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Anno V, n. 49, settembre 2011
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Alba Terranova) . Anno V, n. 49, settembre 2011

Zoom immagine Il federalismo
anti solidale
del Nord Italia

di Sonia Miceli
Da Città del sole un saggio
per riflettere su una legge che
aumenta il divario nel paese


Dubbi e incertezze circa il valore salvifico del federalismo fiscale, «“venduto” ormai come strumento multiforme tale da poter insieme ridare slancio al Paese, efficienza all’azione pubblica e competitività al sistema economico sia al Nord quanto al Sud». Così Demetrio Naccari Carlizzi esordisce nel suo saggio Il federalismo indeterminato: diritti nazionali o diritti geografici? (Città del sole edizioni, pp. 134, € 14,00). L’autore, che in qualità di avvocato ha svolto attività di ricerca presso le università di Reggio Calabria, Cosenza e Messina ed ha perfezionato i suoi studi all’estero, affronta e studia cosa può diventare il federalismo fiscale, frutto della legge delega. Parte dalla rilettura di Richard Musgrave e Ronald Coase, sottolineando come questo federalismo rischi di diventare qualcosa di vuoto e indeterminato a causa della mancanza – allo stato attuale – di dati economici e finanziari, che non possono essere trascurati alla luce di un divario tra Nord e Sud sempre più crescente sul piano economico. Carlizzi ci mostra il pericolo di un federalismo non orientato costituzionalmente, vicino ad un modello competitivo che avvilisce i diritti sociali e civili, rendendoli variabili e territoriali, ed in cui il principio di uguaglianza è determinato solamente dalla ricchezza del territorio nel quale si abita.

 

Una legge delega “indeterminata” sul federalismo

Per scandagliare meglio la causa di tale indeterminatezza in tema di federalismo, è necessario prendere in considerazione il lavoro che il Parlamento italiano ha svolto in materia. Il 5 maggio 2009 è stata approvata la legge in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Tutto ciò deriva da un tentativo di riforma del titolo V della Costituzione (legge sulla “Devolution” che introduceva il termine “Federalismo” nell’ottobre del 2001). Quest’ultima modificava il decentramento fissato con la nascita delle regioni, puntando ad una loro maggiore autonomia e contenendo al contempo la spinta verso disuguaglianze insostenibili. La nascita di forze che mirano apertamente ad un progetto di secessione per le aree del Nord e l’assenza di una legge che misura parametri dispositivi a riguardo, hanno portato all’approvazione di una legge delega sul federalismo fiscale, strutturandolo come competitivo, localistico e anticostituzionale. La legge 42 prevede che il Governo emani uno o più decreti al fine di assicurare l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni, mettendo così da parte il criterio della spesa storica per il finanziamento delle funzioni delle regioni e degli enti locali. La sostituzione di tale criterio, mette in campo un sistema incentrato sui costi standard per le funzioni definite come essenziali e sulla perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni. Ed è proprio nella perequazione che l’autore smaschera il parametro dell’indeterminatezza, a proposito del quale l’articolo 9 lett. b afferma: «ridurre adeguatamente le differenze tra i territori a diversa capacità fiscale e per abitante senza alterarne l’ordine […] dove risulta arbitraria – prosegue Carlizzi – e in contrasto con le norme della Costituzione, la previsione di una diversità di finanziamento tra le diverse funzioni, essenziali e non essenziali, ed astratto e senza il presidio di un criterio direttivo che abbia l’obiettivo di ridurre adeguatamente le differenze». Il testo della legge in questione presenta molte lacune poiché è manchevole di parametri per la definizione e l’individuazione di un percorso attuativo per un regionalismo differenziato secondo l’ex articolo 116 III comma della Costituzione. Nella delega, dunque, i principi non sono altro che semplici luoghi comuni di derivazione sociologica e politologica. «Da ultimo è da sottolineare – afferma Carlizzi – l’indisponibilità di dati finanziari ed economici o in ogni caso la decisione del Governo di non condividerli», e come ciò possa apparire emblematico lì dove i dati occorrono necessariamente con «un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili e di un sistema appropriato sui dati territoriali». Vi è quindi un velo di ignoranza sul futuro e sulle conseguenze delle nuove regole e dei nuovi criteri. L’impianto legislativo non tiene conto della situazione del paese che vede storicamente un forte dualismo economico ed amministrativo.

 

La legge 42 ha veramente letto Richard Musgrave e Ronald Coase?

Il federalismo italiano tipicamente localistico si è mosso con lo scopo di sostituire i criteri della spesa storica per il finanziamento di ogni regione. Propenso a mettere in atto il principio di equivalenza fiscale con la perequazione di risorse, il federalismo localistico agisce con l’intento di abolire la diseguaglianza nei residui fiscali tra regioni del Centro-Nord che “pagano” e regioni del Sud che “prendono”. Ma per fare ciò, si dovrebbe postulare anche l’uguaglianza di reddito degli stessi, e ciò non è possibile allo stato attuale delle cose. Dunque un principio di territorialità totale delle imposte erariali comporterebbe un federalismo fiscale distorsivo, in cui le regioni del Nord si approprierebbero di tutte le risorse dello Stato. Si verrebbe ad intaccare il criterio di uguaglianza, in quanto il divario economico tra settentrione e meridione andrebbe solamente a crescere e a tradursi in standard di servizi diversi. Al dualismo economico si è aggiunto nel tempo anche il dualismo amministrativo, a causa di una burocrazia, nel Mezzogiorno, inadeguata e inefficiente. Tali regioni, prima di vedersi attribuire ulteriori funzioni che produrrebbero solo maggiori inefficienze, avrebbero bisogno di interventi mirati e capillari. «Una perequazione di risorse, inadeguata ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, rischia di far degradare tali diritti a diritti geografici azionabili in determinate aree del Paese» scrive Carlizzi. Per spiegare l’inadeguatezza della legge, l’autore approfondisce il tema attraverso l’opera di due importanti studiosi in materia economica: Richard Musgrave e Ronald Coase, premio Nobel per l’Economia nel 1991. Nel 1961, Richard Musgrave, riguardo la portata del principio di equivalenza fiscale, in base al quale vi deve essere una perfetta corrispondenza tra giurisdizione economica e giurisdizione politica, fu ben chiaro quando si pronunciò a proposito di un federalismo fiscale in Italia in un suo scritto: «…Sarebbe bello, in conclusione, prescrivere la struttura fiscale ottimale in questo contesto spaziale [l’Italia, Nda]. Sfortunatamente questo non può essere fatto. Mentre ci sono principi di efficienza ed equità da considerare, contesti storici e politici entrano ed esercitano un’influenza decisiva. Il grado di vicinanza, in cui ogni giurisdizione è pronta ad entrare, è soltanto parzialmente e forse solo in minima parte una questione di economia!». Le parole di Richard Musgrave ci fanno capire che strumenti solo economici non riescono a risolvere i problemi di funzionamento della società, delle istituzioni e dei servizi pubblici. Ronald Coase, invece spiegò l’importanza delle esternalità e dei costi di transazione nel funzionamento dell’Economia. L’Italia è un paese duale non solo sul piano della ricchezza ma anche sul piano dell’efficienza burocratica e giudiziaria, pervasa dalle pressioni della criminalità organizzata nel Sud. É importante dunque prendere in considerazione le esternalità negative del Mezzogiorno. «L’idea di fondo della Commissione e del Censis – commenta l’autore – è che, dove prevalgono le mafie, viene meno la libertà di mercato, si indeboliscono coloro che sono capaci di fare economia e si crea un implicito monopolio della criminalità, cui lavoro ed impresa finiscono per soggiacere. Il rischio individuato nella fase storica è che lo stesso federalismo fiscale si trasformerebbe in un autentico boomerang se non trovasse nel Sud istituzioni trasparenti e capaci». Nel Mezzogiorno dunque, criminalità e corruzione si ripercuotono sull’efficienza del sistema economico e sullo sviluppo sociale e, senza un intervento volto a ridurre tali dislivelli, è probabile che il cammino di efficienza richiesto alle regioni del Mezzogiorno si riveli molto più difficile, perché i costi di transazione sono troppo onerosi e il sistema non può trovare funzionalità ed equilibrio. «Parafrasando il teorema di Coase (Ronald Coase, 1991) e applicandolo al Mezzogiorno, il sistema economico del Sud italiano in presenza di tre esternalità negative, espressione di una debolezza dello Stato (istruzione, giustizia, sicurezza e altre funzioni inefficienti e inadeguate), non può realizzare un’allocazione efficiente, anche in presenza di una riforma astrattamente utile, se i costi di transazione sociale ed economica sono elevati e le regole del nuovo sistema federale diventano disgreganti». Così un maggiore decentramento, dovuto al federalismo, accrescerebbe solamente il potere delle lobby criminali nelle scelte politiche.

 

Conclusioni dell’analisi economica della legge 42

La mancanza di un’analisi economica condivisa ed una valutazione ex ante delle norme alla base della legge, è un problema culturale da affrontare. In presenza di un dislivello economico così marcato tra Nord e Sud, «l’articolo 17 della legge 42 suona quasi come una beffa – commenta Demetrio Naccari Carlizzi – secondo cui i decreti attuativi dovrebbero introdurre un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità, in quanto non si considerano le posizioni di partenza e si mira a fotografare la situazione esistente e a dare un premio al passato». Gli unici espedienti che la legge utilizza, nella sua applicazione, sono i concetti di costi e fabbisogno standard solo in riferimento al coordinamento della finanza pubblica, per i saldi finanziari da rispettare, le modalità di ricorso al debito e l’obiettivo della pressione fiscale complessiva. Il concetto di costo standard ha dei limiti, nel momento in cui non fissa dei criteri di spesa per le funzioni essenziali di assistenza ed istruzione, generalizzando la funzione di costo, ovvero una valutazione su parametri di esercizio o di efficienza ed efficacia del sistema che non tiene conto delle differenze territoriali, sociali ed ambientali. Carlizzi, con dati e statistiche alla mano, ci mostra come la legge 42 impatti sul bilancio delle regioni, in cui il passaggio dal sistema dei trasferimenti vincolati, ricevuti dalle regioni per Sanità, assistenza e trasferimenti dall’Unione europea, a quello previsto dalla legge sul federalismo fiscale, sarebbe penalizzante per quelle regioni con basso livello di reddito pro capite. Perderebbe molto, in questo caso, il Sud, (con Campania, Calabria e Basilicata in testa, ad esclusione dell’Abruzzo), mentre guadagnerebbe tanto il Nord (ad esclusione della Liguria). Finora, i trasferimenti hanno svolto un ruolo di redistribuzione territoriale delle risorse verso quelle regioni a più basso reddito, con lo scopo di ridurre i gettiti tributari e tenere sotto controllo un divario economico così marcato. La legge 42, con la perequazione incompleta della capacità fiscale, promuove esattamente il contrario: il criterio applicato prevede una redistribuzione al contrario delle risorse, a danno delle aree più deboli e con una perdita di risorse davvero ingente che non farebbe altro che frenare quei processi di sviluppo di cui avrebbero bisogno. Carlizzi, ad un federalismo competitivo, la cui idea madre è che le regioni predominanti avranno più risorse di quelle necessarie per assolvere le funzioni, mentre quelle deboli non potranno nemmeno garantire i servizi attuali e trattamenti equivalenti, vuole proporre un federalismo costituzionale, in cui il governo tuteli l’unità economica e i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale attraverso una perequazione adeguata, intervenendo per ridurre i costi sociali (esternalità negative) e per aumentare i beni pubblici essenziali. In questo modo le regioni predominanti e le regioni deboli troverebbero un equilibrio, che l’autore definisce come “equilibrio dello Sviluppo”, in cui i principi di riferimento saranno: “il teorema normativo” di Coase, il principio di uguaglianza sostanziale e orizzontale, il principio di sovranità dello Stato e dell’ordinamento giuridico. In parole povere «occorre dare un valore alle cose – conclude Carlizzi – puntando ad un federalismo che si strutturi su riforme vere e non su ambiguità e valutazioni sociologiche determinando gli aggettivi e i connotati ancora incerti e contraddittori del federalismo italiano».

 

Sonia Miceli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

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