Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
Direttore editoriale: Mario Saccomanno
A. XVIII, n. 206, dic. 2024
La scuola: innovazione
e vecchi problemi irrisolti
di Mària Ivano
Da Aras osservazioni e riflessioni di un docente
sul complesso mondo della pubblica istruzione
Oddo Mantovani, professore di Italiano e Latino, ha raccolto le proprie riflessioni maturate sul mondo della scuola dal 1997 al 2002, anno nel quale ha presentato la domanda di pensionamento. Ogni appunto, archiviato in forma di lettera, idealmente indirizzata al ministro dell’Istruzione, è riportato nel testo con una datazione precisa.
Il saggio in questione è, in effetti, non una sola missiva, ma una raccolta, una sorta di monologo epistolare, quasi un diario, nel quale l’autore ha riunito le proprie riflessioni sulla “nuova didattica” e i suoi effetti e sulla propria difficoltà di insegnare giorno dopo giorno.
È una riflessione sullo stato attuale della scuola italiana formulata dal punto di vista del docente. L’autore, mentre annota le sue osservazioni, infatti, si domanda cosa insegnare, come insegnare, e perché insegnare, confrontandosi con i vari tentativi di riforma della didattica che si susseguono. Inoltre, polemizza con i riformatori distanti dalla realtà della scuola ed esperti di «carte e di diagrammi, di tassonomie e nuclei fondanti», e più ancora con le riforme stesse che realizzano una progressiva e distruttiva «elementarizzazione» dell’insegnamento scolastico.
Mantovani non perde mai di vista l’immaginario interlocutore rivolgendosi costantemente a lui e alla sua funzione. Non ad un ministro in particolare, non a un particolare governo. Alla funzione di «servitore dello Stato» (definizione sulla quale l’autore si sofferma) e di titolare di un ministero di eccezionale quanto incompresa importanza.
Le tante problematiche e la difficile risoluzione
In Lettera di Classe, Oddo Mantovani (Aras, pp. 142, € 18,00) non offre una soluzione prodigiosa alle mille difficoltà della didattica scolastica, chiede, però, un’attenzione ai contenuti dell’insegnamento e alla sua responsabilità. E dileggia sottilmente le panacee proposte dai vari miracolosi riformatori. Si fa beffa, con garbo, di queste ricette che non curano ma aggravano il male. Parla di imbroglio. Perché questo perpetuo abbassamento del livello culturale degli studenti, che pare il vero risultato dei troppi tentativi di riforma, è ai suoi occhi una truffa per gli insegnanti e soprattutto per gli allievi. E con il tono di una satira misurata si sofferma a raccontare una realtà, a cercare di riportare l’attenzione sugli aspetti concreti dell’insegnamento, e contemporaneamente sugli aspetti ideali, quelli dimenticati dal finto pragmatismo attuale – cose che i suddetti riformatori ignorano con sorprendente leggerezza – Mantovani ricorda che l’insegnamento non ha soltanto uno scopo, ma una motivazione.
Un valore etico. Cose d’altri tempi. La scuola non deve produrre niente. La scuola deve trasmettere cultura, contribuire così a formare uomini più consapevoli, più onesti e più liberi. Uomini più uomini. Questa è la ragione della cultura. Ma l’autore sa di parlare di qualcosa che oggi quasi nessuno ricorda.
E la sua stessa prosa è coerentemente antiquata. Una prosa forbita e infiorettata, garbata e complessa, arricchita da molte citazioni. Incorniciata da espressioni di cortesia per il suo corrispondente muto, il «Signor Ministro».
Così l’autore chiama sempre il destinatario delle epistole: «Signor Ministro». Con la maiuscola. E la maiuscola fa parte di quel registro linguistico educato, desueto, coscientemente fuori moda. La scelta non è casuale: emerge da tutto il libro, dalla sua satira gentile, il rimpianto per la dignità della funzione, quella del ministro e quella del maestro, e non solo le loro, che la scuola ha smarrito. La scuola e la nostra stessa società.
Un ministro imprecisato e imprecisabile, del resto, poiché diversi si sono succeduti in quel ruolo durante il periodo coperto dal racconto. E le considerazioni espresse seguitano ad essere indirizzabili anche all’attuale capo del dicastero. Perché i problemi sollevati dall’autore non sono stati risolti in nessun modo. Al contrario, come tutti sentiamo e leggiamo ogni giorno, paiono continuare a incancrenirsi.
Mantovani ci racconta pure la difficoltà di insegnare (Italiano e Latino, poi, come non si stanca di precisare) in questa scuola e in questo tempo. Il senso smarrito di questo insegnamento. L’assurdità di una scuola che per inseguire una malintesa idea di modernità, di mercato, ha dimenticato se stessa. La dignità di una professione che è diversa dalle altre. Che dovrebbe esserlo. Non per vanità o per inspiegato orgoglio, ma per il senso di un dovere nella società: insegnare, istruire.
Insegnare non è come qualsiasi altra attività, ribadisce l’autore: viene prima. E non può non venire prima: l’istruzione è per propria natura una condizione precedente alle altre. Indipendente dalle altre. E non si possono applicare le logiche del mercato e dell’utilità stretta alla scuola. Non è solo un delitto, potremmo dire esercitando anche noi il piacere della citazione, è un errore. Perché quelle stesse regole nella scuola non funzionano, producono aborti e fallimenti. Distruggono l’idea stessa di scuola.
Istruzione pubblica agonizzante
L’autore non fa richieste al ministro, si limita a raccontargli la scuola nella propria esperienza, pur senza soggettivismi. Trasmette le proprie riflessioni. Lucide e partecipi, ma rivestite di cortese ironia.
Il testo, prima diffuso privatamente, fu dato alle stampe da Grafiche Fioroni nel 2004. Oggi Aras ce lo ripropone con l’intento di renderlo noto a un pubblico più vasto. Perché è un discorso da rivolgere al pubblico, e che del pubblico tratta.
La scuola è pubblica. Sul pubblico dovrebbe essere l’accento, ma il pubblico nel suo senso più alto è proprio ciò che tutti hanno dimenticato. E l’autore lo sa mentre osserva quasi di passaggio, ma in modo assai incisivo, che «ora non più della Pubblica c’è il Ministero, ma semplicemente dell’Istruzione».
Mantovani ha coscienza e dolente orgoglio del proprio ruolo di insegnante. Sa di essere fuori dal tempo, e sa pure che questo tempo è fuori da se stesso, ma deve avere ancora speranza se scrive il suo libro alla fine della propria carriera, come un lascito. Anche questo è un dovere, per un insegnante che non cessa mai di essere tale.
C’è un trasporto emotivo, nelle pagine di Mantovani. La sua scrittura non vuole essere un resoconto o un’analisi oggettiva. Si tratta di lettere invece soggettive, seppure non intimistiche. La soggettività è nell’impegno e nella tensione personale dell’autore, dai quali il testo stesso trae la propria forza. Senza però diventare uno sfogo, un ripiegamento interiore, ma proponendo una questione etica e nello stesso tempo concreta. L’etica è di fatto una faccenda molto concreta, quando la si prende sul serio e se ne affronta il peso.
Questo libro ce lo può ricordare.
Mària Ivano
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 46, giugno 2011)