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Anno I, n° 4 - Dicembre 2007
Due donne a confronto e il loro difficile rapporto
di Francesca Rinaldi
La relazione madre-figlia nel romanzo della Sebold per le edizioni e/o:
quando la malattia mette in luce tutto il disagio della famiglia moderna
«Alla fin fine, ammazzare mia madre mi è venuto facile», è questo l’incipit dell’ultimo, atteso romanzo di Alice Sebold La quasi luna (e/o, pp. 320, € 18,00). Helen riceve una telefonata dalla vicina di casa della mamma ottantaseienne che sta male; quella mattina non l’ha riconosciuta. La figlia si precipita a casa della genitrice, non pensa neppure ad avvertire sul lavoro. Quando arriva, la vede, la donna che ha sempre accudito, per la quale si è quasi annullata. È vero, non riconosce più le persone, vaneggia, è preda della demenza. È immobile sulla sua poltrona, addirittura si è sporcata come un bambino, Helen prova a pulirla, sollevandola, la trascina, avvolgendola in una coperta nuziale messicana, ma dopo molti sforzi, la soffoca, premendole un cuscino contro il viso, rompendole il naso.
È forte il romanzo della scrittrice statunitense, come lo sono sempre stati tutti i suoi libri, a cominciare dal suo primo, edito in Italia dalla medesima casa editrice, Lucky. Fortunata,
La violenza e la malattia mentale
Una violenza all’inizio di tutto, anche nel suo secondo, più famoso e conosciuto romanzo, Amabili resti (sempre edizioni e/o), dove viene violentata e uccisa, da un vicino di casa, la quattordicenne Susie Salmon. Anche in questo caso, la terribile vicenda avviene all’inizio del libro e poi dal Paradiso la ragazzina partecipa emotivamente alle indagini e alla triste vita di tutti i giorni della sua famiglia distrutta dal dolore. La violenza fa la sua comparsa, sempre per prima, nei suoi romanzi. Ciò che viene dopo è la presa di coscienza, la ricerca di sé nel mondo e poi il difficile tentativo di risalire la china. Tutto sul filo dei ricordi dell’infanzia, vissuti come finestre di consapevolezza, come sprazzi di luce gettati ad illuminare e a comprendere le azioni e i comportamenti del presente, che sono inscindibili dal modo in cui siamo cresciuti e dalle persone da cui siamo stati generati. «Quand’è che una persona arriva a capire che nel DNA portiamo intessuti tanto il diabete o la densità ossea dei nostri consanguinei tanto le loro deformità relazionali?» dice Helen. Il lento scivolare delle protagoniste in una zona grigia al limite della salute mentale, è un topos del dopo-violenza, anche in quest’ultima opera narrativa, dove forse tutta la vita di Helen è stata sempre caratterizzata da tale ambiguità, dalla ferocia di una vita “diversa”, vissuta nella “normalità” della malattia mentale.
Le donne sempre protagoniste
Le donne, o la piccola Susie, sono sempre le voci narranti dei romanzi della Sebold. Le medesime vittime di violenze, che cercano di liberarsi dal quel marchio a fuoco che qualcuno ha inflitto loro.
Inconsapevolmente, tutte le donne in realtà sono Helen, la protagonista. Ed è sempre dalle donne di una famiglia che ci si aspetta la cura, dei bambini prima e degli anziani dopo, così, naturalmente “per diritto di nascita”. Nel romanzo della Sebold però, la famiglia di Helen è “diversa”. La madre è stata sempre agorafobica e tutta la famiglia, il padre e la figlia unica, ha vissuto intorno alla figura egocentrica e accentratrice di una personalità siffatta. Ma questa immagine è paradigmatica della condizione generica di qualsiasi famiglia. Chiusa in se stessa e abituata a vivere la vita di qualcun altro, la condizione della donna nella famiglia è quella della madre della piccola Helen, come se non uscisse mai di casa. Tale diventa la vita di Helen, che ormai quasi cinquantenne, con un matrimonio fallito alle spalle, con due figlie grandi e lontane, capisce di avere anche lei vissuto la vita di qualcun altro, per qualcun altro. «Sacrificando a lei tutta la vita […]. Solo quando ho creduto di aver raggiunto la libertà sono riuscita a capire fino a che punto fossi imprigionata», leggiamo.
La tensione nel romanzo è tra senso del dovere e libertà, ma anche tra odio e amore, o meglio un amore così puro che si odia e ama nello stesso momento. Perché alle donne, come ad Helen, viene chiesto di adeguarsi alle situazioni esistenti. Proprio come il padre spiega un giorno alla piccola Helen: «[…] vediamo una luna non intera, una quasi luna. Il resto rimane nascosto; ma siccome in cielo c’è solo lei, noi la seguiamo. Ci organizziamo la vita sui suoi ritmi e sulle sue maree».
Francesca Rinaldi
(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)