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Anno V, n. 45, maggio 2011
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno V, n. 45, maggio 2011

Zoom immagine Dolore umano
e legittimità
di essere felici

di Angela Galloro
Da edizioni e/o un romanzo
sulle sofferenze della guerra
e sul valore della speranza


Amore e guerra si incrociano in questo affascinante romanzo di Anne Wiazemsky, attrice e regista oltre che scrittrice molto produttiva. Nata a Berlino nel 1947, subito dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, deve “sentire” più di ogni altro suo scritto quest’ultima pubblicazione, La ragazza di Berlino, il più autobiografico di tutti, probabilmente. Il libro racconta la storia di una donna bella, giovane e forte, Claire Mauriac, crocerossina addetta alla guida delle ambulanze nei luoghi più infuocati d’Europa negli anni conclusivi della guerra. Mon enfant de Berlin, come recita il titolo originale, è scritto con cura in ogni sua parte e tradotto anche molto bene da Cinzia Poli (studiosa di letteratura francese che ha tradotto anche il best seller di edizioni e/o, L’eleganza del riccio).

Il libro (edizioni e/o, pp. 208, € 17,50) alterna delle parti diaristiche, collocate per lo più all’inizio, a lettere, quasi tutte scritte dalla protagonista, alla narrazione discorsiva, in un racconto vario e che scorre in maniera lineare, benché complessi siano i sentimenti e le vicende che lo animano.

 

Un presente “storico”

Stupisce il tempo presente, che accompagna ogni gesto della protagonista e che permette al lettore di assaporarli tutti, dalla sigaretta alle emergenze del campo di battaglia, dai viaggi in ambulanza allo scorrere dei pensieri. Solo alla fine sapremo che la voce narrante non è quella dell’autrice ma di Olga, una collega di Claire, che le racconta di sua madre. E solo al termine del romanzo scopriamo quindi che il tempo presente rispecchia una narrazione orale, immediata, ma non per questo priva di dettagli. La figura di Claire Mauriac, figlia di un famoso scrittore, è quella di una giovane di ventisette anni vivace e attiva al punto di arruolarsi con la Croce rossa e prestare il suo servizio in tutta l’Europa centrale, in particolare nella Germania occupata dalle forze alleate. Il racconto ci porta in medias res e cioè quando Claire si ritrova già a recuperare caduti e morti in guerra, in ospedali improvvisati, mentre affronta il freddo, la fame e delle forti emicranie che si porta dietro dall’infanzia. Dalle lettere che spedisce ai genitori, dal tono dolce e affabile e a tratti anche infantile, traspare un grande coraggio, a volte sconforto, ma mai vera e propria disperazione. Claire è sempre fiduciosa, tinge le sue missive di speranza ogni volta che può. Anche in piena guerra.

Bella e ricca, molto colta e particolarmente sensibile, non sembra certo la persona adatta a guardare da vicino le crudeltà della guerra, ma la strada che ha intrapreso la rende viva, incredibilmente utile e, il più delle volte, soddisfatta. «Come mi ha cambiata questa vita. Ero una bambina, sono una donna», scrive sul suo diario.

Le sue passeggiate a Parigi le ricordano molte cose, ma tutte appartenenti al passato: l’affetto e la nostalgia di quando era una bambina, il suo fidanzato, che lascerà improvvisamente per partire in missione, con un gesto secco, senza fronzoli o sentimentalismi, proprio quando tutti e lei per prima meditava di doverlo sposare. Sembra impossibile amare durante la guerra, sembra dirci la protagonista attraverso le pagine del suo diario, che poche volte si perdono in riflessioni esistenziali, ma si concentrano sull’aiuto, la solidarietà, gli avvenimenti, le descrizioni della città distrutta. Spicca il confronto tra una Parigi buia con la rue Théophile Gautier (dove Claire viveva) intatta, e una Berlino sepolcrale, distrutta dai bombardamenti.

La sua compagnia, le colleghe, gli inquilini del 96 di Kurfürstendamm, diventano momentaneamente la sua famiglia. È grazie a Mistou, Rolanne e Plumette che si sente a casa anche quando la nostalgia l’assale. I legami che si stringono nei momenti di difficoltà infatti diventano duraturi, più solidi di quelli familiari.

 

Di nuovo l’amore a Berlino est

«Come aveva potuto lasciarsi andare a un sentimento amoroso così forte? Dopo la rottura con Patrice si era ripromessa di limitarsi a qualche avventura, era il prezzo da pagare per conservare la sua cara libertà, finalmente riconquistata. Ed ecco che si innamora di un estraneo di cui ignora tutto, un ex russo, quasi sovietico, senza una professione, di un ambiente diverso dal suo, “un ambiente cosmopolita” come dicono di lui». Claire ha paura dei sentimenti forti. Indipendente e autonoma, basta completamente a se stessa: per questo motivo, l’essersi lasciata conquistare da Ivan Wiazemsky, un giovane russo di San Pietroburgo, del quale non sa assolutamente nulla, se non che la sua famiglia, come tante altre a quei tempi, è esule, la destabilizza e la getta in uno stato di dubbio perenne. La storia d’amore si snoda tra momenti angosciosi e incertezze, da una parte, e il piacere della quotidianità dall’altra. Claire e Wia, come il giovane viene affettuosamente chiamato da tutti, ballano insieme, gioiscono di quei piccoli momenti che si concedono anche in tempo di guerra, come una festa organizzata nel loro reparto. Claire si sente inspiegabilmente sicura tra le braccia di Wia, benché i suoi pensieri siano sempre costellati da storie passate, da dubbi amletici sui sentimenti che prova per quell’uomo un po’ infantile, senza radici e poliglotta, sempre entusiasta, anche quando le circostanze non lo permettono. I dubbi aumentano quando i genitori di Claire acconsentono al matrimonio: «un dubbio repentino le provoca una fitta al cuore. E se, come con Patrice, si stesse sbagliando? E se fosse di nuovo vittima dell’amore che Wia prova per lei? Vittima del suo entusiasmo, della sua certezza che siano fatti l’uno per l’altra?».

Suggestivo è l’episodio in cui la giovane conosce i genitori di Ivan, narrato dalla voce esterna come un momento in cui la “principessa” Claire, con una famiglia ricca alle spalle e il cuore pieno di buone intenzioni, incontra una famiglia russa impoverita dalla guerra, decisamente diversa da come se l’aspettava. L’abbraccio tra la crocerossina e la madre del giovane sovietico, quest’ultima vestita male e con i capelli scomposti, è il momento più toccante di tutto il racconto, l’attimo in cui si percepisce come la crudeltà della guerra colpisca tutti gli uomini indistintamente, senza riguardi per le loro condizioni, privilegiate o meno che siano. E la protagonista questo lo sa bene, quando scrive alla madre di non essere totalmente felice in cuor suo, dal momento che «c’è il resto della vita, tutte le orribili sofferenze dell’umanità, l’orribile periodo in cui viviamo e soprattutto la certezza della morte. In tutto questo, un matrimonio può essere solo uno splendido episodio che forse sarà il preludio di cose molto, molto tristi poiché, in definitiva, perché mai dovrei essere eternamente felice e salva mentre tutti gli altri soffrono?». Qui sta l’incredibile umanità di Claire, l’empatia che la contraddistingue e che le fa raccontare nelle sue instancabili lettere le missioni in ambulanza, sue e delle colleghe, avvenimenti della guerra, come se fossero personali esperienze, che la colpiscono nel profondo.

 

La potenza del ricordo

La protagonista ricorda continuamente, o meglio, scrive per non dimenticare nulla. Un viso, un’ora precisa, una minuzia che riesce a notare solo lei. L’intero romanzo ruota intorno alla forza di questa memoria che Olga, un’altra delle infermiere del 96 di Kurfürstendamm, racconta alla figlia di Claire, l’autrice Anne, dal nome alla moda, sia in Francia che in Russia, per fare onore alle rispettive patrie dei genitori, per saldare un’alleanza amorosa, oltre che militare. Un’alleanza tra persone troppo diverse per reggere il peso dei tempi, come Olga spiega alla fine del romanzo.

L’epilogo viene sapientemente liquidato in poche frasi, come se il lettore lo conoscesse già o come se non avesse importanza. Conosciamo finalmente la voce narrante e ci fidiamo di lei, di quelle persone che ha conosciuto, piccole vite protagoniste di grandi storie e inconsapevoli di questo.

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 45, maggio 2011)

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