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Anno V, n. 49, settembre 2011
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Problemi e riflessioni (a cura di Giovanna Russo) . Anno V, n. 49, settembre 2011

Zoom immagine Disagio e tolleranza
raccontati da vicino

di Antonietta Zaccaro
Da Prospettiva edizioni un saggio sulle rivolte
degli immigrati di Sant’Antimo e Rosarno


L’accoglienza nei confronti del diverso, di chi non ha lo stesso colore della nostra pelle, di chi parla un’altra lingua e proviene da un paese con cultura e religione diametralmente opposte alle nostre è un tema che, mai come in questo periodo, con le rivolte che hanno interessato la fascia mediterranea del continente africano e con i conseguenti sbarchi di profughi sulle coste italiane e sulla piccola isola di Lampedusa, animano la vita politica, e non solo, del nostro paese. Si vedono contrapposte le idee politiche di una fazione che vuole distinguere, secondo un criterio ancora non ben precisato, tra “profughi” e “clandestini”, dimenticando che queste persone fuggono da guerre, genocidi e povertà e arrivano via mare sulle nostre coste su barconi fatiscenti, viaggiando per giorni e giorni senza acqua né cibo solo con la volontà di scappare delle loro paure. Ma, alle volte, sono gli stessi extracomunitari a urlare il loro “no” nei confronti delle condizioni barbare alle quali sono costretti a sottostare per poter vivere e lavorare in Italia. È quello che è successo a Sant’Antimo, un paese della periferia nord di Napoli nell’ottobre 2009, ed è quello che è accaduto a Rosarno, paese nella provincia di Reggio Calabria, nel gennaio 2010. Di queste rivolte, raccontate dalla parte degli immigrati, si occupa il saggio di Gianluca Petruzzo, attivista antirazzista, Sant’Antimo, Rosarno… nessuno è straniero (Prospettiva edizioni, pp. 128, € 15,00), parlando in prima persona; perché lui quelle rivolte le ha vissute in prima linea dalla parte dei più deboli.

 

Dove tutto ebbe inizio: Sant’Antimo

La piccola cittadina di Sant’Antimo, a cavallo tra la provincia di Napoli e Caserta conta, già dal 1991, una forte presenza di cittadini extracomunitari, per lo più provenienti da India, Pakistan e Bangladesh, ai quali, durante il corso degli anni, si sono aggiunti cittadini provenienti dall’Africa subsahariana. Possiamo dire che un cittadino su due è extracomunitario. Le industrie tessili ed agricole del territorio occupano queste persone all’interno dei loro stabilimenti alle volte, o quasi sempre, in nero e retribuendoli con salari minimi, facendogli svolgere le mansioni più umili, quelle, come si sente dire spesso, che «gli italiani non vogliono più fare». La comunità di immigrati occupa, all’interno del paese, il suo ghetto in via Sambuci, all’interno di palazzi assegnati dall’amministrazione comunale, ma mai inaugurati e quindi mai dichiarati agibili. Di loro, delle loro condizioni sanitarie e igieniche si occupa la Caritas del comune e l’Associazione “3 febbraio”, nata in occasione della massiccia manifestazione di extracomunitari svoltasi proprio in questo giorno, nel 1996. Il comune è assente, lo stato non esiste. Anzi, la causa scatenante della rivolta è stata proprio la delibera dell’amministrazione comunale che intendeva imporre lo sgombero dei caseggiati di via Sambuci dichiarati inagibili e fatiscenti, non proponendo nessuna nuova sistemazione alle quaranta famiglie che abitavano gli stabili. Fu così che gli immigrati diedero inizio alle assemblee, sfociate nel corteo del 12 ottobre 2009, giunto fin sotto al comune di Sant’Antimo: «al di là della retorica democratica, in particolare per ciò che riguarda gli immigrati, sappiamo bene che non c’è giustizia, per questo bisogna autodifendersi e cioè organizzarsi». La manifestazione, però, non sortì gli effetti sperati: i politici parlano, promettono, ma non mantengono, niente viene fatto per gli abitanti di via Sambuci; ma ciò che ha sorpreso è stata la partecipazione popolare, proprio dei cittadini “comunitari”, che accanto ai loro fratelli di pelle nera, hanno lottato per la causa comune della dignità umana; è questo che rincuora e fa andare avanti: l’idea di non essere da soli a lottare contro i mulini a vento, che, alle volte, possono essere anche vinti. Lo sgombero però ebbe seguito, venne staccata la luce, poi l’acqua: «l’episodio fa riflettere e ci spiega come attecchisce il razzismo democratico, direttamente sostenuto e promosso dalle istituzioni. La prima azione violenta del sindaco ha voluto indicare la strada: gli immigrati devono andarsene». Non restò che dare un segno forte e tangibile delle condizioni di vita a loro imposte dall’amministrazione pubblica prendendo i materassi e accampandosi davanti al santuario di Sant’Antimo: è la notte del 14 ottobre. Fu allora che la rivolta degli immigrati di questo piccolo paese del napoletano acquisì risonanza nazionale, richiamando giornalisti di tutta Italia arrivati per raccontare al mondo la storia di un piccolo gruppo di persone che ha avuto il coraggio di dire “no”. Gli immigrati di via Sambuci non si fermano, si rivolgono al prefetto di Napoli, che intima al sindaco di provvedere alla messa in sicurezza degli stabili; ma di tutta risposta, il primo cittadino applica alla lettera il decreto sicurezza Maroni, intimando l’espulsione di alcuni immigrati. La lotta contro la classe politica non è semplice, specialmente nei territori napoletani dove la criminalità organizzata detta legge. Il 14 febbraio 2010 si svolge una iniziativa promossa dagli immigrati “un giorno insieme… a casa nostra nessuno è straniero e tutti saranno accolti”, manifestazione scaturita da gravi attentati antirazzisti di cui, qualche giorno prima, erano stati vittima i manifestanti. Gli immigrati usano la carta della loro cultura millenaria, offrendo un pranzo tipico delle loro terre agli abitanti santantimesi: la partecipazione è massiccia. Qualche giorno dopo, grazie all’intercessione della parrocchia e della solidarietà di altri immigrati, gli sgomberati di via Sambuci trovano una sistemazione dignitosa, «il sindaco rifiuta qualsiasi coinvolgimento del comune per una soluzione del problema e si prende gioco degli immigrati dichiarando pubblicamente che al massimo può sottoscrivere il suo stipendio. In realtà dal comune non arriverà mai un euro». Il 16 marzo 2010 è un giorno da ricordare per gli sgomberati di Sant’Antimo, ma anche per tutta la popolazione italiana: gli immigrati salgono in cattedra! Siamo all’Università Federico II di Napoli, il professore Pasquale De Sena, docente di Diritto internazionale e di tutela internazionale dei diritti dell’uomo, invita una delegazione di immigrati a tenere una lezione sulla tutela dei diritti umani. L’aula è gremita, gli studenti devono sforzarsi per comprendere lo stentato italiano dei loro docenti per un giorno, la lezione ha il sapore di una vittoria… di una vittoria contro i mulini a vento.

 

Rosarno: la rivolta dei raccoglitori di arance

Sulla scia delle rivolte di Sant’Antimo, gli immigrati giunti a Rosarno per la raccolta delle arance, decidono di opporsi alle barbare condizioni di lavoro cui sono costretti a sottostare. La rivolta fa tremare le alte cariche dello stato, giornali e telegiornali mettono in prima pagina la rivolta pacifica degli extracomunitari, come se fosse una cosa mai accaduta, come se non si conoscessero le condizioni disumane dei lavoratori stagionali, come se tutto fosse comparso all’improvviso davanti agli occhi di giornalisti e politici. «La gente di Rosarno aveva continuato a consolarsi con la litania del “non sono razzista, però…”, le amministrazioni locali avevano portato avanti programmi ipocriti di inserimento e tutela del lavoro e chi doveva controllare ha continuato a farlo a modo suo. Con mazzette, tangenti e intimidazioni hanno messo tutto a tacere». Finché il 7 gennaio 2010 gli immigrati hanno deciso di insorgere, stanchi dei continui attacchi razzisti da parte della popolazione di Rosarno e della criminalità organizzata. La loro rivolta è stata meno pacifica di quella di Sant’Antimo, tanto da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. In seguito al tumulto è stata istituita in occasione del 1° marzo 2010, la giornata dello «sciopero migrante», una giornata senza extracomunitari a lavoro “per il benessere” degli italiani. In questa occasione «in nome dell’utilità degli immigrati alla tenuta della società italiana, si troveranno d’accordo Confindustria, intellettuale engagé e purtroppo tutta la sinistra, oltre alla destra di Fini».In Italia, in barba alla xenofobia e al razzismo imperante, si dovrebbe fare un passo indietro e far sì, iniziando dai bambini, che si generi la consapevolezza che il “diverso” è uguale a noi, nonostante il colore della pelle; e che la parola d’ordine è accogliere, non espellere. Vivendo in armonia e con una buona politica di accoglienza e integrazione, gli immigrati per la nostra terra possono essere una risorsa, non un cancro da estirpare.

 

Antonietta Zaccaro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

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