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Espressioni umane
e teorie filo-musicali
in chiave filosofica
di Francesco Rolli
Edito da Einaudi un saggio che studia
la relazione fra i sentimenti e i suoni
Le tematiche sviluppate da Peter Kivy nel suo irrisolto lavoro sono molteplici e non si esauriscono nella sola trattazione delle questioni che riguardano le emozioni nella musica. Irrisolto perché come vedremo i postulati, ipotizzati sul tema del rapporto musica-emozioni, sono definiti dallo stesso autore in fieri e fallibili. Esperto di estetica e filosofia dell’arte, Peter Kivy è professore di filosofia presso
L’autore si propone di trattare la problematica dell’espressività della musica strumentale classica ma non solo: troviamo nel saggio una buona dose di nozioni storiche necessaria a inquadrare gli aspetti delle emozioni nella musica e del formalismo e la presentazione di alcune sue importanti teorie come la contour theory, il formalism enhanced, la teoria dell’hypothesis game e del cerchez la thème, la teoria cognitiva delle emozioni (oggetto-credenza-sentimento) che sono esposte nei capitoli II-VIII.
Trovano spazio anche altre speculazioni teoriche ritenute poco plausibili dallo studioso, come la teoria della persona e la teoria della tendenza, nonché la teoria eccitazionistica e disposizionale dell’espressività musicale.
Definito il suo progetto nei capitoli iniziali, il volume Filosofia della musica. Un’introduzione, a cura di Alessandro Bertinetto (Einaudi, pp. 352, € 12,00), partendo dal panorama della music alone, l’autore prosegue nel vastissimo universo della musica operistica (abbinata ad un testo), della musica a programma e della rappresentazione dei drammi teatrali.
Nei capitoli finali, poi, campeggiano le problematiche dell’ontologia dell’opera d’arte musicale, della sua interpretazione e dell’ascolto, che, coerenti col tema delle proprietà espressive in musica, si inseriscono però in altre disquisizioni filosofiche che non saranno esaminate nel presente contesto.
La teoria eccitazionistica dell’espressività musicale
Prima di inoltrarsi nelle teorie dell’autore, occorre soffermarsi sulle teorie di Platone, per poi passare a quelle della Camerata de’ Bardi, poi. In primis Kivy raccomanda estrema cautela nel trattare di musica antica greca, poiché le nostre interpretazioni potrebbero non corrispondere a realtà. Secondo le fonti pervenuteci, la musica era basata sulla melodia vocale con l’accompagnamento di uno strumento a corda come la lira e la cetra.
Il sistema musicale greco, dei tempi di Platone, si costruiva mediante un tetracordo, contenuto in una quarta giusta, formato da due intervalli di tono e uno di semitono discendenti; il raddoppio del tetracordo produceva l’armonia. Vi erano, dunque, sette modi, ognuno dei quali era associato ad un’emozione particolare. Tetracordo è, etimologicamente, l’insieme delle quattro corde di una lira. In Grecia la musica, in virtù della dottrina dell’ethos, era stimata capace di produrre determinati stati d’animo negli ascoltatori; i modi principali erano quattro: dorico, lidio, frigio, misolidio: ad esempio, il modo dorico era capace di produrre un ethos pacato, mentre il modo frigio uno vigoroso... La musica produceva benefici sì come la ginnastica.
Andrebbe però subito ricordata la presenza della melodia vocale cui era abbinata la musica: l’ascoltatore riconosceva che la musica poteva produrre un determinato sentimento mediante la mimesis della parte vocale, degli enunciati espressivi umani che esprimevano quel determinato sentimento. La composizione non è soltanto espressione di emozioni, poiché ad ogni “modo” è associato un determinato ethos, ma ha la capacità di suscitare nell’ascoltatore il sentimento espresso dalla musica. Tale sembrerebbe essere la più accreditata teoria platonica sul rapporto tra musica ed emozioni comuni.
La teoria della Camerata de’ Bardi si colloca sulla stessa posizione ideologica: quando rileva come il dramma operistico nasca come imitazione della tragedia greca. Far risaltare i titoli dei primi melodrammi non appare inutile, dal momento che tutti si rifanno al mitico cantore greco Orfeo: come nel 1600 l’Euridice di Peri, nel 1602 l’Euridice di Caccini, nel 1607 l’Orfeo di Monteverdi. Fu proprio Orfeo il primo uomo che con il suono della cetra riuscì a “muovere emotivamente” le fere, e ad ammansirle. Allo stesso modo, nel periodo barocco, gli attori sulla scena riuscivano a commuovere gli spettatori: la musica, dunque, non solo era forma espressiva delle emozioni comuni per l’equipollenza tra la melodia degli strumenti e quella della voce, ma anche il tramite di un sentire simpatetico, attraverso il quale l’ascoltatore/spettatore si immedesimava nel recitante, riuscendo così a sentire le emozioni espresse.
Le due teorie (quella di Platone e della Camerata de’ Bardi) uniscono così le due problematiche fondanti del rapporto fra musica ed emozioni esposte nel presente saggio da Kivy: come la musica possa essere espressiva delle emozioni comuni e come essa possa suscitare tali emozioni negli ascoltatori. Tale concezione può essere definita un’arousal theory, teoria eccitazionistica, ma anche disposizionale nel senso che «la musica “possiede” le proprietà emotive come “disposizioni” a suscitare emozioni negli ascoltatori nello stesso modo in cui l’oppio ha la proprietà di far venir sonno alla gente». Non viene, però, spiegato il “come” la musica possa essere espressiva delle emozioni comuni e come riesca a produrre simili emozioni in chi ascolta.
La teoria del profilo: il san Bernardo
Per quanto concerne il primo punto, cioè “come” la musica possa essere espressiva delle emozioni comuni, bisognerà constatare che la linea melodica musicale ha la capacità di rappresentare perfettamente la linea melodica vocale: alle ascese e cadute della prima, corrispondono le ascese e le cadute della seconda; inoltre, precisa Kivy, la melodia è l’aspetto della musica che da sempre è stato ritenuto più espressivo. Questa concezione da Platone approda fino ai nostri dì. Analogie possono emergere tra le caratteristiche della melodia e il comportamento umano. Chi è allegro tende ad avere atteggiamenti, posture e movenze caratterizzati da movimenti repentini, veloci, scattanti, differentemente da chi è triste o angosciato. La melodia musicale procede similmente: le melodie allegre sono caratterizzate da indicazioni dinamiche forti, staccati, tempi veloci, suoni squillanti; all’opposto funzionano le melodie tristi. È evidente come ciò avvenga anche nei comportamenti degli uomini. Ebbene, non può essere un caso questa relazione tra la voce e il comportamento umano e le melodie in musica!
Kivy, per spiegare ciò, si riferisce ad una teoria espressa precedentemente in un suo lavoro del 1980 (The Corded Shell): la teoria del profilo dell’espressività musicale, o contour theory. Il punto di partenza è un lavoro di Charles Hartshorne, The Philosophy and Psychology of Sensation (1934), in cui prende forma l’idea che le emozioni in musica non sono percepite in maniera rappresentazionale, ma a livello percettivo. Il filosofo adduce l’esempio del colore giallo: normalmente associato ad un sentimento di allegria, non perché ci renda allegri (ecco che iniziano a separarsi le due problematiche dell’arousal theory), ma perché il giallo è una delle sue qualità percettive, allo stesso modo in cui l’essere rotondo è una qualità di una palla da biliardo, inseparabile da essa. Nuovamente non è data spiegazione del “come” la musica riesca a possedere proprietà emotive, così come i colori.
Kivy distingue tra qualità semplici e qualità complesse: l’essere giallo del giallo è una qualità semplice poiché non può essere addotta nessuna precisazione o caratteristica per chiarificarne l’essenza mentre alle qualità percettive della musica possono essere ricondotte ulteriori precisazioni. Per esempio una musica triste presenta un andamento grave e lento, tonalità minori, toni cupi e le note, spesso, suonate nella parte bassa non acuta dello strumento. L’essere triste della musica è una qualità complessa che può essere specificata con altre caratteristiche. Riprendendo il problema nella sua prima formulazione (come le emozioni siano dentro la musica), possiamo ora rifarci alla teoria del profilo. Kivy sostituisce all’esempio del giallo, quello del san Bernardo, il cui muso in realtà manifesta tutti i tratti della tristezza: le sopracciglia aggrondate, l’espressione imbronciata, uno sguardo che è realmente triste. Siamo dinanzi ad una qualità complessa delle facoltà percettive, la tristezza emerge da vari tratti ed è una proprietà intrinseca del muso del san Bernardo (similmente, anche quando è allegro, il cane mostra lo stesso muso imbronciato). Il profilo della musica sarebbe assimilabile dunque al profilo dell’espressività umana (vocale e corporale).
Kivy è in parte un formalista e, come tale, crede che la musica non abbia alcun contenuto semantico, né potere “rappresentazionale”. Per funzionare, la contour theory deve lavorare in maniera «subliminale»; non è plausibile sostenere che durante l’ascolto la musica rappresenta un comportamento umano o simbolicamente, la vita emotiva in generale (diversa è la questione dell’espressività vocale umana, perché è una proprietà percettiva dell’udito, non della vista) e, in virtù di tale rappresentazione, io percepisco una determinata emozione. Affinché la tesi produca buoni risultati si mette in gioco la teoria evoluzionistica: l’argomentazione del filosofo è davvero plausibile. Se noi riuscissimo a vedere le figure inanimate in movimento (si tira in ballo la qualità percettiva della vista) per assicurarci la sopravvivenza perché realmente accade che lo facciamo, tutto ciò può essere valido anche per l’udito? Posso, ascoltando musica assoluta, sentire i suoni animati come espressione della vocalità e del comportamento umano? Secondo questa teoria ascoltare il crescendo iniziale della Quinta Sinfonia di Beethoven significherebbe percepire sentimenti turbinosi, poiché agli albori della nostra umanità attribuivamo a suoni, (quali il tuono), segnali di pericolo (mentre il cinguettio degli uccelli non era affatto percezione di minaccia incombente, si presume). Sì, ma con alcune precisazioni. La vista è senso primario rispetto all’udito. Se oggi, ancora vediamo le cose animate come inanimate, per l’udito, sicuramente sarà così; ma a livello inconscio, subliminale, semicosciente. Ecco una buona spiegazione di come la musica possa essere espressiva delle emozioni comuni attraverso l’analogia fra intonazione vocale e comportamento umano Le due strutture, i due profili, sono compatibili, strutturalmente simili.
Gli accordi e il profilo musicale
Rimane la trattazione degli accordi, punto cardine nell’argomentazione del musicologo. Gli accordi presi in esame sono tre: do maggiore, do minore e do diminuito. Ad ognuno di questi accordi viene riconosciuta, attraverso un comune sentire, una determinata proprietà emotiva; al maggiore allegria, al minore malinconia, al diminuito angoscia. Riappellandoci alla teoria del profilo si noterà, agevolmente, che il primo accordo è una quinta giusta, formato da una terza maggiore e una quinta giusta, il secondo ha una terza minore, abbassata di un semitono, e una quinta giusta, il terzo ha sia una terza sia una quinta diminuite. All’abbassamento di tono corrisponde anche un incupirsi dell’evento sonoro; similmente si incupiscono le voci delle persone malinconiche, e i loro movimenti.
Le qualità emotive della musica sono possedute come qualità acustiche, percettive, e sono artisticamente rilevanti; il formalismo (o purismo musicale) nega la loro rilevanza artistica.
L’ipotesi più affascinante per spiegare come gli accordi possano essere espressivi di allegria, malinconia e angoscia è strettamente connessa alla funzione grammaticale o sintattica che svolgono all’interno della composizione. Tutta la storia della musica occidentale si basa su un movimento che va dalla distensione alla tensione per giungere ad una chiusura finale. Se si ascoltano i tre accordi si nota subito come quello minore e diminuito abbiano bisogno di essere “risolti”. La risoluzione è propriamente il movimento che produce distensione da un precedente stato di tensione: le cadenze (risoluzioni) dei due accordi producono un suono maggiormente allegro e distensivo per l’ascoltatore. Bisogna aggiungere che, per lunga parte della storia musicale occidentale, la chiusura preferita delle composizioni era in tonalità maggiore, proprio perché il passaggio dalla tensione alla distensione era un movimento dal buio alla luce, dalla malinconia all’allegria. Il modo maggiore era abbinato a emozioni allegre, il modo minore a emozioni tristi. La tensione, la risoluzione, la distensione e il rilascio sono anche stati psicologici, pertanto richiamando tali nomi, chiameremo in causa anche emozioni comuni. La tensione, la risoluzione e il rilascio sono proprietà sintattiche situate dentro la musica così come le emozioni comuni.
La musica può essere espressiva delle emozioni comuni poiché le percepiamo come qualità acustiche, artisticamente rilevanti, sia per analogia con la voce e il comportamento umano, sia per la funzione sintattica della risoluzione, che opera un movimento dalla tensione alla distensione, funzione strutturale e grammaticale della musica, senza la quale mancherebbe la chiusura finale.
Il cognitivismo emotivo e le teorie di Levinson e Davies
L’altra problematica esposta da Kivy è: come la musica può commuoverci emotivamente se le qualità emotive le sentiamo nella musica e non in noi? Il musicologo espone a questo punto la teoria della persona e della tendenza. La prima sostiene che ogni brano musicale è ascoltato come un enunciato umano, la persona musicale in realtà non sarebbe altro che un personaggio immaginario, fittizio, grazie al quale noi percepiamo l’emozione che in quel preciso istante la persona sta esprimendo. Le obiezioni principali sono: la persona musicale non può essere paragonata ai personaggi della narrativa di finzione poiché essa è priva di qualità o determinazioni, non può muoverci a commozione come l’eroina di un avvincente romanzo dell’ottocento francese. L’altra pone in evidenza l’immedesimazione dell’ascoltatore, sempre, con l’emozione che sta esprimendo la persona musicale. La teoria della persona è così esclusa per spiegare come la musica possa commuoverci emotivamente. Infatti non sempre la risposta emotiva dell’ascoltatore è quella appropriata a ciò che sta esprimendo la persona musicale; inoltre se la reazione emotiva non fosse sempre uguale sarebbe , in altri termini, come asserire che una melodia allegra produce un sentimento di tristezza o angoscia. L’altra teoria è quella della tendenza: le proprietà emotive della musica hanno la “tendenza” a produrre, in chi ascolta, l’emozione di cui sono espressive. Come si può constatare tale inquadratura del problema è simile alla teoria eccitazionistica e disposizionale dell’espressività musicale. Anche in questo caso è proposta un’analogia con la tendenza che molti colori hanno nel muoverci verso diverse emozioni. Davies, sostenitore della teoria oltre a postulare che, come per i colori, la tendenza a suscitare emozioni possa essere anche della musica, propone un’altra analogia: quella con le maschere tragiche. Chi lavora in una fabbrica per otto ore consecutive attorniato da maschere tragiche avrà l’effetto di intristirsi, poiché tutto il giorno subisce l’effetto che le maschere hanno su di lui. Per affermare che ciò accada anche con gli eventi sonori bisognerebbe ricreare le stesse condizioni, cioè far ascoltare per otto ore consecutive ad una persona musica malinconica. Chi mai lo farebbe? Ebbene anche questa visione risulta fallace. Se si ascolta una musica triste non necessariamente si prova tristezza… non si va a teatro con lo scopo d’intristirsi. Scrive lo studioso: «Chi mai si sottoporrebbe, gratuitamente, per scelta, all’esperienza della malinconia, della rabbia, della paura?».
Occorre altresì sottolineare che sia Levinson, sostenitore della teoria della persona, sia Davies riconoscono che le emozioni suscitate in noi dall’ascolto non sono propriamente la rabbia, la malinconia, la gioia, ma semi-emozioni, quasi-emozioni: questo punto potrebbe conciliarsi con la visione di Kivy! Egli continua il suo discorso chiamando in causa le coordinate oggetto-credenza-sentimento, la teoria del cognitivismo emotivo. Quando provo un sentimento è necessario che io abbia un oggetto di quel sentimento, una credenza che causi quel sentimento e un sentimento prodotto dall’emozione che sto provando. Trasferiamo queste coordinate agli eventi sonori e tentiamo di spiegare come la musica possa commuoverci emotivamente. L’oggetto dell’emozione, quando ascoltiamo musica, si noti come sembri rispecchiare quello che sovente accade in chi ascolta musica “pura”, è l’insieme delle caratteristiche che formano la musica: i timbri degli strumenti, l’alternarsi delle differenti sonorità, le modulazioni, le ripetizioni e i contrasti, dunque è la bellezza della musica, la sua forma, la sua struttura (oltre a possedere le qualità emotive come proprie, la musica è artisticamente rilevante anche per altri fattori); la credenza è il riconoscimento di tale bellezza, il sentimento è lo stato di entusiasmo, euforia, eccitazione che tale bellezza suscita.
Il problema che si pone è: noi siamo “mossi a”, o siamo “mossi da”? Come dire: quando ascoltiamo un brano profondamente triste, ad esempio, non siamo commossi emotivamente a sentimenti funerei e angosciosi (come sostenuto poc’anzi, sarebbe un’assurdità considerare che l’ascolto musicale ci provochi uno stato così infelice, lo stesso Kivy sostiene che mai dopo un concerto ha visto una persona profondamente angosciata!), ma siamo mossi emotivamente da codesti sentimenti ad uno stato di profonda eccitazione emotiva. La musica è profondamente triste e riconosciamo la tristezza quale proprietà emotiva e acustica tramite la teoria del profilo, riconosciamo gli elementi che costituiscono questa musica (l’incedere lento, i suoni cupi, le tonalità minori, i timbri degli strumenti, la strumentazione) belli nel loro insieme, crediamo che la musica sia bella e siamo mossi da questa tristezza all’eccitazione (feeling).
La teoria di Kivy è un formalism enhanced (formalismo arricchito), un formalismo che nega alla musica qualsiasi contenuto semantico e rappresentazionale ma lo arricchisce della componente espressiva: le proprietà emotive sono proprietà acustiche e percettive di cui abbiamo cognizione (ecco il cognitivismo emotivo) come “essenti” nella musica, presenti dentro la musica, dunque non le “sentiamo” e tali proprietà ci commuovono emotivamente, non suscitano in noi le emozioni. Il formalismo negava quasi interamente questa tesi. È auspicabile presentare ora la dottrina del formalismo e della bellezza musicale di Kant, Hanslick e Gurney.
La radici del formalismo musicale
Kant nella sua opera capitale sull’estetica,
Come sia possibile che il bello possa essere universale, Kant lo motiva attraverso il richiamo all’immaginazione e all’intelletto, l’universalità del giudizio estetico si basa sulla struttura comune della mente umana: «La comunicabilità soggettiva universale del modo di rappresentazione propria del giudizio di gusto, poiché deve sussistere senza presupporre un concetto determinato, non può essere altro che lo stato d’animo del libero gioco della fantasia e dell’intelletto (in quanto essi si accordano tra loro come deve avvenire per una conoscenza in generale); perché noi sappiamo che questo rapporto soggettivo appropriato alla conoscenza in generale deve valere per ognuno, e quindi essere universalmente comunicabile». La conseguenza del libero gioco è il piacere del bello.
Le opere d’arte sono opere del genio e devono possedere sia la bellezza formale, da cui possa derivare il giudizio estetico puro, sia le idee estetiche, un contenuto rappresentazionale, che innescano il libero gioco di immaginazione e intelletto. La musica possiede una bellezza formale, ma non un contenuto rappresentazionale: non può essere inserita dunque all’interno delle “belle arti”. Spieghiamolo. Della musica, per prima cosa, ci appare il suono, che Kant definisce come vibrazione, onda: è quest’onda a permettere ai suoni di essere considerati belli, la bellezza formale della musica è definita come «il bel gioco delle sensazioni», dunque ha a che fare con le proprietà emotive. Il contenuto non è raggiunto poiché la musica ha l’effetto «di un rilassamento puramente corporeo», non ha contatto con la mente, e senza produrre la catena delle idee estetiche non riesce ad ottenere lo status di arte bella: le arti belle devono possedere un contenuto sensibile (la bellezza formale) e un contenuto profondo (le idee estetiche).
Infine, risulta fondamentale la distinzione tra bellezza libera e bellezza aderente: la prima è la bellezza che non presuppone alcun concetto di ciò che l’oggetto deve essere, la seconda presuppone un concetto. Scrive Kant: «Così i disegni à la grecque, i fogliami delle cornici e delle tappezzerie per se stessi non significano nulla, non rappresentano nulla, nessun oggetto sotto un concetto determinato, e sono bellezze libere. Si possono considerare come della stessa specie quelle che in musica si chiamano fantasie (senza tema), ed anche tutta la musica senza testo». Con l’abbinamento del testo, la musica completa la bellezza formale con il contenuto che produce, a sua volta, la catena delle idee estetiche e attiva il libero gioco tra immaginazione ed intelletto: la musica col testo potrebbe essere inserita tra le “belle arti”.
Il testo fondamentale del formalismo musicale è Sul bello musicale (1854) di Hanslick. Il formalismo come abbiamo già accennato è l’idea secondo cui la musica non ha né contenuto semantico, né contenuto rappresentazionale. Da dove scaturirebbe la bellezza musicale? La bellezza di un brano musicale è musicale e va cercata nelle strutture sonore. Il bello è specificatamente proprio della musica. Gli intendimenti polemici sono nei confronti di Hanslick, Wagner, Liszt e dell’estetica romantica. Il progetto wagneriano consisteva nell’opera d’arte totale e proponeva il recupero dello spirito della tragedia greca (soprattutto eschilea) attraverso le parole (wort), la musica (tone), e l’azione (drama). La sola musica strumentale è deriva dell’intimismo e rifiuta il contatto col mondo. Secondo il credo formalista, la musica è assoluta, pura, senza testo. Liszt propone musica senza parole ma ispirata a un testo, difatti una delle caratteristiche delle sue composizioni è la titolazione delle opere, oltre alla gestazione del Poema Sinfonico che è una composizione musicale per orchestra, solitamente in un solo movimento, di ampio respiro che sviluppa musicalmente un’idea poetica: la musica “a programma” aveva come scopo quello di descrivere un oggetto o una storia con mezzi puramente musicali. L’estetica romantica, altro bersaglio polemico di Hanslick, si occupava principalmente della deriva patologica dell’arte, ossia di tutti gli aspetti fondati sul pathos. Il musicologo ceco, comunque, non credeva che la musica non suscitasse sentimenti, soltanto non reputava tale meccanismo un aspetto artisticamente rilevante della musica: lo denominò “l’effetto patologico” della musica. Secondo tale concezione la musica può suscitare emozioni sia per il particolare stato emotivo in cui si ascolta un determinato brano, sia per il riaffiorare di un sentimento passato cui il brano era associato; la musica produce effetti equipollenti se l’ascoltatore è agitato o instabile emotivamente. Similmente a Kant, lo studioso si rifà a un paragone con le arti decorative: se il primo richiama i disegni à la grecque, il secondo propone una similitudine tra la musica e l’arabesco (come esempio di libera decorazione dei motivi musicali), e il caleidoscopio. Mentre nelle decorazioni à la grecque e nell’arabesco la decorazione motivica è fissa, nel caleidoscopio le forme sono percepite in movimento come la musica, definita come «forme che si muovono in maniera tonale»: questa è la famosa formula del formalismo hanslickiano.
Fondamentale risulta un passaggio del III capitolo de Sul bello musicale in cui la musica viene paragonata ad un linguaggio non traducibile in un altro linguaggio, ma che può essere facilmente compreso, un linguaggio senza contenuto semantico, di sola sintassi e struttura grammaticale. Hanslick fornisce anche una teoria cognitiva delle emozioni ben differente da quella di Kivy, infatti, ai termini di oggetto-credenza-sentimento non può essere applicabile nessuna categoria: che oggetto può mai avere la musica, che credenze può fornire e, in base a ciò, che sentimento susciterebbe? Dal momento che il sentimento di cui si ha cognizione è differente in ognuno, Hanslick si appoggia alla teoria del disaccordo, secondo cui non sarebbe possibile determinare quale sentimento venga esperito univocamente dagli ascoltatori. Il binomio musica-emozioni è contemplato come una pura assurdità. Lo studioso parte dal presupposto che ogni sentimento che esprimiamo è legato ad una determinata forma di esperienza, un sentimento non è flusso irrazionale: la musica non può raccontare un’esperienza particolare poiché costruita da forme che si muovono in maniera tonale, da una struttura formale. La musica non può raccontare storie né esporre tesi filosofiche come vorrebbero gli intenzionalisti McClary o Schroeder (appare plausibile la differenziazione operata da Kivy fra significato puro, significato privato e programma soppresso).
Gurney, nel suo libro Il potere del suono del 1880, definisce la forma musicale un «movimento ideale» e attribuisce alla melodia un ruolo fondamentale nello sviluppo della composizione: sotto questo aspetto, il suo formalismo potrebbe essere considerato un formalismo della melodia; la sua posizione è che la bellezza della musica coincida con la bellezza della melodia. L’argomentazione di Gurney prende le mosse dalla connessione logica dello sviluppo della melodia: a connessioni logiche corrisponderanno melodie belle a sconnessioni logiche melodie brutte. La forma melodica è la fluida connessione di una melodia. Il problema è che il musicologo tende a rifiutare l’idea che le proprietà strutturali di un brano siano causa della sua bellezza formale e melodica, poiché presenti sia nelle melodie belle che in quelle brutte.
Il gioco delle ipotesi e del “nascondi-e-cerca”
Un’altra domanda basilare: cosa apprezziamo nella nostra percezione delle strutture musicali?
Abbiamo accennato, poc’anzi, al paragone istituito da Kant e Hanslick tra la musica e le arti decorative (nello specifico il formalismo evidenzia il connubio fra la musica e l’arte astratta) e abbiamo richiamato anche la nozione di motivo che si fonda sul binomio ripetizione/contrasto. La bellezza della musica dipende anche da queste proprietà artisticamente rilevanti. L’ascolto della musica assoluta è, in questo caso, come la lettura di un’opera di narrativa ben scritta. Durante la lettura, se lo scrittore è talentuoso noi avremo sicuramente aspettative su quello che potrà ancora succedere, posti alcuni antefatti. La teoria dell’informazione, elaborata da Meyer (Emotions and Meaning in Music, 1956), ci dice che un evento inatteso è molto informativo, un evento atteso è poco informativo. Parliamo di eventi sonori, ordinati attraverso connessioni logiche, come le opere di narrativa. Durante la lettura del testo formuliamo ipotesi, avremo aspettative: queste potranno essere soddisfatte, frustrate o inaspettate. Ugualmente avviene nell’ascolto musicale degli eventi sonori.
Gli eventi musicali sono di due specie: sintattici e formali. I primi hanno a che fare con le sequenze di accordi, gli sviluppi della melodia, lo stile contrappuntistico; i secondi appartengono all’organizzazione delle opere musicali, per esempio la successione dei tempi di una sinfonia (si noti che nella Nona Sinfonia Beethoven inserisce lo scherzo nel secondo movimento e il tempo lento nel terzo movimento, contrariamente alle consuetudini del tempo: evento inatteso), o la forma sonata distinta in esposizione, sviluppo e ripresa. Le aspettative, a loro volta, possono essere di due tipi: interne ed esterne. Quelle esterne ubbidiscono ai criteri fondanti la musica occidentale che siamo soliti ascoltare e frequentare, come la sintassi armonica e l’utilizzo di un determinato tipo di scale; quelle interne scaturiscono dalla particolare disposizione degli elementi strutturali. La musica per piacerci non dovrà essere né totalmente attesa, né totalmente inattesa. Un compositore che disponga i temi e i motivi in un modo piuttosto che in un altro potrebbe far sorgere aspettative e ipotesi che se li disponesse altrimenti. L’abilità poetica del compositore innescherebbe un secondo gioco: l’hide and search game. Il gioco del “nascondi-e-cerca”.
Chi ascolta è sempre in cerca del tema che durante la composizione viene variato e ripetuto costantemente. Ciò causa piacere come tutti i giochi. Altre problematiche sono la ripetizione su cui si basa la musica classica, che differisce dalle altre arti (ma non da quelle astratte, ove la ripetizione dei motivi è del tutto comprensibile), poiché non genererebbe piacere, ad esempio, rileggere tutti i capitoli di un libro più volte, scritti nella medesima maniera, e il problema dell’ascolto ripetuto. Kivy argomenta dicendo che prima che si giunga alla conoscenza mnemonica del brano l’ascolto di quest’ultimo non annoia, perché durante i ripetuti ascolti giungeranno sempre nuovi elementi che precedentemente erano sfuggiti, nuovi collegamenti logico-sintattici determinati dall’hypothesis game e dal cerchez la thème.
Ciò che apprezziamo è la bellezza della musica, la bellezza della costruzione formale, della timbrica degli strumenti, delle melodie, delle armonie e dei motivi sapientemente organizzati ed architettati. Ascoltando
Le teorie rappresentazionali dell’espressività musicale
Abbiamo accennato alle teorie disposizionali ed eccitazionistiche, prendiamo in esame quelle rappresentazionali di Aristotele, Schopenhauer e Susanne K. Langer. Il filosofo greco nella Politica sostiene la tesi, peraltro non debitamente argomentata, secondo la quale la musica non rappresenta le espressioni fisiche delle emozioni umane, ma rappresenterebbe le emozioni stesse e non per il fatto di suscitarle in chi ascolta. Le emozioni sono spostate dall’ascoltatore nella musica.
Nel 1819 venne pubblicato il Mondo come volontà e rappresentazione, in cui Schopenhauer sosteneva che le emozioni non risiedono negli ascoltatori ma nella musica. La musica viene considerata come copia o immediata rivelazione della Volontà a se stessa postulando un sentimento in astratto (
Un unicum è il testo della Langer del 1942, Philosophy in a New Key, in cui espone la tesi secondo cui la musica è isomorfica con la vita emotiva. La scrittrice accetta Schopenhauer e lo scetticismo di Hanslick. Come conciliarli? Ella sostiene che la musica abbia la capacità di rappresentare iconicamente, di simbolizzare le emozioni comuni e che i look-like symbols abbiano una significanza. Allo stesso modo per cui la musica è simbolo della vita emotiva in generale, un salice piangente è espressivo di tristezza (si badi: non esprime tristezza, è un albero nulla di più!). Il problema che insorge è che i simboli per poter significare hanno bisogno di convenzioni semantiche, convenzioni che mancano nella musica: come spiegare che una musica triste rappresenti simbolicamente la tristezza? Argomento del disaccordo? Inoltre, oggi, propendiamo a ritenere che le proprietà emotive della musica siano percepite come qualità percettive, acustiche e non rappresentazionali.
Francesco Rolli
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 47, luglio 2011)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi