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Home Page (a cura di Cecilia Rutigliano) . Anno V, n. 49, settembre 2011

Zoom immagine Un’analisi storica del terrorismo:
i rapporti tra Islam e Occidente

di Rosario Priore
Un denso saggio di Antonella Colonna Vilasi, edito da Città del sole,
prefato da Vittorfranco Pisano. Lo ha “letto” per noi Angela Galloro


Da qualche giorno è in distribuzione Islam tra pace e guerra, pubblicato da Città del sole (pp. 240, € 12,00). L’autrice del saggio, Antonella Colonna Vilasi, è un’esperta – tra le altre cose – del tema del terrorismo e in questo interessante libro analizza i principi della civiltà islamica e delle sue degenerazioni integraliste. Ad avvalorare l’opera, due importanti apparati critici: l’Introduzione del magistrato Rosario Priore e la Prefazione del professor Vittorfranco Pisano. La redazione propone di seguito il prestigioso testo dell’Introduzione, nonché – a seguire – una “lettura” del saggio a firma di Angela Galloro, che con la sua recensione ci aiuta a percorrere il volume e i suoi tratti salienti.

 

La redazione

 

Introduzione

Questo libro, complesso e ricchissimo di conoscenze e perciò di dati e di informazioni, non può – né vuole – sin dalle pagine dell’introduzione contrastare od eludere i canoni d’interpretazione degli odierni conflitti sul pianeta. Canoni che pongono l’esistenza di civilizzazioni diverse, o anche Stati con interessi contrastanti, destinati dalle loro linee di evoluzione a collidere. Questi canoni hanno sempre retto gli studi storici. Solo negli ultimi tempi li si rigetta in nome di ideologie “bonarie” e di prassi di intempestivi embrassons-nous, e si tenta – forse ipocritamente – di cancellarli, ma essi riemergono puntualmente e rapidamente.

Un conflitto, epocale, di quelli tra Stati, per ragioni puramente economiche e politiche, è quello che già si delinea tra Stati Uniti e Cina, che in molti ovviamente non vorrebbero per sincero amore di pace, ma che appare sempre più ineluttabile. Ineluttabile a breve, perché i più qualificati analisti lo pongono tra la fine del secondo decennio e gli ultimi trenta di questo secolo. Altro conflitto, anch’esso epocale e planetario, tra diverse civilizzazioni, essenzialmente religioso (almeno nelle menti degli attaccanti) è quello che si sta combattendo in tutti i continenti. Ovvero quello innescato dal jihad islamico.

Esistono concezioni “bonarie”, lo si ripete, che non vedono conflitti, guerre, distruzioni e morti. Sono date da coloro che si spacciano per moderati e chiamano guerrafondai quei pochi che non aderiscono alle loro idee. Traducendo jihad con il termine semplificatorio, e assolutorio, di sforzo, fisico o morale, ma mai di guerra santa. Parlano di moderatismo in ambiti che non hanno mai conosciuto moderazione, comprensione per idee e diritti altrui, ovvero l’essenza e la forma della democrazia, quale s’intende e si pratica in Occidente, e come dovrebbe estendersi ai quattro angoli del globo. I “moderatisti”, che non si accorgono di queste realtà, agiscono per ipocrisia, per paura o persino per collusione più o meno palliata con i predicatori del jihad.

Conferme di questo genere si sono avute, anzi le abbiamo conosciute sin dagli anni Sessanta. Da quando cioè la Resistenza araba, musulmana, palestinese non è sbarcata sul nostro Continente per portarvi la lotta armata contro l’Occidente, Israele, le discendenze ebraiche e tutti coloro – i veri “moderati”, gli Stati arabi moderati in primo luogo – che non portano la dovuta guerra, una vera e propria guerra santa a coloro che appoggiano i grandi Satana. E dal momento che non si può occupare l’Europa senza attaccare i suoi ventri molli, ecco dapprima gli sbarchi, le teste di ponte e poi la diffusione nelle aree strategiche, cioè le tre penisole nel Mediterraneo: Italia, Grecia e Spagna. E tutto ciò per decenni, grazie a lodi palesi o nascoste, frutto di politiche deboli o di forte sostegno a queste cause del mondo islamico.

Invocando nelle vulgate le colpe dell’Occidente, la depauperazione delle materie prime, l’integralismo culturale. «Analisi popolari – afferma giustamente l’Autrice – ma scientificamente prive di verifica concreta». I paesi che hanno generato il terrorismo islamico sono i paesi più ricchi di materie prime. «Il Paese in cui più si è radicato il terrorismo islamico in tutte le sue patologie, provocando più di centomila morti, l’Algeria, non soffre di alcuna costrizione nazionale, è straordinariamente ricca di materie prime, è assolutamente estranea alla sfera di influenza americana, non ha o non ha mai avuto a che fare con Israele».

In quest’opera, che sembra avere l’aspetto di un enchiridion – ma che, invece, è un trattato completo sulle organizzazioni terroristiche arabe ed islamiche – seguono i capitoli dedicati al fondamentalismo e all’integralismo islamico con riferimento ai Fratelli Musulmani, al sunnismo, allo sciismo, al Wahhabismo, ai talebani e al Califfato islamico, con chiare indicazioni di relative ideologie e prassi.

E quindi le parti da cui non si può prescindere – se si vuol comprendere il fenomeno – dedicate al conflitto tra Arabi ed Ebrei dal ’20 alla nascita dell’OLP, all’OLP a Fatah. E poi Hamas con l’elenco dei suoi attentati, Hezbollah, jihad con i suoi suicidi e martiri. Infine Al Qaeda, la Base con la sua organizzazione, la sua politica, le aree di azione, gli attentati rivendicati, e per finire questa parte, l’11 settembre 2001. Di seguito le biografie dei suoi principali esponenti: Osama Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, Abu Musab al-Zarqawi e l’elencazione, precisa e dettagliata, delle organizzazioni collegate ed operanti ai quattro angoli della Terra.

Le considerazioni su Al Qaeda sono naturalmente di grande valore, e dense di alti concetti; per questo appaiono difficilmente riassumibili. Devono esser lette e meditate. Degno di esser riportato integralmente è il paragrafo finale che significativamente viene intitolato La strategia finale.

Così letteralmente: «Il terrorismo islamico, anche nella sua componente palestinese, è frutto di una visione del mondo in cui la morte assume un valore finalistico totalizzante ed assoluto. In cui la morte è angelicata perché fonte di conoscenza, in senso antico come gnosis, e quindi di perfezione, moltiplicandosi nell’Eden, soprattutto trascina con sé gli empi, apostati, Ebrei, Americani e Cristiani. Nella sua ingenuità Whala, la ragazza palestinese di un talk show mandato in onda dalla televisione dell’ANP il 9 giugno 2002, riassume questi concetti e dà loro forza in una sorta di messianesimo infantile con il mito ben presente dell’eterna giovinezza, allorché pronuncia “noi vogliamo restare ragazzi per sempre!”. Per questo Whala si associa con entusiasmo alla celebrazione della strage della martire-assassina Ayyat al-Akras che ha ridotto a pezzi una giovane adolescente ebrea di diciassette anni, Rachel Levy, e una guardia privata per mantenere in eterno la sua purezza di ragazza.

Nell’ideologia del martirio – continua l’Autrice – è totale e assoluta l’identificazione tra purezza paradisiaca e morte violenta, con assassinio di civili innocenti, di vecchi, di minori, di donne inermi. Raramente in passato la centralità della morte e dell’uccisione di esseri umani è stata così forte e ha raggiunto tanti consensi. Nelle parole degli imam palestinesi invece, la morte “propria” e la morte “altrui” sono spesso obiettivo, fine agognato del fedele, anche del giovane fedele e del bambino.

È sicuramente un Islam minoritario, ma dai consensi rapidamente crescenti e radicato ovunque. Non solo in Europa, ma anche in Italia».

Discutendone, o continuando a discutere di questo terrorismo islamico, bisogna ricordare lo scritto di Benny Morris, recentemente apparso sul Corriere della Sera, nel quale l’autore meditando sul prossimo voto in Sudan, asserisce:

«Dobbiamo tenere d’occhio il Sudan, che sarà il prossimo teatro di guerra nello scontro di civiltà tra l’Occidente e l’Oriente… Dimentichiamo Osama Bin Laden, dimentichiamo il muro tra Gaza e Israele, dimentichiamo – per un istante – gli attentatori pazzi all’opera in Iran. E concentriamoci sul Sudan… A giudicare dal comportamento della classe dirigente nell’ultimo mezzo secolo e, più di recente, dalle dichiarazioni del presidente Omar al-Bashir verso i suoi concittadini musulmani – ma neri – del Darfur, nel Sudan occidentale, la reazione del nord sarà la peggiore immaginabile. Il sud possiede i giacimenti petroliferi, la più preziosa risorsa naturale del Sudan, e il nord non è disposto a rinunciarvi alla leggera, proprio come con grande difficoltà è stato costretto a fare a meno della sua tradizionale riserva di schiavi provenienti dalle regioni meridionali… A giudicare dal passato, scorreranno fiumi di sangue prima che il Sudan meridionale possa diventare un libero Stato, se mai lo sarà. Certo, il mondo arabo e musulmano, come da copione, a prescindere da qualunque considerazione di ordine morale, appoggerà sempre e comunque le decisioni di Bashir.

Nei paesi che fanno da ponte tra l’Occidente (di retaggio greco-giudeo-cristiano) e l’Oriente (musulmano) nelle Filippine, in Thailandia, Kashmir, Iraq (dove proprio in questi giorni la minoranza cristiana viene emarginata ed esiliata), Nigeria, Israele/Palestina, e fin nelle strade e periferie delle città occidentali (tra le quali, di recente, anche Stoccolma), si accendono i focolai dello scontro globale tra le civiltà. E le zone di confine tra il nord e il sud del Sudan, purtroppo, non tarderanno a unirsi alla lotta».

In conclusione, le idee dell’Autrice riecheggiano anche presso studiosi di altri paesi e si affermarono, come dovuto, anche in altri ambienti di tradizioni occidentali e non.

 

Rosario Priore

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

 

 

La collana I Tempi della Storia di Città del sole sembra adatta ad ospitare questo saggio ricco di indicazioni e informazioni storiche per interpretare il complesso fenomeno del terrorismo islamico e delle sue matrici culturali, passando attraverso l’analisi della vera e propria religione musulmana.

Si tratta di un territorio d’indagine delicatissimo, quello in cui Antonella Colonna Vilasi ci introduce con questo saggio, come è nel suo stile. L’autrice, infatti, si cimenta da anni nello studio del terrorismo (in particolare quello “interno” degli Anni di piombo) e dell’intelligence, tema cardine della sua Trilogia, pubblicata tre anni fa con la casa editrice Mursia.

Islam tra pace e guerra (Città del sole, pp. 240, € 12,00) è una riflessione articolata sulle origini del terrorismo islamico e sulle sue definizioni, in cui l’autrice porta avanti il proprio punto di vista “occidentale” senza mai cadere nel retorico o nelle soluzioni preconfezionate di gran parte degli studi sul fondamentalismo.

Lo ribadisce – come si è visto – Rosario Priore, magistrato e studioso dei fenomeni terroristici, nella sua entusiastica Introduzione al volume, elogiandolo proprio perché non si discosta dal tradizionale canone di interpretazione occidentale e perché non lascia spazio a ideologie che egli reputa «bonarie» e destinate ad avere poco spazio nell'immaginario collettivo.

 

Un’opinione condivisa

L’idea della centralità occidentale nella lotta al terrorismo islamico, esposta da Priore e dalla Vilasi, è quella più comune tra le istituzioni dei paesi democratici, sebbene nel saggio venga considerata meno prevalente rispetto a quella secondo cui i paesi cosiddetti «moderatisti» sarebbero inclini a “coprirsi gli occhi”, semplificando il fenomeno del terrorismo. Quest’ultima viene ridimensionata in parte nella Prefazione di Vittorfranco Pisano, che chiarisce come «l’appoggio di Stati “patroni” - consistentemente limitato ad un numero minoritario di aggregazioni terroristiche e gradualmente scemato nel corso dell’ultimo ventennio – è oggi elargito da pochissimi Stati, tutti d’impostazione non democratica, a fini sostanzialmente di politica estera». Il prefatore sottolinea come la pericolosità del terrorismo si accentui nel momento in cui a fomentarlo sono i gruppi privati, che si muniscono spesso di una facciata dallo scopo «socio-assistenziale» e che in questo modo acquisiscono più proseliti.

Alla base di tali dissertazioni deve permanere però la convinzione che questo tipo di organizzazioni terroristiche, che si differenziano dalle altre alleanze criminali per i loro scopi religiosi e per il coinvolgimento di civili, sono tutt’altro rispetto all’Islam vero e proprio, rispetto ai precetti e alle tendenze di quest’ultimo costituendone, appunto, una pericolosa degenerazione.

 

Le strutture e l’organizzazione

Pregio del volume è l’analisi approfondita di ogni aspetto del terrorismo islamico, dalla teoria alla prassi, cioè dalla matrice filosofico-teologica che sta alla base, fino all’azione criminale vera e propria. Il fenomeno ha il suo principale punto di forza nella paura, in un sentimento collettivo di timore e panico, come quello che si è scatenato dopo gli attentati dell’11 settembre. In questa psicosi che, ahimè, conosciamo bene, si crea il terreno fertile per l’attecchire di quella polarizzazione tra Islam e democrazia, tra Islam e Chiesa cattolica, tra Islam e Occidente. Una contrapposizione semplicistica in realtà, che fa di tutta la religione musulmana la culla dell’assolutismo, dell’integralismo e della criminalità e della democrazia americana e della sua fede cattolica, la salvezza. Purtroppo, anche quello di “fare di tutta l’erba un fascio” è un atteggiamento che il nostro american way of life conosce bene.

Si tratta dell’interpretazione riduttiva di un fenomeno che al contrario merita di essere approfondito in tutti i suoi aspetti. Per questo motivo, la Vilasi scandaglia ogni possibile meccanismo interno al terrorismo, a partire dalla componente ideologica e psicologica, individuale e collettiva, per cui il fondamentalismo ha reso la morte un premio, il momento-culmine della jihad − la guerra santa − ha divinizzato il martirio, ha motivato ogni azione criminale contro l’infedele con la ricompensa divina, in un delirante fanatismo che di religioso ha ormai ben poco.

Ne parla la seconda parte del libro, dove trova spazio l’intervista a Khaled Gianluigi Biaggioli Gazzoli, il quale racconta di un Islam moderato, che poi è quello che rileviamo nel nostro paese e in Europa. Ad essere descritta è, infatti, una religione fortemente spirituale (decisamente più di quella cristiana), professata per libera scelta del singolo e che si avvale dei suoi principi e delle sue regole proponendo una pacifica convivenza con le altre religioni e culture che incontra. Non generalizzare il fenomeno terroristico, affinché la psicosi occidentale non si riversi contro l’Islam tutto, adducendo come argomentazione il fatto che sia una delle religioni più professate del mondo e nella maggior parte dei casi senza conseguenze di natura violenta o peggio terroristica, lungi dall’essere sintomo di mollezza da parte dell’Occidente, è prova di ragionevolezza, nonché importante per comprendere meglio il fenomeno in tutti i suoi aspetti.

 

Una presunta geografia del Bene e del Male

Il libro della Vilasi raccoglie importanti documenti e dati sull’evoluzione del fenomeno terroristico nel tempo e nello spazio, offrendo al lettore un quadro storico generale che va dai primi del Novecento, cioè dalla fine del califfato, agli ultimi attentati in Europa e nei paesi islamici perpetrati da chi continua a perseguire lo scopo di uno stato islamico unitario sotto il punto di vista religioso e culturale. L’opposizione non avviene soltanto nei confronti degli Stati Uniti, democratici e progressisti, ma anche contro chi non fa parte della comunità islamica, e contro gli stati che appoggiano Israele, tra cui gran parte dei paesi occidentali.

Le organizzazioni terroristiche elencate nei dettagli dall’autrice, dai Fratelli musulmani, ad Hamas, ad Hezbollah, alla rete più grande, Al Qaeda, “La base”, con le loro divisioni e ramificazioni, non fanno altro che testimoniare la debolezza del loro scopo e dell’integralismo che vanno predicando e l’anarchia che li contraddistingue, nonché l’abisso che li separa dalla religione islamica vera e propria e dall’interpretazione reale del Corano.

 

Educazione alla tolleranza

Nel rispetto della democrazia e dei diritti civili, nel rifiuto di ogni forma di violenza, militare e civile, un adeguato relativismo culturale e una maggiore tolleranza del diverso, potrebbero garantire una comprensione del fenomeno islamico molto più utile a contrastarne le degenerazioni, se contrapposta da una parte, ad ogni scintilla di pericoloso integralismo, ma dall’altra a quella che l’autrice chiama «l’autosuggestione militaresca» degli Stati Uniti che per qualche tempo ha giustificato in molti paesi la lotta indiscriminata ad ogni forma di opposizione, adducendo il terrorismo come pretesto, e senza regolari processi. È quello di cui parla Khaled Biaggioli nell’intervista, verso la fine del libro: una rettifica dell’atteggiamento occidentale nei confronti dell’Islam. Una piccola revisione che non deve necessariamente partire, come sempre, da un paese come gli Stati Uniti, ma può giungere dall’Unione europea, visto il grande flusso migratorio di cui siamo testimoni.

Per altri versi riteniamo necessario capire come la frase «se un nemico entra in un paese, gli abitanti di quel paese devono mobilitarsi senza distinzione tra uomini e donne, né tra anziani e bambini», citata dall’autrice e pronunciata da alcuni studiosi musulmani, sia, in realtà, un comune principio di autotutela di ogni paese e come il culto della salvezza dell’eroe professata dall’Islam, che provoca costantemente una serie di vittime, ritorni presente sotto altre forme, seppur pacifiche, durante i funerali dei soldati europei e americani, le cui bare vengono orgogliosamente ornate da bandiere e stendardi durante i funerali di stato. Alcuni aspetti moderati e pacifici della religione islamica, o della cultura araba non sono poi così distanti da molti dei principi occidentali, e sono questi che bisognerebbe approfondire e incentivare per un migliore processo di integrazione.

La conoscenza di diverse culture, l’opposizione al fondamentalismo di ogni tipo, le opinioni diverse in merito a fenomeni terroristici e alle loro motivazioni, non indeboliscono la lotta al terrorismo internazionale, piuttosto ne sono la parte fondante, perché costituiscono il cardine di quella democrazia che tanto i paesi occidentali giustamente vantano e che vorrebbero insegnare.

Infine, «come si evince dal titolo di questo volume, le pagine […] sono intese a fornire un contributo per la comprensione di un’inquietante matrice del fenomeno terroristico, matrice che non va confusa con la dottrina, i valori e i precetti morali dell’Islam, una delle tre grandi religioni monoteiste».

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 49, settembre 2011)

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