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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Archimede, un giovane autista,
ignaro e ingenuo protagonista
di un thriller dai tratti originali
di Mirko Scilla
Da Eclissi editrice un inedito d’autore
lontano dagli usuali schemi letterari
Giugno 1979, Roma. Andrew Eberly, un agente della Cia di stanza presso l’ambasciata americana di Roma, si sente in pericolo di essere scoperto: egli è infatti un doppiogiochista che vende informazioni ai sovietici. Per difendersi costruisce una falsa pista deviando i sospetti su Archimede, giovane e ingenuo autista italiano in servizio presso la stessa ambasciata. Lo manda in ferie in Costa Azzurra, gli butta fra le braccia donne da fiaba, gli fa vincere in un casinò truccato una fortuna… L’esistenza del giovane originario di Castrovillari, un tempo piatta e monotona, si accende sotto gli occhi stupefatti della squadra di agenti segreti che gli sta alle calcagna, e per mano dei quali si troverà inconsapevolmente ad un passo dalla morte.
Non è purtroppo tutto oro ciò che luccica, o meglio, mai giudicare un libro dalla copertina (in questo caso, dal titolo), che al redattore ha fatto venire in mente un novello Casino Royale. La trama del noir nostrano Archimede. Un destino inventato (Eclissi editrice, pp. 180, € 12,00), primo romanzo dell’autore teatrale Guido Nahum, si rivela essere più vicina al romanzo propriamente detto che al thriller.
Struttura e classificazione del romanzo
Apparentemente l’intreccio potrebbe sembrare ispirato ad un romanzo di Ian Fleming, dove i colpi di scena, lo spionaggio, le femmes fatales e i diabolici strumenti di James Bond la fanno da padrone, ma non è così. Dopo le prime pagine ci si dimentica di leggere un noir: la storia prenderà man mano quasi la forma di un romanzo rosa, mieloso e a tratti strappalacrime. Solo la presenza del deus ex machina Andrew (a dir la verità una trovata originale e intelligente), che farà capolino ogni tanto nel romanzo a tirare le fila della storia, ci ricorderà che siamo pur sempre di fronte ad un thriller seppur ampiamente fuori dagli schemi classici del genere.
Descrittivo al punto giusto, però, tanto da non appesantire mai il discorso, rendendo la lettura fluida e senza troppi trip mentali nel ricostruire le macchinazioni doppiogiochiste di Andrew. Insomma, nonostante la debolezza strutturale intrinseca, tiene sveglio il lettore con una storia non troppo impegnativa, tutto sommato gradevole e, seppur non troppo originale, credibile. Lascia un po’ l’amaro in bocca, Archimede: giallo, noir, thriller rosa, spionaggio mondano… Un po’ di tutto. È un buon ibrido, difficile da catalogare secondo un genere preciso.
L’autore e l’influenza teatrale
Più sceneggiatore che scrittore, negli ultimi trent’anni Guido Nahum ha scritto per il teatro e con questo romanzo sperimenta un nuovo genere. Stile narrativo acerbo, a tratti un po’ imitativo nei confronti di altri scrittori di genere e giallisti. Inevitabilmente, risalta l’imprinting teatrale dell’autore: a tratti, infatti, sembra di leggere le cartelle di una sceneggiatura. Compaiono all’improvviso elementi o scene di contorno rispetto a ciò che si sta narrando, e che purtroppo non aiutano molto la trama a sollevarsi dal “già visto, già sentito, già letto”. Gli unici “colpi di scena” compaiono di tanto in tanto nelle micro-storie che si diramano nel racconto principale. Ogni capitolo si apre con un titolo, in puro stile Kill Bill. In effetti, sembra che da un momento all’altro debba saltar fuori Quentin Tarantino ad esclamare: «Ehi, tu, sì tu Guido, ti voglio come sceneggiatore nel mio prossimo film! Però cambiamo un po’ questa storia che mi sembra quasi peggio di Jackie Brown…». Volendo azzardare, la storia presta il fianco anche un po’ al concetto fondamentale che permea Matrix: un uomo pensa di essere artefice del proprio destino, addirittura di essere artefice del destino di altri, mentre in realtà è semplicemente una pedina, una marionetta nelle mani di qualcuno le cui decisioni possono portarlo tanto ad una vita fatta di lusso, denaro e donne da sogno quanto alla morte. Protagonista inconsapevole di un destino che non gli appartiene, Archimede viaggia su binari costruiti a tavolino da altri o dal caso, allontanandosi sempre più dalla sua vera vita.
Quantomeno strana, inoltre, la decisione dell’autore di stabilire le origini di Archimede a Castrovillari. Tanto di cappello per la ridente cittadina calabrese, ma poco si addice a dare i natali ad un personaggio che sarà al centro di un intrigo internazionale. Ci si aspetta, piuttosto, di avere a che fare con un personaggio sì normale, tipico bravo ragazzo di provincia in cerca di fortuna nella grande metropoli, ma non del ragazzotto di Calabria dal nome improponibile che finisce per essere la malcapitata pedina di un doppiogiochista senza scrupoli. Ci si aspetta, ancora, come ogni buon thriller che si rispetti, che tutto sia oscuro e dai tratti indefiniti. Da questo punto di vista, risulta invece riuscitissimo il personaggio di Andrew, di cui non sappiamo praticamente quasi nulla. Al contrario di Archimede, del quale si sa anche troppo, tanto da apparire scontato e noioso come personaggio.
Il libro si apre con una frase dell’autore: «La vita non è una fiaba, chi dice il contrario non sa (forse) quel che dice». Sicuramente. Ma un semplice romanzo non può aspirare a definirsi un noir.
Mirko Scilla
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)