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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno V, n. 48, agosto 2011

Zoom immagine La calligrafia:
segni di vita
e di guerra

di Elena Montemaggi
Da Transeuropa, due stati
che si scambiano messaggi
scritti sulle testate dei missili


In Oriente calligrafia significa comprensione dell’esistenza attraverso la via della scrittura. Deve le sue origini all’antica cultura cinese che nel corso dei primi secoli dopo Cristo penetrò in Giappone. I monaci che si recavano in Cina per il loro apprendistato, trapiantarono nel paese l’arte della calligrafia, che implica un lungo apprendimento e una pratica costante. Si ricerca l’equilibrio nell’irregolarità e nell’asimmetria. Anche quando i tratti del pennello e i caratteri sono organizzati in posizioni apparentemente sbilanciate, tuttavia c’è uno scheletro stabile che lega ogni elemento e ne costituisce l’armonia. I gesti del calligrafo sono immediati, ritmati e perfetti, senza correzioni e ritocchi. Per il calligrafo il pennello è ciò che per il samurai rappresenta la spada: il prolungamento della sua anima. Tant’è che i più valorosi tra quest’ultimi erano anche esperti calligrafi, data la profonda connessione che c’era tra le due arti. Unendo l’arte calligrafica alla figura militaresca del samurai, ci avviciniamo al titolo del romanzo d’esordio di Andrea Tarabbia, La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa edizioni, pp. 224, € 16,50).

 

Lezioni di calligrafia militare

In una scuola posta tra due stati in guerra, stato di H e stato di L, si svolgono lezioni di calligrafia militare. Ad alcune bambine, orfane di guerra, viene data l’occasione di imparare l’arte del messaggio, della disciplina e dell’amor patrio, “calligrafando” messaggi bellici sopra le testate nucleari dei missili che si riveleranno essere un insolito e spaventoso mezzo di comunicazione. L’insegnamento è affidato al Magister calligraphiae Horatio, colui che, con i suoi pensieri, aprirà e chiuderà le pagine di questo romanzo.

Il maestro, dall’oscuro passato, spiega come la prima antichissima regola di quest’arte sia valida ancora oggi: il pennello o la penna vanno impugnati senza forza ma in modo saldo, «come se si trattasse di un uovo che non deve assolutamente sfuggire di mano». La calligrafia è un’arte ritmica, la forma delle lettere deve riflettere il movimento del corpo che le crea. È un’arte di pieni e di vuoti i cui centri nevralgici «sono le parti non scritte della frase dove respira il non detto, gli intervalli di silenzio tra una lettera e l’altra da cui origina il suono e il senso».

Dipingere una lettera è un lavoro faticoso e perfetto, la scrittura necessita di pazienza e ostinazione. Una delle lettere più difficili è la lettera “H”, lettera con la quale cominciano i nomi e i toponimi dello stato di appartenenza dei protagonisti.

 

La negazione della lettera H

Ma cosa accade quando vengono privati della lettera H? Quando viene strappata via dai loro nomi, dalle loro vite? Si ritrovano immediatamente scaraventati in un “contromondo”, spogliati della loro dignità ma anche di tutte quelle impalcature, quelle facciate che fanno da scudo alla loro anima.

La notte di San Lorenzo vede cadere insolite stelle e lo stato di H viene privato della propria libertà. Distruzione e violenza si abbattono in superficie spingendo alcuni superstiti ad una “controvita” in un mondo sotterraneo, umido e oscuro ma per certi tratti speculare a quello reale. «Siamo nella pancia della balena», ripeterà fino all’ultimo Erman, per il quale la perdita della propria H ha coinciso con la perdita della ragione o, forse, è semplicemente l’unico ad avere intuito l’inutilità di restare ancora in vita, dell’imminente doppia morte che li attende in quella seconda città, che li ha resi deboli e simili a topi.

Tutti hanno perso la propria H, questo vuol dire scoprirsi particolarmente violento e affamato di sesso come nel caso di Ivo, oppure più fragile e indifeso come il maestro Oratio (ora non più con l’H iniziale), condannato a «non dimenticare le stelle, la pioggia, le bombe nel giardino degli ulivi», per via di un fischio all’orecchio che dalla notte di San Lorenzo non lo ha mai abbandonato poiché è la sua «radiazione cosmica di fondo».

 

Il contromondoci attende

Ogni volta che leggiamo un libro la nostra mente è subito in cerca di punti di riferimento. Siamo inconsciamente e immediatamente proiettati verso rassicuranti realtà, verso elementi che possiamo ricollegare alla nostra vita, alle nostre esperienze, per collocare in luoghi conosciuti quanto sta accadendo tra quelle pagine. Ma l’intenzione dello scrittore è di privarci proprio di questo. Per contrasto, tanto meno riferimenti alla vita reale mette a nostra disposizione, tanto più sentiamo forte la possibilità che un fatto del genere possa accadere veramente, e in un futuro non molto lontano.

Inoltre la voluta commistione di elementi che appartengono alla nostra cultura e quotidianità, unita ad echi e rimandi alla società mediorientale, ci impone una riflessione che va ben oltre il commento stanco, sommario e lapidario che, da più di trent’anni, ci strappano i titoli dei telegiornali all’ora di cena. Quando leggiamo quello che accade nella seconda città è inevitabile pensare alla Beirut sotterranea di Arafat, al conflitto perenne che abita quelle terre, che non sono poi così distanti da noi e che rischiano di diventare la nuova polveriera che potrebbe far scoppiare l’ultima guerra mondiale.

Il senso di disagio provocato dalla lettura di questo romanzo ci costringe a riflettere sul nostro futuro non così estraneo alle sorti di quello di altri paesi. E l’inquietudine sale nel momento in cui realizziamo che solo nelle favole si può uscire vivi dalla “pancia della balena”.

 

Elena Montemaggi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 48, agosto 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT