e negando con Splenger la razionalità al divenire storico secondo la teoria dei cicli che comportano fasi di decadenza. La svolta si ebbe infine all’inizio del Novecento con Troeltsch e Meinecke. Ernst Troeltsch, nel 1922, raccolse i vari saggi nel suo Der Historismus und seine Probleme [Lo storicismo e il suo problema] per tentare di conciliare l’assoluto della verità dell’antico idealismo con il relativismo della realtà storica. Un tentativo che si rivelò inefficace, in quanto sempre più le correnti di pensiero rinviavano a un’esigenza molto avvertita, che poi Max Weber mise in risalto, e cioè che era arrivato il tempo in cui l’uomo doveva fare a meno dell’assoluto per costruire una sua responsabilità etica, passando così dal teocentrismo all’antropocentrismo. Le tappe successive furono segnate da una molteplicità di studi e sviluppi della storiografia tedesca (Hintze, Jager, Ranke e Rusen) e dello storicismo di scuola italiana (Abbagnano, Chabod, Croce, Garin, Gentile e Paci ), attraverso tesi più o meno eterogenee. Ai nostri giorni, si è giunti così alla formulazione della necessità di un nuovo storicismo, la cui essenza, oggi, rappresenta lo sbocco di tanti studi filosofici e storiografici.
Il nuovo storicismo
Il secondo storicismo è il risultato di un processo bisecolare, fatto di affermazioni e negazioni, vittorie e sconfitte. È una filosofia antiontologica e antimetafisica che rifiuta la filosofia della storia e la creazione di una sua scienza. Segna la definitiva rottura dell’ordinamento cosmico di carattere classico e si pone fuori dal concetto di assoluto, dato che intende verificare in termini dialettici ogni aspetto della storia passata e presente. Il nuovo storicismo è problematico perché ha come principio critico operante una sintesi tra soggetto e oggetto, finito e infinito, fatto e norma, vita e scienza. Nasce dalla linea antiidealistica (Dilthey e Humboldt) e rifiuta le premesse della verità, della conoscenza e della perfezione dell’esistenza, per riflettere sulla tensione sempre costante tra essere e conoscenza, misurandosi di volta in volta «con una normatività regolativa che può essere quella dello Stato, del diritto o della storia universale». Nel primo caso si può parlare di storicismo politico che ha contraddistinto soprattutto la cultura tedesca, risolvendosi spesso nella ricostruzione dell’ideologia conservatrice e reazionaria, con particolare attenzione al nazismo (Jager e Rusen). In Italia, invece, sulla linea dello svolgimento di Vico della «civile ragione», il nuovo storicismo è stato spesso identificato come un’attività del pensiero capace d’intendere la dimensione concreta della realtà effettuale (Galasso e Piovani). Questa nuova ideologia non si fonda più sull’idea del progresso inarrestabile e sulla linearità dello sviluppo coerente, ma sulla dialettica irrisolvibile dell’individuale e dell’universale. La razionalità, che pure è a suo fondamento, non è considerata più astratta, ma concreta, legata all’azione degli individui e collegata con la scienza etica. Il nuovo storicismo è, quindi, in sintonia con la filosofia contemporanea che si rivolge al concreto mondo della vita e rifugge da ipotesi di scienze generali quali la sociologia, la metafisica, la filosofia della storia; accordandosi invece con le scienze particolari nell’intento di creare una nuova storia e una nuova politica. Con la sua affermazione vengono così a cadere alcune idee guida del primo storicismo, come il pragmatismo oggettivo; il naturalismo, visto come motore dell’evoluzione nel suo svolgimento e fondato su principi assoluti; l’idea illuministica di perfezione; l’idea scientista e positivistica. I termini della realtà sono posti così in una dialettica senza sintesi, attenti alla contingenza del reale, aventi come fondamento la responsabilità individuale. La storia, dunque, è la realtà dell’uomo che agisce nel presente, pur essendo esperto del passato e aperto al futuro, consapevole della dinamicità instabile della vita. Interessante è in tal senso lo studio puntuale di Fulvio Tessitore, La questione dello storicismo, oggi (Rubbettino, pp. 84, € 5,16), il quale ha modernizzato lo studio della storia, liberandolo dalla funzione classica di magistra vitae. Le sue linee portanti sono: l’individualità e il progresso.
Il concetto di individualità
Il massimo teorico ne è stato Friedrich Meinecke. Non si tratta solo di separazione e differenza dal generale, ma è esso stesso portatore del generale, dal momento che è l’insieme dei soggetti che operano in una realtà in continua trasformazione. Lo storicismo diviene, grazie al concetto di individualità, non principio astratto di scienza, ma di vita operante sulle forze motrici della storia, non finalizzato alle sue presunte cause finali. I termini della realtà si rapportano a una dialettica senza sintesi e fondano l’etica della responsabilità individuale, non in senso metafisico, ma generata dai movimenti della vita e dall’esperienza. Il senso del nuovo storicismo è rivoluzionario. Delio Cantimori, sostenitore della filosofia ideologico-politica, l’ha definito «scandaloso», anche per il metodo a cui ricorre: epocale e non categoriale.
L’idea di progresso
È intimamente connessa a quella di individualità. Per sua natura l’uomo è portato non a vivere solo nel presente o nel passato, ma a tendersi verso il futuro, prospettandolo e talvolta programmandolo, senza affidarsi più alla provvidenza, ma alla responsabilità etica collegata all’esperienza di vita. La storicità diviene, dunque, l’orizzonte di comprensione del mondo umano, la logica del concreto fare, non perfetto ma perfettibile. Progresso, quindi, significa non solo comprensione e analisi dei fatti ma, soprattutto, formazione e preparazione di nuova vita, «dinamico rispetto alle concezioni che lo vedevano raggiungibile e fissabile in perfetta beatitudine, solo perché in esso tutto trapassa e tutto si conserva».
Gaetanina Sicari Ruffo
(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)