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A. XVIII, n. 205, nov. 2024
Le promesse
sullo Stretto,
irrealizzabili?
di Antonietta Zaccaro
Per Rubbettino, inchiesta
sugli eventuali svantaggi
del ponte calabro-siculo
Il ponte sullo Stretto di Messina, questo lembo di cemento armato che dovrebbe collegare la Calabria alla Sicilia e l’isola al resto dell’Italia, da sempre anima il dibattito politico e non del nostro paese facendo sorgere, molto spesso, aspre controversie. Il ponte è, in questo momento storico, baluardo di una data fazione di politici che badano solamente al consenso degli elettori e a mettere d’accordo le varie imprese che dovrebbero prendere parte a questo faraonico progetto. Ma, al di là delle progettazioni già avvenute e approvate dallo stato, il ponte sullo Stretto rimane pur sempre un Colosso di Rodi, un gigante con i piedi di argilla che alla prima sollecitazione è destinato a crollare rovinosamente.
Ad aprirci gli occhi sulla non fattibilità dell’opera, in maniera semplice ed accessibile anche a chi non è del mestiere, è il pamphlet di Domenico Marino, docente di Politica economica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, L’insostenibile leggerezza del Ponte (Rubbettino, pp. 122, € 10,00), nel quale ci espone le varie teorie tecniche e sociali che fanno sì che questa mega-costruzione, invece di incentivare le già precarie economie calabresi e siciliane, porterebbe a maggior degrado incentivando la disoccupazione.
Le imprese coinvolte ed i finanziamenti
La prima voce, quando parliamo di grandi costruzioni, è sicuramente quella economica: chi finanzierà il ponte? Sarà tutto a carico dello stato, e quindi dei cittadini, oppure ci sarà la partecipazione di imprese private? La situazione è alquanto complessa. Nel 1982 nasce la “Stretto di Messina Spa”, società, costola dell’Anas, incaricata dal governo di reperire i fondi per la realizzazione dell’opera e quindi di approntare i primi progetti. È proprio dal capitale di quest’ultima che dovrebbero arrivare gli 1,2 miliardi di euro (sui 6,3 miliardi del costo complessivo) che dovrebbero sostituire il 40% di quota pubblica prevista, perché, tuona il super-ministro Tremonti: «il Ponte non costerà nulla alle casse dello stato». Ma ad analizzare meglio la situazione, questa affermazione è destinata ad essere confutata: in primo luogo perché la “Stretto di Messina Spa” vive di finanziamenti pubblici, la mancanza di questi decreterebbe, quindi, la morte della società stessa; in secondo luogo perché altri 1,3 miliardi derivano dal reintegro dell’ex “Fintecna”, società finanziaria italiana controllata interamente dal Ministero dell’Economia; ed infine perché altri 1,3 miliardi sono stati stanziati dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica).
Quindi i finanziamenti pubblici ci sono, e sono reali; a questi si dovrebbero aggiungere i contributi di aziende private.
E ora spostiamo lo sguardo su queste aziende private, presenti sul territorio calabrese e siciliano che potrebbero investire i loro soldi nella costruzione del ponte: «un aspetto rilevante da trattare in uno studio sul ponte è il rapporto tra questa mega infrastruttura e la criminalità organizzata, massicciamente presente nei territori direttamente interessati dall’opera. È quindi opportuno descrivere l’impatto dell’attività criminale dal punto di vista economico». In fondo, guardando al tessuto industriale ed economico di queste due regioni notiamo l’ingombrante presenza della mafia e della ’ndrangheta, che vedono un business immenso nei cantieri del ponte e nel manovrare gli appalti connessi ad esso. Sarebbe difficile distinguere, in questo caso, l’impresa illegale da quella legale e porterebbe ad un maggior rafforzamento di attività illecite sul territorio ed un intasamento delle cause per associazione mafiosa.
L’impatto sull’ambiente e sull’occupazione
Capitolo a parte richiede la voce “impatto ambientale”. Il progetto prevede la costruzione di un ponte sospeso, lungo
Prendiamo in esame l’ultima affermazione, il turismo. È indubbio che il ponte in sé, come opera architettonica, porterà grande afflusso turistico, ma «l’altissimo valore estetico del paesaggio, lo scenario unico di un mare inserito dentro una conca illuminata dal sole, la straordinaria ricchezza in termini di biodiversità dei fondali, le acque limpide sono aspetti di questa attrattività che il ponte verrà a pregiudicare irrimediabilmente, allontanando dall’area tutto il turismo naturalistico e ambientale che in prospettiva costituisce per l’area uno dei flussi turistici più consistenti». Passiamo alla questione mobilità: il ponte avrebbe come conseguenza un decentramento delle città di Reggio Calabria e Messina, diventate troppo onerose in termini di tempo e di pedaggio. Per quanto riguarda lo spostamento a lunga distanza, neanche in questo caso gli studi sono favorevoli all’opera: si pensi alla “Salerno-Reggio”, oppure alla “Messina-Catania”.
L’altro indicatore pro-ponte è la diminuzione della disoccupazione, anche in questo caso non si può dire che ciò accada. Il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, stima che la costruzione del ponte porterà 40 mila posti di lavoro, ma una volta terminato questi lavoratori impiegati nei cantieri ritorneranno ad ingrossare le file dei disoccupati, non si può parlare di occupazione stabile, ma temporanea. Tutti gli impieghi, ora, nei cantieri navali di Messina e Reggio, e nell’industria dei traghetti (biglietterie, personale di terra e di bordo) non avranno più motivo di esistere. Si pensi che dipendenti non potranno essere occupati neanche nei caselli del ponte, in quanto si va verso una completa automatizzazione di bigliettazione ed obliterazione. Neanche per quanto riguarda la manutenzione troviamo qualche punto a favore dell’occupazione: il piano prevede che venga compiuta dai lavoratori oggi addetti alla cura delle navi.
Analizzando ogni aspetto troviamo che l’ottava meraviglia del mondo, così come viene indicata dai suoi fautori, non porterà nessun beneficio in termini di turismo, mobilità, occupazione e rilancio economico alle due regioni coinvolte.
Antonietta Zaccaro
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 47, luglio 2011)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi